Naufragio

Serie: Naufrago


Parla di un naufragio

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Naufragio

Come una nave che, senza ormai nessuno al timone, arranca sulle onde alla deriva ed infine si arena sugli scogli di un’isola rocciosa a forma di teschio, io annaspo.

Sono vivo, scendo da quello che resta della nave ormai schiantata, come un cetaceo sdraiato sulla sabbia. Mi incammino verso la giungla che sovrasta l’orizzonte, alle spalle oceano ribollente dal quale voglio fuggire ancora.

Le fronde sono inestricabili, uccelli ed altre creature mi scrutano e stridono richiami angoscianti, incespico fra fiumi di foglie giganti e nebbie grondanti.

La strada nascosta si arrampica su coste franose, sassi rotolano sotto i miei piedi. Aria densa come acqua di mare, stento a riempire il petto, il cuore batte come un tamburo di guerra il suo eco smuove le ali di mille farfalle.

Fronte imperlata corpo fradicio le vesti si appiccicano come velina spalmata di colla di un improbabile aquilone giocattolo, occhi arrossati e labbra spaccate agognano acqua fresca che non c’è.

La mente vaga in cerca di logica, i piedi strisciano in cerca di sentiero, mani e braccia remano come in mare, le onde verdi graffiano di roveti spinosi.

Radura soleggiata improvvisa oasi nel deserto frondoso, nessuna fonte bagna la sabbia. L’orizzonte stende le sue quinte di azzurro schiumoso, scogliere cingono come mura di città, il teschio roccioso.

Giù fra grotti scoscesi rivolo di rugiada trasforma l’aria in mille zirconi vaporosi, acqua si incanala e dimora in placido specchio.

Corro, frano, precipito come meteora infuocata, traccio una scia fra cespugli e canne flessibili. Mi spengo nel lago e sfrigolo come ferro battuto sull’incudine rosso fuoco di acciaio mi tempro e mi ritempro.

Sdraiato sulla sponda del lago, fresca come un’ombra estiva guardo l’azzurro intenso senza nuvole, una scia di aereo solca quella volta immensa, quasi solida. Un grido roco di bestia ancestrale mi riscuote, rabbrividisco e penso, l’istinto si risveglia ed urla “fuggi”. Mi alzo in ginocchio scruto il verde che mi circonda, di nuovo quel rumore, come un lembo di concia che si strappa, inequivocabilmente di un predatore, forse affamato, di sicuro guidato dal primordiale senso di difesa territoriale, ed io oltre che pasto sono un intruso.

Non ho lame, non ho strumenti sono come un bimbo caduto nel recinto degli orsi, ma questo non è uno zoo, o forse si, la mente s’annebbia il terrore mi attanaglia il cuore e mi spezza il passo.

Non oso addentrarmi nella giungla, decido di risalire le cascate ed il fiume, più per abitudine che per scelta mi riallaccio strette le scarpe umide, e tronco una canna che fungerà da bastone e da lancia, se avessi una punta.

Trovo una selce la spacco e formo una picca, mi sento un Neanderthal, nemmeno un Sapiens, non ho da legare ma la infilo in tasca.

La salita breve ma irta mi porta su di un altopiano erboso, il fiume scorre lento fino al salto, in lontananza creste montuose color malva si stagliano come vele di un convoglio di pirati, le Jolly Roger sembrano sbattere dai loro alberi maestri e schioccare come fruste.

Il rumore atavico mi raggiunge, è sotto la cascata, ha annusato la preda ed inizia la sua caccia e la mia fuga.

Tolgo le stringhe e lego la selce alla canna, perdo le scarpe camminando, me le sfilo, le lego insieme con la stringa rimasta e le metto a tracolla, l’erba del prato non è così difficile e dolorosa da percorrere. Ricordi di romanzieri e sceneggiatori, entro nel fiume, faccio perdere le tracce, così almeno spero, dietro un’ansa mi riposo, ho i piedi congelati, istinto grida forte fuoco. Già fuoco, maledico il fatto di aver smesso di fumare da anni, non ho un cazzo di niente, niente acciarino niente bic colorati, la selce mi pungola attraverso la tasca, di nuovo romanzieri come suggeritori.

Torno alla cascata, le selci sono lì ad attendermi, ma anche la bestia, la sento ansimare lì sotto, il suo lamento mi turba, ma non mi atterrisce più come prima, la sua voce ormai è quasi familiare.

Raccolgo un po’ di pietre, spero focaie, e torno ad immergermi nel corso d’acqua, ghiacciaio liquido, ma devo. Raggiungo l’ansa e mi ritiro al riparo di un grotto sabbioso, il sole è ancora alto, mi adagio e crollo in un sonno isterico, pochi minuti sembrano ore, il rem non è questo.

Mi affaccio al di sopra della sponda, il salto è ad una decina di chilometri forse meno, non vedo minacce e non odo ruggiti, non so se rassicurarmi di questo, ma mi alzo e mi rincammino sui ciottoli sommersi di questo fiume argenteo, pesci arancio mi guizzano intorno, saranno la mia cena, a costo di addentarli crudi come Gollum.

Non so quanto tempo ho nuotato a piedi in questo fiume, limpido e freddo come acciaio d’inverno, ma l’orizzonte fatto di vele, adesso è scuro, in controluce con un tramonto rosso sangue. Devo fermarmi e accendere un fuoco, già se fosse il mio barbecue, basterebbe una spruzzata di liquido ed un accendino, per realizzare il miracolo. Ma stasera ho proprio bisogno di quello, perché se non riesco ad illuminare l’oscurità ed a scaldarmi, non arriverò al mattino.

Esco dall’acqua, risalgo una sponda sabbiosa, mi fermo ed in silenzio ascolto e scruto alle mie spalle, terrorizzato all’idea di scorgere un’ombra dal fiato marcio. Non sento niente di più dello scorrere del fiume fra i ciottoli, e non scorgo nessuna fiera famelica, per adesso. Devo trovare paglia, foglie secche legna, e sperare che le pietre creino scintille come mole di un fabbro medievale. Prima di addentrarmi nella vegetazione ora scura come fosse carbonizzata da un incendio, alzo lo sguardo il sangue ha lasciato il posto ad un porpora scuro, e la prima luna sta sorgendo a sud dipingendo il suo cammino di pennellate violette. Ho come un senso di pace intorno, non un suono artificiale, nessun ronzio, nessun soffio nessun ticchettio, solo gemiti e strilli sommessi, frusciare di foglie e sgocciolare d’acqua.

Serie: Naufrago


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