Lezione di volo

Serie: Narzole Untold


Il folklore non è altro che la parte di storia che si vuole nascondere.

«Imbarda, intanto mantieni picchia e rolla.» Il drone ruotava, inclinandosi verso la sua elica anteriore sinistra. «Controlla bene l’orientamento del drone in funzione della sua posizione» si raccomandò l’istruttore con l’allievo. Il mezzo proseguì la sua manovra, un otto ben eseguito fino a quel momento, finchè non dovette impostare la seconda curva; qua iniziò ad allargare eccessivamente. «Aumenta il rollio» consigliò l’istruttore. L’allievo eseguì ed il drone si inclinò timidamente sulla sua sinistra. «Rolla, rolla» incitò l’istruttore ulteriormente. «Sto già rollando, è lui che non risponde» si giustificò l’allievo con una punta di fastidio. «Sei alla fine dello stick? Sta battendo contro il fine corsa?» chiese severo l’istruttore. «No, sono…» tentò di spiegare l’allievo. «Allora significa che devi darne di più!» disse lapidario l’istruttore, ma ormai era troppo tardi. La traiettoria del drone stava puntando pericolosamente contro le piante che seguivano il perimetro del campo volo, proprio sul limitare di un piccolo canale di irrigazione. L’istruttore tolse il dito dalla levetta del radiocomando ed essa si abbassò di scatto, riprendendo il controllo del mezzo. «Mio» annunciò l’istruttore, che, nel linguaggio del campo volo, significa che l’allievo non aveva più la guida del drone. Dunque strinse la manovra e riportò il velivolo sul cono numero uno. «Tre, due, uno…» poi risollevò la levetta con l’indice destro «…tuo.» Così l’allievo riebbe il pieno controllo del velivolo. «Riprovo un altro otto?» chiese, «Si, dobbiamo almeno completarne qualcuno prima di passare alle prossime figure» confermò l’istruttore. L’allievo mosse lo stick destro in su, comandando una picchiata. Il mezzo si inclinò in avanti, accelerando nella medesima direzione. «Questa volta dai fin da subito più rollio quando imposti la seconda curva» consigliò l’istruttore. «Ok» si limitò nella risposta l’allievo. Prima ancora che il drone potè iniziare il primo arco dell’otto la voce metallica e robotica del tablet iniziò a gracchiare «Battery low, 29% remaining» segnalando l’entrata della carica della batteria nella fascia gialla, che possiamo equiparare alla riserva di un’automobile. «Finiamo questo poi veniamo in atterraggio» ordinò l’istruttore. «Va bene» rispose l’allievo. L’allievo allargò di nuovo la seconda curva, ma questa volta riuscì a concludere la figura. Dopo di che mise il drone in istintiva, ovvero con la poppa rivolta verso il pilota, ed eseguì un atterraggio corretto. Dopo qualche secondo che il drone fu immobile sulla piazzola d’atterraggio l’istruttore mise alla prova l’allievo «E’ disarmato?». «Si.» «Sei sicuro?» «Il LED lampeggia, quindi si.» «Metteresti una mano in mezzo ad un’elica e poi daresti gas? Attualmente hai questo livello di sicurezza?» continuò ad inquisire l’istruttore. «Ehm…non capisco dove sto sbagliando…» «Hai alzato un po’ il gas per appurare che effettivamente il mezzo non risponde ai comandi?» «Ah…» quindi fece la prova. «Ok, è tutto fermo.» «Perfetto, non dimenticarti. E’ meglio il riscontro diretto del disarmo che fidarsi unicamente del software.» spiegò l’istruttore, sfilandosi il laccio del radiocomando dal collo. Si tirò un po’ su la manica destra e controllò l’ora. «Direi che per oggi abbiam dato. Andiamo ad aggiornare il logbook, così poi ti lascio andare.» disse l’istruttore. «Lasciamo tutto qui?» chiese l’allievo, riferendosi all’equipaggiamento dispiegato. «Si, tanto ci mettiamo poco, poi ritiro tutto io.» rispose l’istruttore. Poi si avviarono verso il piccolo prefabbricato da cantiere, unica costruzione sul campo volo.

