IL CANGURO FELICE

…quando penso alla felicità divento ironico.

Un terrazzo sul mare, un tavolo, tanto cibo e tredici anime affini, tranne la mia. Mi trovai lontano da ogni luogo familiare, fuori dal mio ambiente, estraneo al mio corpo.

“Ciao! Non ci siamo presentati”. Mi disse una ragazza. “Come no, le dissi”. Il suo sguardo si posò su di me, accompagnato da un turbine di pensieri. Mi stava cercando in un ipotetico dimenticatoio, era un po’ sospesa. Le raccontai che ci eravamo conosciuti in una vita precedente. “Non ricordi? In quella circostanza, ero seduto su un pero”.

Il suo sguardo cambiò, velocemente, e mi disse:

“Io ero quella seduta sul melo”.

Mi piacque quella risposta e sorridemmo. Il Canguro si trovava di fronte a me, con il suo cucciolo tra le braccia. Non so se conoscete il sorriso del canguro femmina, a me ipnotizza. La ragazza del melo si era nascosta dietro Archimede, alla mia sinistra c’era mio fratello che parlava con Abete, la scrittrice. Afferrai la bottiglia di vino e, con estrema lentezza, diedi inizio al rituale. Udii un suono, riconoscibile come il richiamo di una poiana, mi riportò indietro di due ore, e mi catapultai di nuovo sulla spiaggia, di lì a poco stava per iniziare una meditazione di gruppo. Il Canguro posò a terra il cucciolo e prese in mano il microfono; non avevo mai partecipato a una meditazione di gruppo, non mi aspettavo che il Canguro si mettesse a cantare ‘Felicità’ di Albano per un’intera ora. Dal canto mio, mi concentrai sul verso delle rondini e dei gabbiani… Credetemi, il canto della poiana non me l’aspettavo, stavo meditando così profondamente che, per risalire su, ho dovuto prendere un taxi.

Mi scusi, può farmi tornare indietro.

“C’è l’ha l’energia”.

“Certo che ce l’ho”.

“Bene, andiamo”.

“Mi scusi, si fermi”.

“Non siamo arrivati”.

Mi lasci qui”. Vidi la cinquecento acqua marina di Archimede parcheggiata davanti alla stazione; lo trovai poco dopo a scolpire uno scoglio sul bagnasciuga. Con lui c’era anche la ragazza del melo, aveva tra le mani un guinzaglio lungo, con sei cani a seguito, indossava un vestito rosso e giallo, come la bandiera della Roma. ‘Sarà romana’ pensai, ma non seppi darmi una risposta, rimasi con quel dubbio appeso a un filo, lo afferrai e scesi di nuovo in profondità, sembravo Tarzan e ululai alla luna, che galleggiava serena sul mare. Atterrai in una specie di oasi, un limbo, un sogno pensato, fantasticato dalla mia mente; in quell’oasi c’era una via dall’aspetto orientale, dove si vendeva di tutto. Notai un batterista russo appoggiato con il gomito destro su una confezione di gelato artigianale; nella mano sinistra aveva una bacchetta e tamburellava in aria una batteria immaginaria. Sembrava un vichingo, pelato e con la barba lunga, rossa ruggine, un hipster fantasmagorico dell’era 2022. Mi fermai per ristorarmi. Che bello. In quella via orientale c’era ogni tipo di merce; una cuoca vendeva farro insieme a suo marito, che aveva un sorriso goliardico; e ci credo, con una moglie cuoca, le papille gustative riflettevano sui denti. Abete, la scrittrice, era seduta nel cortile a contemplare le inesattezze mentali dei condomini e prendeva appunti; mio fratello, con la sua curiosità fine, cercava spiegazioni dettagliate su come potesse risolvere i mille problemi che aveva nel suo condominio, la scrittrice bloccò subito le sue domande, spiegando che lei descriveva, non risolveva problemi. Mi venne un dubbio: felicità o equilibrio? Chiesi al Canguro di riflettere sul significato della felicità, che ritenevo utopica, ma non mi capì e venni attaccato. Decisi di licenziare in tronco il mio Io personale e me ne comprai uno nuovo, più lucido, diplomatico. Alla fine, l’importanza dell’io sociale era da relegare in cantina, al fresco di una galera. Mentre ero intento a segare le sbarre, una ragazza con la frangetta e le labbra disegnate da un rossetto mi chiese una sigaretta. Al primo tiro, mi ritrovai di nuovo sul terrazzo a versare vino; sotto al tavolo vedevo le scarpe di paglia rivestite di un tessuto rosso Ferrari, erano della donna del melo. La invitai a fare un giro sul mio bolide, ma la mia due posti sportiva non aveva spazio per i suoi sei cani, dovetti rinunciare a quel piacere. Alla fine, vendetti la Ferrari a un abbietto ricco e comprai un van, ma l’occasione fu sprecata per sempre; vendetti anche il van e comprai un monopattino a batteria, andandomene solo solo con le mie incertezze a coglier funghi. Tra i cespugli vidi un fungo gigante, provai a sfilarlo da terra e sentii un urlo di dolore. Ahia! In quel sogno lucido accadevano cose strane, avevo preso per i capelli una ragazza riccia, che avevo scambiato per un cespuglio. Chiesi scusa. Lei mi guardò in cagnesco, il suo abbaio attirò verso di noi la ragazza del melo, con i suoi cani a seguito. Rimasi sbigottito, circondato in un bosco da sei cani da caccia; decisi in quel momento di risalire su, chiamai di nuovo il taxi, ma non rispose nessuno, dovetti contattare un uber. La fortuna volle che dietro una quercia secolare, a pochi passi da me, c’era parcheggiata una Fiat Duna. Ebbi un attimo di esitazione, sono sempre stato un fautore di bellezza, ma a un certo punto, devi accontentarti. Mi defilai dietro il cespuglio, lasciando la riccia e la pseudo romana al seguito dei suoi cani, salii in macchina e feci un sospiro di sollievo, ma durò poco. Mi sentii toccare sulla spalla e ebbi un sussulto turco. Detti una testata allo specchietto retrovisore.

