Il Gigante

La partita andava male. Malissimo. Quella dannata partita che loro, gli uomini della città di Medaia, avevano deciso di giocare per scongiurare una nuova guerra contro gli orchi. In una disciplina sportiva – il fotbass – in cui gli orchi erano da sempre maestri. Ma loro, gli uomini, non dovevano vincerla, bastava solamente segnare un punto. Un unico, piccolo, stramaledetto punto. Bastava mettere quel dannato cilindro di cuoio azzurro nella base avversaria: un quadrato blu scuro della lunghezza di dieci passi per lato scavato nella sabbia dell’anfiteatro. Una sola volta. Una. Sola. Unica. Volta. Peccato che i corni degli elfi – che fungevano da arbitri – avessero emesso di nuovo quella loro voce cupa e roca, indicando che era finito anche il quarto tempo dell’incontro. Ne restava soltanto uno, venti minuti per vincere una scommessa quasi impossibile, per scongiurare nuovi lutti e sciagure mentre gli orchi vincevano otto a zero. Le due squadre – formate da quindici membri ciascuna più nove riserve – in quel momento riposavano nei sotterranei dell’anfiteatro di Medaia, perché il sole bruciava l’arena. Gli orchi ridevano e scherzavano, ormai sicuri della vittoria che avrebbe permesso loro di conquistare la città senza colpo ferire, gli uomini invece erano abbattuti e sfiniti. Nessuno di loro parlava, gli sguardi bassi a leccarsi le ferite. Sette erano già stati sostituiti per infortunio perché gli orchi, a un certo punto, avevano iniziato a giocare duro e le scorrettezze e i colpi proibiti si erano sprecati. Chi si reggeva ancora in piedi aveva ammaccature e ferite in diverse parti del corpo. L’idea di ricorrere al fotbass per decidere chi avrebbe regnato su Medaia era stata del generale Honar, comandate supremo della Settima armata orchesca che imperversava in quei territori di confine. Grande appassionato di questa disciplina sportiva fin da giovane, quando aveva saputo che a Medaia c’era Berrall non si era lasciato sfuggire l’occasione. Berrall, “benché uomo” come avrebbe chiosato il generale, era stato uno dei più grandi campioni di fotbass e il suo nome era una vera e propria leggenda. Il Gigante, come lo chiamavano i tifosi per via della massiccia corporatura, si era ritirato da pochi anni per ragioni non del tutto chiare, giurando comunque che non avrebbe mai più ripreso in mano un cilindro azzurro.

In quel momento camminava nervosamente avanti e indietro davanti ai suoi giocatori seduti o accovacciati sul pavimento in laterizio; fra una imprecazione e l’altra li incitava a non mollare, a tenere duro, a non perdere la fiducia.

«Sono troppo scorretti, allenatore» gli disse Kalida, una ragazza corpulenta che ricopriva il ruolo di difendente. «Non riusciamo a fare un cazzo.»

«Ci stanno massacrando» le fece eco Dreimonds, massaggiandosi il braccio destro sporco di sangue. Lui era un attaccante molto coriaceo e abituato da sempre alla lotta. Gli orchi però erano gli orchi. Soprattutto quando si trattava di usare le maniere forti.

«Picchiateli anche voi, usate qualsiasi mezzo, ma mettete quel cilindro dentro la loro base!» rispose Berrall col volto paonazzo.

«Lo sai anche tu che è impossibile. Se gli orchi giocano sporco non abbiamo nessuna possibilità. Noi abbiamo in squadra sei donne, loro hanno i troll» continuò a dire Dreimonds, avvilito.

«Per non parlare dei goblin» si lamentò qualcuno alle sue spalle. «Sono immarcabili».

«Che hai contro le donne?» gli domandò Xiria, una mediana bionda con una vistosa fasciatura di fortuna in testa.

Dreimonds non commentò, ma agitando una mano nell’aria le fece capire di andare al diavolo. 

«Se non facciamo quel punto Medaia…» li minacciò Berrall, alzando il tono della voce. 

«Sarà fottuta» lo interruppe Xiria con gli occhi gonfi per il dolore e la disperazione.

«Ci vorrebbe il Gigante» sentenziò Dreimonds, battendosi ripetutamente il petto con il braccio insanguinato, «Gigante! Gigante! Gigante!».

«Smettila Dreimonds, pensa piuttosto a riposarti. Vado a parlare coi nostri avversari, risparmia il fiato» lo gelò Berrall.

Carnak era l’allenatore degli orchi. Da giovane era stato un buon giocatore ma niente di più. Berrall andò da lui, perché voleva gridargli in faccia tutta la sua rabbia. Attraversata la lunga e ampia galleria che divideva le due squadre, entrò nello stanzone riservato agli avversari. Vicino a un grande arco di pietra, Carnak appariva visibilmente soddisfatto, discuteva con alcuni dei suoi sorseggiando un boccale di idromele.

«Avevamo detto niente colpi bassi» lo affrontò Berrall, scansando due orchi.

«C’è qualcosa che non va?» gli domandò Carnak, fingendosi sorpreso.

«Sì, c’è tutto che non va» Berrall lo fissava stringendo i pugni. Lui era più alto di almeno una spanna e avrebbe voluto ficcargli il boccale in gola.

«Ma il gioco è gioco, cosa vi aspettavate… una passeggiata?»

«Niente passeggiate ma un incontro leale sì» Berrall si mise a braccia conserte, mostrando i bicipiti possenti sotto la giacca di pelle a maniche corte.