Una volta finita la compilazione del logbook e firmati i registri i due uscirono e si scambiarono un saluto, stringendosi la mano. «Grazie Kire, allora ti faccio poi sapere quando potrò la prossima volta» disse l’allievo. «Certamente, non c’è fretta. Tanto le disponibilità le puoi sempre controllare sul gruppo telegram» e Kire ricambiò la stretta di mano. «Perfetto. Ciao, buona serata» si congedò l’allievo andando verso la macchina.

Kire percorse il sentiero di piastrelle quadrate, di quelle fatte in cemento e sassolini, che collega il prefabbricato con la piazzola dei piloti; che a sua volta è collegata alla piazzola d’atterraggio e decollo da un’altro sentiero più corto. Mentre camminava la vettura dell’allievo percorreva il parcheggio, una trentina di metri alla sua destra; poi girò la curva e sparì dietro il muro di cemento dei campi da calcio. Kire prese il drone per un braccio e lo appoggiò sul tavolo pieghevole su cui avevano appoggiato i radiocomandi. Ne richiuse i bracci e l’antenna, poi lo prese per una “gamba”. Strinse nella mano libera le maniglie dei due radiocomandi, insieme al cavo di collegamento arrotolato, e si diresse verso il prefabbricato. Mentre camminava, all’incirca a metà percorso, la sua attenzione andò improvvisamente ed inspiegabilmente verso la fila di alberi al limitare del campo volo. Si girò verso destra e li osservò, continuando a camminare. All’improvviso uno stormo di uccelli si levò dalle chiome, come la nuvola scura di fumo che si espande da un’esplosione. Ognuno volava in direzioni differenti, veloci e senza accennare cambiamenti di direzione. Kire si fermò immobile ad osservare lo strano spettacolo, non aveva mai visto nulla del genere. Quello stormo avrebbe potuto tranquillamente contenere tre o quattro centinaia di volatili, una dimensione abnorme. Eppure il gigantesco stormo stava continuando a volare, diradandosi nel cielo. Poi un rumore sinistro iniziò ad aumentare sempre di più il suo volume. Era un miscuglio fra lo strisciare nell’erba, uno strano e veloce ticchettio, uno sfregamento spastico ed un leggero frinire. Dopo dieci secondi era già molto intenso, abbastanza da dover far urlare due persone che avessero voluto parlare. Fu proprio all’apice dell’intensità di quel rumore che Kire notò qualcosa di strano nell’erba; sembrava un immenso tappeto scuro che scivolava a gran velocità verso di lui. Quando l’ombra fu abbastanza vicina notò che era formata da miliardi di insetti, da ragni enormi a minuscoli grilli, da scarabei a piccoli topolini. Una massa informe di creaturine che copriva ogni centimetro di erba e che correva inesorabile verso di lui; arrivando dalla schiera di alberi. Quando Kire realizzò la situazione inorridì e crebbe in lui un giustificato terrore; non tanto per gli animaletti ma per non sapere cosa stesse succedendo.

Kire iniziò a correre verso il prefabbricato, ma riuscì a fare solo pochi passi prima che l’orda di insetti lo investisse. Si accorse subito di una cosa particolare: le piccole creature non si arrampicavano sulle sue gambe ma passavano intorno alle sue suole senza badare a lui. Si fermò, incuriosito dall’insolito comportamento. Evidentemente gli insetti erano stati spaventati dalla stessa cosa che aveva spaventato gli uccelli; e lo aveva fatto abbastanza da fargli ignorare la sua presenza.

Kire rimase immobile, con una mano che afferrava una “gamba” del drone e l’altra le maniglie dei due radiocomandi, lo sguardo fisso sulla nube di uccelli e i piedi circondati da un esercito di insetti.