“Chi sei, dissi”.

“Scusami, mi ero nascosto in macchina perché un branco di cani a capo di una donna vestita con i colori del primo e terzo chakra mi hanno aggredito, io stavo là” e indicò col dito, al di fuori del bosco c’era un vigneto. “Sai, io bevo e vendo vino” mi disse.

“Vieni con me” gli chiesi.

“Tu dove vai” replicò.

“La direzione è verso l’alto, ma non ho un punto d’arrivo”.

Partimmo insieme verso l’ignoto, tra un bicchiere e l’altro andai a tamponare un’auto ferma al parcheggio di Saturno. Scese una ragazza.

“Scusami, tutto bene?” Gli chiesi preoccupato. Lei annuì senza parlare, la invitai a salire in auto con noi.

“Ti accompagno in ospedale o dal carrozziere?” Non mi rispose, cercai di capire se fosse stato l’incidente a toglierle la parola, oppure aveva problemi di mutismo. Il vero motivo me lo disse il viticoltore: “Lei ti odia, con te non ci parla”. Non capivo cosa avessi fatto, chiesi al Canguro delle spiegazioni.

“Tu stai lontano! “insistette.

Preso dallo sconforto, mi avvicinai.

“Tu stai ancora lontano!”

“Dove? Gli chiesi.

“Questo lo sai tu” affermò.

Ci riflettei su e mi comprai un gps acronimo, me lo istallai al centro della fronte, ma dovetti rimuoverlo poco dopo, feci il reso e presi un gps acrostico, per andare su e giù. Mi sembrava più adatto. Il Canguro mi diede un compito: “Trova i tuoi problemi e scrivili su un foglio”. Deciso a risolvere il problema, chiamai la ragazza del melo, avevo bisogno di un cane, un segugio, nonostante il mio impegno e il fiuto eccezionale del cane, non trovai nulla e consegnai il foglio in bianco. Lei mi guardò incredula e mi mise un bello zero in condotta. Non avevo più alibi ma ali, volavo di fianco alla poiana, dall’alto vedevo un cerchio di esseri umani, un tizio che passava in moto sulla strada. Vedendo quel cerchio di persone sulla spiaggia intento a meditare, disse a voce alta: “Che stanno a fa il ramadan ah ah ah”. Quell’idea di digiunare, mi fece pensare al farro della cuoca, ‘col cazzo che sto a digiuno’. “Sii felice” mi disse il Canguro. Sarà un riflesso diabolico, ma alla parola felicità pensai ad Ariosto e all’ironia su me stesso, sinonimo o contrario, mi accorsi che ero un tipo duale e pensai all’infelicità. “Devi essere felice!” Mi ripetette il canguro. So tosto, ma capii. Ebbi un’idea e me ne andai in centro con il mio monopattino a batteria, parcheggiai senza pagare il parchimetro e entrai in un negozio di taglio e cucito. Comprai un ago, sì avete capito bene, l’ago della bilancia, uscii dal negozio così equilibrato che dovetti sostituire il gps acrostico con un TOM TOM da quattro soldi. Ero pronto, mi levai in aria con il mio corpo energetico, avevo una voglia pazzesca di volare di nuovo di fianco alla poiana, da lassù vedevo un cerchio di esseri umani e al centro una bolla di luce color avio; verde, giallo, azzurro e con leggere sfumature arancio, io sembravo un frattale con la sua teoria del caos. A quel pensiero la poiana mi guardò negli occhi e mi disse: “Quella palla di luce che vedi è il corpo energetico del Canguro, non è un semaforo!”Guardai meglio e mi accorsi che la poiana aveva ragione, senza se e senza ma, fui catapultato di nuovo nel mio corpo fisico e mi svegliai. In quella dimensione, dove l’ordinario è un caos, mi sentii in compagnia e infelicemente squilibrato.

G.T.

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Discussioni

  1. “Non avevo più alibi ma ali,”
    Tutto il racconto è un viaggio onirico surreale, un “trip” che ha un suo filo conduttore. Ma questa frase, nello specifico, mi ha colpito davvero. Riuscitissima.

    1. “Grazie, Sergio,
      ho un amico nella scrittura che mi aiuta non solo a farmi compagnia, ma anche a deviare quell’ingorgo che il quotidiano e la vita sociale creano in me, è davvero meditativo. La scrittura e la composizione sono la mia passione, il mio “Vero io”, anche se nella vita faccio altro. Ti ringrazio di cuore per le belle parole e per aver letto il mio racconto. Credimi, avere una frase da condividere è bellissimo. Ringrazio te e il canale energetico che mi porta doni. Non c’è nulla da desiderare se non questo. Buona vita.”