
L’Ultimo Viaggio della Gelida
Crad si era imbarcato sulla Gelida per stare in mare aperto per almeno quattro anni, a caccia di balene e bestie preziose o fantastiche, nella speranza che la solitudine delle onde e il duro lavoro del pescatore avventuriero gli avrebbero sanato il cuore infranto.
Crad aveva trent’anni. Si era disilluso della vita e dell’amore annacquando il whiskey di lacrime, nella bettola giù al porto. Giù al porto, affatto per caso, er’attraccata la Gelida sul far della sera, con la sua ciurma, sempre accolti con grande giubilo, perché regalavano ai loro più cari amici delle cose che trovavano durante le crociere.
E queste cose spesso si rivelavano per artefatti preziosi di civiltà mai scoperte, reliquie deliranti di un passato impossibile; o per meglio intenderci: un dente cavato a pugni dal cranio di un drago, o la statuetta di un falso dio dal nome impronunciabile.
Il capitano di questa così curiosa nave, che per sopra e sotto er’addobbata coi più suggestivi trofei delle loro scorribande, era tale Arancio Lungomare. Ora, di lui era trapelato ben poco nel corso degli anni e delle bevute -perché era coriaceo e di mente lucida-; tutto quel che s’era saputo, lo aveva lasciato intendere lui stesso in quei rari episodi dove suonava la chitarra e cantava canzoni di un posto lontanissimo, che si raggiunge solo in sogno e navigando; quella notte dichiarò che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio della Gelida, e che non sarebbero tornati mai più.
La singolarità di quei fatti coinvolgenti portarono Crad a desiderare d’imbarcarsi e, per una serie di straordinarie coincidenze -tra cui una stella cadente-, il Capitano lo accolse a bordo.
Salparono alle prime luci del mattino con la nave carica di provviste, e scomparvero allontanandosi dalla costa nei riflessi del sole nascente.
Per diversi giorni, Crad ascoltò le storie dell’equipaggio. Parlavano tutte di un insegnamento più o meno velato, più o meno pratico, a riguardo della pesca, come vista da quelli che hanno a muovere battaglia contro gli animali colossali che vanno cacciando.
Per settimane, Crad si era fatto insegnare il mestiere da Golia -il ferocissimo secondo, senza una mano e orbo di sinistro-, ed era stato battezzato nel sangue del suo primo narvalo arpionato.
Imparò i nodi delle cime e l’inclinazione delle vele e della barra; e quando volle raccapezzarsi dalla coffa per far punto di geografia, gli venne a mancare il mondo sotto i piedi: il cielo s’increspava come il mare. Stavano navigando sopra o sotto?
Navigarono ancora e Crad perse completamente il senso dell’orientamento: non riconobbe più il cielo stellato sopra di lui, notte e giorno si mescolavano a volte troppo in fretta, altre duravano un’eternità , e in queste stranezze cominciò a dubitare di alcune coerenze logiche.
Perse molto lentamente la distinzione tra reale e fantastico, ed era chiaro che tutto l’equipaggio era in tal guisa conciato, perché presero delle correnti caldissime laddove avrebbe dovuto esserci il gelo, e queste correnti li portarono in mari tropicali che nessuna mappa aveva mai segnato.
Dapprima affrontarono una burrasca di onde mostruose da quaranta metri, nel cui ventre balenavano a intermittenza di luci cosmiche e temporalesche, sfilze di giganteschi demòni del mare. Vennero sbalzati dentro una centripeta capriola al di sopra della tempesta, miracolosamente in salvo, navigando in prossimità del sole.
Quindi il vento si calmò all’improvviso, e si diradò la nebbia all’incedere nel meraviglioso Mare Iperboreo.
La luce del giorno era mille volte più di grado senza ferir lo sguardo, inchiariva tutte le isolette sparse nell’arcipelago fra atolli e foreste e sabbie di cristallo.
A Crad tutta quell’estate parve d’averla già vista nei sogni suoi, e stupito chiese al Capitano: “Come fa a saper di questo posto nel mio cuore?”
E il Capitano a lui: “Mio caro ragazzo, dimmi: da quanto tempo è che non dormi più?”
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Fantasy
Un racconto potente e visionario, che fonde il mito della navigazione con la vertigine dell’interiorità . La tua scrittura, ricca di immagini ardite e suggestive, evoca, a mio parere, Melville e Lovecraft, ma con una voce tutta sua, capace di trasportare il lettore in un altrove meraviglioso e inquietante. Il finale è una vertigine che ribalta ogni certezza. Davvero molto bello.