Poi, poco alla volta, lo stormo si disperse e l’orda scemò; finchè finalmente non rimase più nulla di quella follia. Fu proprio in quel momento che successe forse la cosa più spaventosa. Un boato terribile, un’onda d’urto furiosa colpì gli alberi e subito caddero decine di foglie per l’urto. Poi investì anche Kire, scuotendolo e spingendolo, tanto che dovette fare un passo indietro per poter rimanere in piedi in equilibrio. I timpani gli duolevano per il forte rumore. Smaltito lo shock dell’urto, Kire prese a correre verso il prefabbricato. Arrivato davanti alla porta si accorse di non avere mani libere per poter aprire la porta poi si guardò intorno. Apparentemente sembrava che non ci fosse più nulla del quale avere paura, così come non c’era più nulla da temere prima del boato. Almeno la baraonda aveva fatto disperdere una volta per tutte ogni sorta di creatura che si aggirava li intorno. Si calmò, posò il drone a terra per liberarsi una mano ed entrò.

Qualche minuto dopo aveva già ritirato anche il tavolo ed il treppiede su cui era innestato il tablet. Ora stava sorseggiando un caffè caldo mentre guardava fuori dal vetro della porta. Dall’altra parte del campo volo erano già arrivate due macchine, i campi da tennis iniziavano a popolarsi. Kire divenne dubbioso, cominciò a pensare di essersi immaginato tutto. Uno scoppio di quella portata lo avrebbero dovuto sentire tutti eppure quelle persone non sembravano per nulla turbate, tanto che erano venute tranquillamente a giocare a tennis come in un qualsiasi altro giorno. Forse stava impazzendo, forse si era immaginato tutto. Daltronde, se lo stormo di uccelli poteva essere verosimile, il manto di insetti e topolini non poteva essere un fenomeno realmente esistente, com’era possibile che tutti quegli esseri potessero sincronizzarsi in quella maniera? Scelse di credere alla teoria per la quale fu tutto un gioco della sua testa, avrebbe preso una settimana di ferie, magari era solo stressato ed aveva bisogno di riposarsi e distrarsi un po’.

Uno dei caricabatterie iniziò a suonare, indicando che la carica era giunta al termine. Kire si distolse dai suoi pensieri, buttò il bicchierino di caffè ormai vuoto e si dedicò al suo lavoro. Mezz’oretta dopo aveva già caricato tutto in macchina e chiuso a chiave il prefabbricato. Prima di partire dedicò qualche minuto al tramonto, che colorava la montagne di nero ed il cielo intorno d’arancione ed oro.

Serie: Narzole Untold


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Discussioni

  1. Inizio solo ora questa interessante serie, spinto dal tag “folklore” che ho visto nell’episodio che hai pubblicato proprio oggi. E posso affermare di non esserne rimasto deluso, perché l’atmosfera che si respire già in questo primo episodio è molto coinvolgente.
    Bella l’immagine dello stormo di uccelli, seguito dall’orda di insetti nell’erba.
    Piano piano recupererò anche gli altri sei episodi!

  2. A spingermi a tornare indietro per leggere il principio di questa storia è stata l’ironia con la quale Kire affronta una situazione tanto paradossale quanto pericolosa come quella dell’incontro programmato con le fate. Hai suscitato la giusta curiosità in una lettrice che non ti ha seguito dal primo capitolo, e questo già di per sé indica qualcosa. Il protagonista ha del fascino, primo punto a favore. Complimenti anche per la fantasia.

    1. Buonasera Rita, il tuo commento mi rende estremamente felice. E’ un traguardo molto soddisfacente quello di riuscire a suscitare interesse in un lettore tanto da portarlo a recuperare ben quattro episodi precedenti. Ti ringrazio per la lettura e spero che la mia storia continui a interessarti per ancora molti episodi.

