Come tutto iniziò – cap. 1, parte II
Serie: Sara & Nami
- Episodio 1: Come tutto iniziò – cap. 1, parte I
- Episodio 2: Come tutto iniziò – cap. 1, parte II
- Episodio 3: Orchestra – cap. 2, parte I
- Episodio 4: Orchestra – cap. 2, parte II
STAGIONE 1
Entrambe studentesse universitarie, da pochi mesi io e lei ci eravamo trasferite in una casa tutta nostra. Il desiderio di indipendenza dai nostri genitori si era fatto forte e, con qualche sacrificio ulteriore, mamma e Masafumi ci avevano accordato l’affitto di una piccola abitazione un po’ più in centro città rispetto all’estrema periferia del nostro appartamento. Non che la situazione fosse comunque variata di molto: cambiammo un bilocale per un altro, avremmo continuato a condividere l’unica camera da letto disponibile (dove, quantomeno, la proprietaria di casa ci aveva accordato di sostituire il letto matrimoniale con due letti singoli).
Quella “fatidica sera di luglio”, passata da poco la mezzanotte, eravamo di ritorno da una piccola festa con pochi intimi a casa di una nostra amica.
Avevamo bevuto entrambe un po’ (sì, forse io un po’ più di Nami) e ricordo vagamente che iniziai a blaterare a ruota libera, come sempre faccio quando sono un po’ ubriaca, sulle questioni “pratiche” del mio orientamento sessuale. Potrei riassumere in:
“… parole che non ricordo… sproloqui vari… Elisa era una stragnocca con quel vestito stasera, ma anche Luca non scherzava. Hai visto quando si è tolto la camicia perché se l’era macchiata? A volte invidio tutto il resto del mondo che ha deciso di parteggiare per una sponda o per l’altra. Non hai confusione! O ti piace il pene, o ti piace la vagina – potrei non aver usato questi esatti termini – . Non hai confusione! No, invece io dovevo per forza farmi piacere…”
Non so se mi fermò proprio in quel punto mentre stavo esprimendo la mia invidia per le persone non bisessuali e la loro mancanza di confusione, comunque mi interruppe e disse solo due parole: “Sono gay!”.
Io la guardai in faccia e, per quanto i fumi dell’alcool me lo concessero, capii che le era costato parecchio dirmi ciò che io avevo comunque intuito già da tempo. Le diedi un piccolo scappellotto in testa come tantissime volte in passato avevo fatto e le dissi “Perché ci hai messo così tanto a dirmelo?”.
Non le diedi nemmeno il tempo di rispondere, l’abbracciai stretta. Su certe cose eravamo quasi telepatiche e so che, in quel preciso momento, tutto ciò di cui aveva bisogno era un abbraccio da parte mia e la rassicurazione che niente sarebbe cambiato.
La abbracciai forte per diversi secondi, sentendo quasi le lacrime rigare il suo volto e appiccicarsi al mio (cosa che effettivamente vidi quando mi separai da lei). Le diedi un fazzoletto e le dissi che era una deficiente. Per quel che mi riguardava, la notizia per me equivaleva a un “Mi piace quel libro piuttosto che quell’altro”. Non mi importava se le piacesse il pene, la vagina o l’ascella (sì, dissi proprio “l’ascella”, cosa che la fece alquanto ridere, per fortuna): era mia sorella, e qualunque scelta avesse fatto, per me andava bene.
Poi successe.
Le diedi un bacio a stampo sulle labbra. Era già capitata, in passato, una cosa del genere. Scherzi fra sorelle, gesti d’affetto nei momenti di difficoltà, era solo questo. Lei sorrise, io sorrisi, ma dentro di me intuii che quel bacio a stampo aveva una nota nascosta che non mi era familiare. Diedi la colpa agli effetti dell’alcool e non ci feci caso.
Rientrammo a casa; pigiama, dentifricio e spazzolino e a nanna.
Non riuscii però a prendere sonno, troppi pensieri mandavano a quel paese Morfeo e lui, indispettito, aveva deciso di lasciar perdere.
Decisi allora di ricorrere alle maniere forti per stancarmi.
Infilai una mano sotto i pantaloni del pigiama, dentro gli slip, e tastai: di rimando, la mia Ornella mi disse che il tempo lì sotto era umido ed erano attese enormi precipitazioni. Non mi ci volle molto per rendermi conto che le “enormi precipitazioni” erano più vicine di quanto pensassi.
Sentii il clitoride voglioso sotto le mie dita e iniziai ad accontentare i suoi desideri, schiava di pensieri morbosi senza forma che si amalgamavano con i resti di una sbronza e un bacio che forse non doveva essere dato, ma che ormai aveva lasciato un’orma nella mia mente. Le dita si misero in coda per entrare nell’ufficio di Ornella: il primo dito entrò subito, il secondo seguì poco dopo e arrivò anche il terzo prima che la campanella suonasse l’orario di chiusura e non ne ammettesse altri (com’avrei potuto infilare il quarto, non saprei).
Volevo fare piano per non farmi sentire da Nami, volevo correre per seguire l’impeto del momento, quindi scelsi un mix tra i due. Infilai il lenzuolo in bocca per impedire a qualsiasi gemito o vocalizzo insolito di interrompere la continuità dei sogni su cui, ne ero certa, Nami stesse ispezionando la qualità.
Decisi di tirar fuori le dita, troppo frementi, e assecondare nuovamente un massaggio. Sentivo i capelli di Ornella attorcigliarsi tra di loro mentre martellavo un clitoride ormai prossimo a urlarmi contro “Sono stanco, sconquassato, ma continua, per favore!”
Venni. Ancora e ancora. E con l’alzarsi della marea nei miei slip, arrivò anche Morfeo che accettò quasi subito di darmi un passaggio sulla sua barca, per cavalcare insieme le onde che il mio corpo aveva generato.
— continua
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