L’assassino dell’hotel- 29 dicembre, mattina

Serie: Ne verremo a capo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La riunione ha segnato il punto di svolta per Orchidea. Ma qualcuno ha origliato tutto...

Orchidea si mise in testa di andare alla ricerca della sua ospite: forse, già che doveva vivere, era il caso di farlo in modo produttivo.

Aveva criticato tanto Giglio, ma sapeva benissimo di essere lei quella messa peggio: aveva avuto un’unica interazione con Nina, ed era durata una trentina di secondi. Scese le solite scale che portavano all’ingresso, incrociò Matteo che correva al piano di sopra e gli chiese velocemente informazioni.

“Teo!”

“Che c’è!? Sono di corsa!”

“Nina…”

“Nina, la tipa che va sempre in giro con quell’orrendo tailleur lime? Non parlarmene, ha fatto tante di quelle storie perché non le avevo dato il resto di cinque centesimi… Dico, cinque!”

Continuò a parlare da solo, salendo ancora più velocemente le scale, rischiando di uccidersi nel processo.

“Per cinque centesimi…” ragionò a bassa voce Orchidea.

La trovò mezza addormentata su una poltroncina dell’ingresso a leggersi un libro; sul tavolino davanti a lei, tre pacchetti di fazzoletti.

Orchidea le si avvicinò cauta.

Nina alzò la testa, notando la ragazza e sorridendole.

“Olivia!”

Orchidea la salutò con un debole gesto della mano, sedendosi sulla poltroncina accanto.

“Come ti sembra il posto?” le domandò fingendo interesse.

“Non è malaccio, anche se ho visto decisamente di meglio… Però il paesaggio è spettacolare!”

Orchidea annuì, non la stava ascoltando, concentrandosi esclusivamente sul modo in cui avrebbe dovuto presentarle la sua richiesta.

“Ho visto che tu e gli altri ragazzi siete molto uniti… E andate d’accordo anche con il receptionist… Com’è che si chiama?”

Molto uniti… Ma per piacere. 

La lasciò parlare, però, tornando con l’attenzione su di lei alla menzione di Matteo.

“Matteo” rispose più fredda di quanto volesse.

“Matteo, ecco! C’è un legame speciale tra voi e lui? Lo conoscevate già?”

Orchidea non avrebbe decisamente voluto finire su quel fronte, si stavano allontanando dalla sua meta, finendo in un punto delicato.

Certo, ci conosciamo da tre anni, Matteo ci sta aiutando tutti a sopravvivere, dato che un bastardo che a quanto pare si chiama Tamerice ci ha quasi ammazzato.

“Più o meno, è tipo un amico” rispose, liquidando la questione con una scrollata di spalle.

Che poi cosa c’entrava Matteo? Se c’era uno che non causava problemi, era lui.

“Un amico? Quindi vi cono-“

Orchidea la bloccò, cercando di non mostrare la disperazione che rischiava di sfociare nelle sue parole.

“Oggi pomeriggio si va al Santuario della Madonna di Tirano, vero? C’è l’uscita con la guida, giusto?”

Nina la fissò, ferita dall’interruzione.

“Sì…”

Orchidea pensò a come porle la domanda cruciale. Mica era facile.

L’unica cosa che sapeva era che il 29 dicembre c’era sempre ‘sta cazzo di gita al Santuario. 

Quando ci era andata anche lei, tre anni prima, si era persa nel proprio mondo, completamente disinteressata a tutto. Una cosa se la ricordava, però, e ringraziava tutti i giorni la propria mente per quel dettaglio della memoria che poteva cambiare le carte in tavola: c’erano le orchidee. C’erano, in vasi bianchi, illuminate dalla luce colorata filtrata dalle vetrate.

Lo sapeva, che c’erano.

“Sai che ci sono delle orchidee, nel santuario?”

Nina non disse una parola, non capendo dove stesse andando a parare.

“Io non posso venire oggi pomeriggio perché… Perché non sto tanto bene, e volevo chiederti se tu… Se potessi prendermi un’orchidea, ecco. Mi piacciono moltissimo” concluse, quasi senza più fiato.