  3. Accidenti Erik, sei davvero bravo! Hai uno stile di scrittura coinvolgente, sai portare su carta (mi piace ancora chiamarla così 😉) la naturalezza dei dialoghi e sei in grado di mantenere viva l’attenzione del lettore anche su porzioni delle narrazione che, di per sé, potrebbero magari wnon essere l’argomento più interessante dell’universo. Lo dico in senso buono naturalmente. Proprio perché mi sei piaciuto così tanto ti rimando però anche la mia perplessità su come possa essere credibile che un evento come quello vissuto da Kire possa passare plausibilmente come frutto della propria immaginazione. Mi sembra un escamotage un po’ abusato che sottrae credibilità alla storia. Ma questa è solo un’opinione non richiesta e mi tengo aperto alla possibilità che tu riesca a farmi cambiare idea. Ancora complimenti

    1. Ciao Roberto e grazie per avermi dedicato il tempo del commento. La narrazione, per quanto sia onnipresente e onnisciente, è fortemente incentrata sulla testa di Kire; per questo motivo ne trasmette anche le sensazione personali. Kire mette in dubbio quello che ha appena vissuto per via dello shock ma, in realtà, è tutto vero e sarà un elemento della trama. Cerco di creare personaggi poco fiabeschi e molto realistici, a tal punto da rimanere sconcertati di fronte a certi eventi piuttosto che metabolizzarli all’istante.

  4. Ciao Erik, un inizio di serie intrigante con simpatici riferimenti a Birds di Hitchcock, ti seguirò per vedere come evolve. Ti mando in PM alcune segnalazioni di refusi grammaticali, purtroppo ce ne sono e fanno ‘inciampare’ la lettura.

    1. Ciao Nyam, grazie infinite per le segnalazioni, ho provveduto a correggerle. 😉 Purtroppo scrivo e rileggo la sera dopo il lavoro e spesso sono abbastanza stanco per far passare certi strafalcioni. XD Ci sono tre segnalazioni che, invece, non sono veramente errori ma, oserei dire, licenze poetiche. Il verbo coniugato male nel discorso diretto dell’allievo è voluto, ho ricalcato il modo di parlare che effettivamente hanno le persone nella vita vera, ho sempre trovato i dialoghi perfettissimi dal punto di vista grammaticale estremamente irrealistici proprio perchè nell’italiano parlato si sbagliano determinate cose per comodità. La puntualizzazione sui topolini che non sono insetti è corretta, e ti assicuro che ne ero al corrente. XD Se noti, l’intera frase è stata strutturata come se fosse un climax, non per niente i topolini sono menzionati per ultimi. Immedesimati nel protagonista Kire, la prima cosa che vede è un qualcosa che nella sua mente ricorda un specie di tappeto che avanza, poi, un po’ per la distanza che si accorcia con il tempo, un po’ perchè strizza un po’ gli occhi, si accorge che è fatta di insetti. Infine nota anche dei topolini, ma, in proporzione, sono talmente pochi che li nota per ultimi, tanto che in una prima osservazione nella sua testa pensa ad un gruppo di insetti. L’ultima, quella sul tramonto, non volevo intendere che Kire fosse rimasto ad osservare il tramonto. E’ una frase volutamente vaga, in quel passaggio non volevo che il protagonista fosse un mio burattino descrivendo esattamente le sue azioni ma piuttosto volevo che prendesse vita all’interno della mente del lettore. Con “dedicò qualche secondo al tramonto” intendo dire che il lettore deve interpretare questa fra. Nella tua testa Kire si è fermato un attimo ad osservare il tramonto, in quella di un altro magari ha acceso il motore e, prima di ingranare la retro, è rimasto un attimo a guardare le montagne, e così via. Mi piace lasciare che i personaggi prendano vita nella testa dei lettori, ovviamente quando la narrazione non richiede un dettaglio più stringente. Trovo molto entusiasmante il fatto che le storie assumano sfaccettature differenti in base a chi le legge, non trovi? 🙂 Nella mia testa, invece, prima di chiudere il portellone, Kire rimane un attimo con la mano sulla maniglia a guardare i colori del cielo attraverso il vetro del lunotto. Poi chiude e se ne va senza più badare al tramonto. Vero che sono sempre riconducibili all’osservare il tramonto ma ho preferito l’indicazione più vaga proprio perchè non volevo che lo stereotipo di una persona che guarda il tramonto prendesse il sopravvento nella testa del lettore, lasciandolo spaziare nella sua personale rappresentazione della scena.