La piazza
Il giorno dopo Elena andò a vedere i morti.
Li avevano disposti sul lato nord della piazza, uno accanto all’altro. Erano dodici. I passanti, con le sciarpe tirate fino agli occhi, trascorrevano davanti alla fila senza rallentare. Solo di rado qualcuno faceva sosta con la scusa di battere i piedi sul selciato per riscaldarli: e allora, per un momento, guardava.
I soldati erano radunati più dietro, portavano i mitra a tracolla e fumavano. Con gli occhi che si spostavano di continuo dai vivi ai morti, sembrava non battessero mai le palpebre. Nella guerra infame si imparano le cose più strane.
Alle loro spalle il Duomo somigliava a un gigante col volto coperto. La scalinata era deserta.
Elena vide Mara.
Era una delle ultime, fra un vecchio con i capelli ancora pettinati e un giovanotto a cui avevano portato via le scarpe. Le loro teste erano voltate in senso opposto e sembrava le parlassero all’orecchio.
Nonostante fossi quasi sicura di trovarla lì, la piazza fece un giro completo attorno a me e tutto cambiò posizione. Forse fu per questo che non mi accorsi del soldato.
«Ti interessa?»
Mi voltai oppure fu lui a venirmi davanti, non me lo ricordo. Avrà avuto quarant’anni ed era serio.
«Ma ti interessa?» ripeté «È una tua amica?»
Non sapevo cosa rispondere, quella parola era come se venisse da un altro mondo.
«Perché vedi» disse ancora il soldato «a noi non piace mica tanto che ci si fermi qui a dire le preghiere. Fammi vedere i documenti.»
Li tirai fuori dalla tasca del cappotto e glieli porsi.
«Sei cattolica» disse mentre li esaminava «…Elena? Se sei cattolica puoi andare in chiesa. Lì c’è il Duomo, è aperto. Anche io sono cattolico. Ma non prego davanti ai traditori. O alle puttane.»
Poi mi guardò le mani e più in basso.
«Bei guanti» disse «e anche le scarpe. Sei una con i soldi, giusto?»
Aveva uno strano modo di fare, parlava con calma e mi fissava negli occhi.
«Non ho fatto niente di male» dissi «mi sono solo fermata un momento. Mi lasci andare, per favore. Io… non ho a che vederci».
Parve sorpreso.
«Ah no? Non hai che vederci?» rise brevemente. «Tutti, tutti qui in piazza hanno a che vederci ma tu no. Non è strano?»
«Io… passavo solo per caso. Andavo a prendere il pane. Non c’entro nulla.»
Annuì lentamente e forse capiva più di quanto dava a intendere. Mi riconsegnò i documenti come se volesse disfarsene.
«Vattene» disse. Qualcuno urlava.
Quando mi allontanai ero morta anche io.
Le mani affondate nelle tasche dei calzoni, gli uomini davano l’idea di bighellonare di qua e di là senza una meta precisa; mentre le donne, con le borse della spesa da cui spuntava una foglia di cavolo o una pagnotta, abbassavano il capo come a difendersi dal vento gelido. Si sentiva ridere quando uno dei soldati dava di gomito al compagno che gli stava accanto e poi alzava il mento come a dire «Guarda quella!» e fischiava.
I morti aspettavano come tutti i morti di questo mondo, liberi dal tempo e dal terribile sentiero che li aveva portati fin lì attraverso agguati, rastrellamenti e deportazioni che rifornivano senza sosta la fornace della guerra infame.
Con le spalle curve, il Duomo si era addormentato in preda allo sfinimento e pareva guardarsi i piedi con gli occhi chiusi.
Antonio vide Francesca.
Che vuoi che ti dica, il volto era… ossignore. Fosse stato per il volto non avrei mica capito che era lei. È per le mani che mi sono fermato. Perché le mani sono rimasto a fissarle a lungo senza capire cosa ci fosse di strano. Poi mi sono accorto che non aveva più le unghie: non aveva più le unghie. E così le ho riconosciuto il braccialetto. Sì, proprio quel braccialetto. Sembrava una corda stretta attorno al polso come al collo di un impiccato. Nemmeno più si vedeva il colore per quanto era affondato, era come se la carne gli fosse cresciuta attorno. Era… Ma che le avevano fatto a quel polso, eh? Che le avevano fatto, dico!
Secondo me le faceva dolore anche da morta. Allora mi sono inginocchiato per cercare di levarglielo via. Ma mica ci riuscivo, era come inchiodato e le dita non facevano presa. La carne era dura, di pietra.
Sì, certo che avevo dimenticato i soldati. Avevo dimenticato tutto tranne quel polso. E il volto… ossignore. E la gente attorno, nessuno si fermava. Quando mi hanno preso c’era una ragazza in fondo alla fila. Un soldato le parlava guardandola fissa. Nemmeno si è voltata, eppure penso di aver urlato. La guardavo andar via attraverso i colpi. Non mi hanno chiesto nulla, solo botte. Pensavano che fossi un ladro di morti. E ti dico una cosa, non me ne sono accorto, era come se Francesca si fosse messa fra me e il mondo a nascondermelo. Anche il dolore, tutto era come niente.
E la carne era dura, fredda, era di pietra. Io penso di avere gli occhi… adesso sono diventati bianchi, vero? Penso di avere gli occhi graffiati.