Carnak però non si fece intimorire. «Se per gli elfi va bene, va bene anche per me», diede un’altra sorsata al boccale. «Caro Gigante oggi perdi la partita e Medaia.» Gli appoggiò la mano libera su una spalla e gli esibì un sorriso di scherno. «E non puoi farci niente.»

Berrall continuò a guardarlo dritto negli occhi mentre intorno si udivano sempre le risate e gli schiamazzi degli orchi. La sua arroganza era davvero irritante e lui avrebbe voluto incenerirlo seduta stante, invece gli diede un pizzicotto su una guancia grassoccia e se ne andò.

Arrivato alla fine dello stanzone si voltò e gli disse: «Lo sai che mi hai convinto? Guarda, ci credono pure loro» e indicò gli orchi che diventati di colpo silenziosi lo guardavano in cagnesco. «Sono proprio sicuri.»

Terminato l’intervallo la partita riprese inesorabile. Le squadre schierate sulla sabbia dell’arena formavano due triangoli contrapposti le cui punte quasi si sfioravano. Gli attaccanti degli orchi, leggermente piegati in avanti nelle loro tuniche grigie, mordevano il terreno con le gambe muscolose. Se la spassavano e non la smettevano di insultare i loro antagonisti. Avevano la vittoria in pugno e lo sapevano.

Gli elfi avvicinarono i corni alla bocca, ma proprio quando stavano per dare il segnale accade qualcosa. Qualcosa d’incredibile. Il campione. Uno dei più grandi fuoriclasse di fotbass di tutti i tempi era tornato. Indossati i calzari chiodati e la tunica rossa, il Gigante era entrato nel perimetro di gioco con l’aria risoluta e senza dire una parola si era sistemato sulla punta del triangolo umano accanto a Dreimonds. Si era piegato in avanti, le gambe potenti a calpestare il terreno sabbioso. Di fronte a quel colpo di scena Carnak era rimasto incredulo, si guardava intorno esterrefatto, la bocca spalancata in un gesto che era al tempo stesso di sorpresa e di disappunto. Il folto pubblico intanto, rimasto quasi in silenzio fino a quel momento di fronte alla certa disfatta degli uomini, esplose in un fragoroso boato. Poi dagli spalti venne scandito a gran voce il nome del nuovo giocatore: Gigante! Gigante! Gigante!

Carnak cercò allora con lo sguardo il generale Honar nel palco d’onore. Il comandante in capo della Settima armata si era alzato in piedi ed era circondato dai suoi ufficiali. Mentre si toccava l’elsa della spada, lo fissava con un’aria minacciosa per fargli capire che se gli uomini avessero fatto quel punto per lui sarebbero stati guai seri.

La mia testa finirà di sicuro su una picca, pensò Carnak avvicinandosi all’area di gioco e massaggiandosi la pancia prominente.

Nel frattempo gli atleti si preparavano all’ultima, fatale sfida. Gli uomini poiché in svantaggio, avevano il cilindro nelle loro mani. Le facce erano tese e gli sguardi stravolti. L’ora del destino era dunque arrivata.

«Appena sentiamo i corni tu passamelo» disse Berrall a Dreimonds, indicando il cilindro.

«Va bene Gigante.»

«Poi coprimi. Anche tu Cesper, stammi sempre incollato. E pure voi ragazzi, mi raccomando» Berrall alzò la voce, girò la testa a destra e a sinistra cercando di creare un breve contatto visivo con quelli che aveva più vicino. «Avanziamo compatti e decisi, soprattutto gli attaccanti.» Tacque un istante poi aggiunse: «Per Medaia!».

«Per Medaia!» risposero tutti i suoi giocatori.

«Posso chiederti un cosa?» gli chiese Dreimonds, fissando l’orco dirimpettaio.

L’avversario aveva occhi rossi come il fuoco e pareva un armadio. Grugnì qualcosa d’incomprensibile a un ordine secco di Carnak e iniziò a grattare il terreno con un calzare chiodato.

«Dimmi.»

«Non avevi giurato di non giocare più?».

«Ma questa non è una partita, amico» sentenziò Berrall con una luce strana negli occhi.

Un vento leggero si è era appena alzato, ma la calura non allentava la morsa nonostante fosse ormai tardo pomeriggio. Sugli spalti un curioso mix di paura, sorpresa e speranza rendeva gli spettatori di nuovo muti.

Finalmente gli elfi suonarono i corni.

Dreimonds fece quanto gli era stato chiesto. Passò il cilindro e scattò in avanti insieme agli altri attaccanti per proteggere il suo fuoriclasse.

Berrall travolse l’orco dagli occhi rossi che pareva un armadio e ogni altro orco che cercò di ostacolarlo. Troll e goblin subirono la stessa sorte, perché lui era sempre il numero uno in quello sport.

Fece il punto e salvò Medaia.

E il Gigante vinse.

Ancora una volta.

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Discussioni

  1. Uno sport che non stonerebbe in delle FantaOlimpiadi! Non appena lette le prime righe ho apprezzato la capacità che hai avuto di trasformare uno sport esistente in uno altrettanto valido e credibile: tanto quanto il quidditch.

  2. Bentornato alla pubblicazione, Simone. Bel racconto, ben architettato e convincente. Forse, se posso permettermi, il finale mi pare un po’ troppo corto in rapporto al resto. Buona giornata.