“Vendono le orchidee?”

No, deficiente, ti sto chiedendo di rubarla.

“Olivia, stai bene?”

Orchidea si rese conto che doveva essersi persa nei propri pensieri.

“Sì. Volevo… chiederti di prenderne una. Ce ne sono tante, non se ne accorgerà nessuno…”

“Mi stai chiedendo… Ma sei fuori di testa!?”

“Se ti pago?” le propose a bassa voce, puntando tutto sull’informazione che gli aveva regalato Matteo. Le allungò trenta euro, pregando che fossero abbastanza.

E, con sua grande gioia, Nina si prese le banconote e annuì.

***

Il ragazzo ascoltò per un paio di secondi il silenzio, poi decise che aveva sentito abbastanza e, silenzioso, si allontanò, dirigendosi tranquillamente verso al stanza 306.

Bussò con calma, attendendo poi che la porta si aprisse.

Tulipano se lo ritrovò davanti, con il suo gilet grigio cenere e i jeans scuri, e lo guardò con simpatia.

“Devo parlarti” esordì il ragazzo, con il cubo ancora in mano e gli occhi glaciali privi di emozione.

Tulipano lo fissò confuso e inquietato. Non gli piaceva quello sguardo, aveva un che di innaturale che lo metteva a disagio.

“Qui?” chiese.

“Posso entrare?”

“Sì, ok. Vieni, siediti pure” lo accolse Tulipano, indicandogli una piccola poltrona vicino al letto.

“No, ti ringrazio, resto in piedi.”

Si mise vicino alla finestra, senza smettere di tenere gli occhi su Tulipano.

“Allora, che succede?” chiese lui, quasi intimorito. C’era qualcosa di strano, e non capiva cosa fosse.

“Piacere. Tommaso. C’è un assassino qui nell’hotel” esordì freddo.

“Un assassino?”

“I tuoi amici del gioco hanno organizzato una riunione. Li ho sentiti parlare. C’è un assassino, e vogliono che tutti, te compreso, ne restino all’oscuro” spiegò con calma, attendendo la reazione dell’interlocutore.

Tulipano non rispose, paralizzato dalla confusione.

“Lo chiamano Tamerice, ed è uno di noi. Presumo che vogliano tenerci tutti ignoranti perché hanno paura che l’omicida sappia di essere stato individuato. Potrebbe essere chiunque nell’hotel” continuò con tono puramente informativo.

“Tamerice? Ma… Avevano detto che era un gioco…” obiettò Tulipano, realizzando lentamente.

“Evidentemente non lo è. Ho voluto avvisarti, perché il loro gioco non è quello che pensi. Dobbiamo andarcene il prima possibile. Non è sicuro stare qui.”

Ora Tulipano aveva un’espressione di paura. Stava iniziando a mettere insieme i pezzi.

“No… Devo parlare a Tarassaco, io devo…”

“Tarassaco ti ha mentito! Ti hanno mentito tutti. C’è un assassino nell’hotel, e io non ho intenzione di diventare la sua prossima vittima. Devi andartene.”

“No, non posso andarmene. Chiunque sia quest’omicida, potrebbe seguici fuori dall’hotel… Non sappiamo chi sia il suo obiettivo, forse… No, è più sicuro stare tutti uniti.”

“Hai ragione… Ma se l’assassino fosse uno dei sei ragazzi? Non sono sicuro che abbiano davvero capito chi sia l’omicida… Magari è uno di loro, non lo puoi sapere” osservò Tommaso; anche lui stava iniziando a confondersi.

Tulipano non rispose; rimasero a fissarsi per una decina di secondi, gli occhi scuri in quelli chiari, come se cercassero la risposta nelle rispettive iridi.

“E chi te lo dice che è un assassino? Sei sicuro di aver capito bene?” domandò infine.

“Ne sono sicuro. Non l’hanno proprio detto platealmente, ma, fidati, il mio istinto non mi ha mai tradito.”

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