È stato così che l’ho toccata l’ultima volta.
Ma che diavolo le avevano fatto a quel polso, eh?
Alle quattro del pomeriggio i morti cominciano a puzzare, ma non c’è niente di strano, è l’odore della guerra infame. I soldati ridono perché si sa, i traditori e le puttane puzzano anche da vivi, figuriamoci da morti.
L’andirivieni continua, in fondo è la piazza più importante della città. È per questo che ci hanno messo i morti.
Il soldati si sono dati il cambio. Qualcuno mastica una fetta di pane. Il cielo è tutto bianco e promette neve. Fra poco sarà buio finalmente.
Il Duomo si curva sulla piazza. Sembra che stia per cadere con la faccia in avanti e che si regga solo sulle mani.
La vecchia con il fazzoletto rosso si ferma davanti a un uomo di mezza età, rimane lì giusto il tempo di farsi il segno della croce e se ne va. Nessuno le bada.
Di lei non si sa nulla, è solo una vecchia con in testa un fazzoletto rosso. Potrebbe addirittura trattarsi di un uomo travestito, uno che si nasconde, che scappa, o uno che resta e perciò si nasconde. Potrebbe essere chiunque. Potrebbe anche stare tra i morti, che lei conosce tutti, uno per uno: Mara, Francesca l’uomo di mezza età e anche gli altri, traditori e puttane.
Si porta il tempo dentro come fanno i vecchi e le pesa trascinarselo via, più di una borsa della spesa vuota.
È una che non ha niente a che vederci? O è una di quelli che depreda i morti? E perché si è fatta il segno della croce? Era davvero una preghiera quella che ha mormorato? E da quanto tempo sta lì?
Forse ha sentito le urla e ha visto la vergogna: e il gigante cadere in ginocchio fin quasi a battere la fronte sul selciato. Non serve a nulla farle domande, è come Francesca, non risponderebbe. Perciò si può parlarle all’orecchio senza timore, come i due morti fanno con Mara. Qualcuno diventa così, nella guerra civile.
Ha camminato per la piazza da prima dell’alba. È solo una vecchia, nessuno le ha badato.
Non ha mangiato nulla e non ha fatto la spesa.
E nel frattempo non ha contato i morti, ma i soldati.
Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Attraverso la forza della tua narrazione, ho visto due persone, entrambe poste di fronte alla morte, ciascuna con un atteggiamento diverso. La prima mi ha ricordato Giuda, che finge di non capire, finalmente nega, e alla fine s’impicca per non ascoltare la propria coscienza; la seconda coraggiosa, o forse sconsiderata, si butta, vuole toccare, annusare, capire e per questo paga e paga caro.
La guerra ha tante facce, nessuna di loro è una bella faccia, né per chi muore e nemmeno per chi invece resta.
Apprezzo la struttura del racconto, come fossero quadri da osservare, punti di vista che si spostano e un finale aperto.
“Con le spalle curve, il Duomo si era addormentato in preda allo sfinimento e pareva guardarsi i piedi con gli occhi chiusi.”
Un’immagine molto bella e suggestiva.
Davvero complimenti 👏🏼
Mi sembrava di essere lì, in quella piazza.
La precisione con cui hai descritto i luoghi, l’empatia delle tue parole nella presentazione dei personaggi, ha attirato la mia attenzione, tanto che alla conclusione mi è rimasta la sensazione di voler conoscere un probabilmente proseguo…
Chissà magari potrebbe diventare una serie. ☺️
Grazie per la lettura
Ciao Francesca, ci sono descrizioni e immagini che colpiscono forte. Non ho compreso il contesto specifico, ma credo che abbia poca importanza perché una guerra infame dovrebbe valere come un’altra…
Ho voluto rileggere qualche passaggio (specie all’inizio) perché non mi è stato subito chiaro l’espediente che hai adottato con le persone della narrazione che passano dalla terza alla prima.
Bella la chiusa con la vecchia che pare prendere le misure per una rappresaglia, come dire che dalla spirale della violenza non si esce mai. Grazie molte per la bella lettura
Dodici persone sono morte per una rappresaglia. I sentimenti dei personaggi sono contrastanti: chi prega in cuor suo, chi ha paura e non si ferma, chi cerca qualcuno che conosceva; c’è anche chi dimentica se stesso per alleviare il dolore a chi dolore non sente più. Ma la guerra non si ferma e la “vecchia” conta i soldati che l’indomani prenderanno il posto di quei dodici: potrebbe essere un partigiano, ma anche proprio la morte. Un bel racconto scritto molto bene.
Ciao Francesca. La normalità della morte che solo la guerra sa regalarci. Sei riuscita a raccontare in poche righe le emozioni di persone così diverse, la gente comune che prega, i soldati che mangiano un fetta di pane… Notevole!
Ciao Francesca, un racconto potentissimo e agghiacciante. In alcuni passaggi mi ha tolto il respiro. La scena di Elena e del soldato è di un’angoscia palpabile, ma è il racconto di Antonio su Francesca e quel braccialetto “inchiodato” al polso che mi ha spezzato il cuore. La prosa è precisa e evocativa. L’immagine del Duomo come un gigante che “si regge solo sulle mani” è incredibile. Complimenti 👏👏