Oltre
Capitolo 11
26 agosto 2016
Paolo Milani era lì, in piedi, di spalle. Elena, con lo sguardo compiaciuto, notò che aveva indosso una camicia con le maniche arrotolate e un gilet che gli faceva apparire le spalle più larghe.
Le mani infilate in tasca invece mettevano in mostra due natiche perfette in tensione. Chiacchierava in maniera disinvolta con una donna al suo fianco. Di profilo Elena riuscì a cogliere il suo sorriso mentre la donna cercava di farsi sentire in mezzo alla confusione. Elena aveva incrociato il suo sguardo più di una volta ma l’imbarazzo aveva avuto sempre la meglio. A lei non era concesso chiacchierare a quel modo con lui, e quelle poche volte che succedeva era sempre insieme ad altre persone. Eppure in quell’occasione, come in altre, Elena sapeva che, anche se di spalle, Paolo era lì per lei, per dirle che era nei suoi pensieri, per proteggerla, se e quando lei avesse voluto. Nonostante fossero già passati due anni dall’inizio della loro storia, a Elena non era ancora chiaro quello che avrebbe voluto.
Gli uomini con cui era stata in precedenza, compreso suo marito, erano sempre stati attratti dalle sue insicurezze. Lei sapeva che era proprio quell’arma a doppio taglio a renderla sensuale ai loro occhi, una calamita dalla quale non riuscivano a staccarsi. Era stata per anni una lepre a cui dare sempre la caccia. E non si erano limitati a quello, avevano anche provato a spingerla fuori da quella che pensavano fosse la sua zona di comfort, per stimolarla, forse per fame di un suo qualcosa di cui non si sentivano mai sazi. Nessuno di loro – e non ne aveva avute poche di storie – era arrivato a capire che Elena si sentiva insicura come quando era a un colloquio di lavoro, mentre guidava o in ascensore con degli sconosciuti. Nessuno di loro era mai arrivato a capire che lei una zona di comfort non l’aveva mai avuta. Elena era una bancarella fragile di ninnoli luccicanti, esposta al mondo, su cui molti avevano messo le mani per entrarne in possesso e nessuno di loro aveva fatto caso al cartello: Guardare ma non toccare.
C’erano mattine in cui Elena si svegliava e già avvertiva la sua mancanza. Non sapeva perché Paolo le mancasse, e quante volte aveva cercato di ripercorrere all’indietro le strade della ragione e capire cosa la spingesse a provare certe sensazioni nei suoi confronti, non ne veniva a capo. Lui era l’uomo che non avrebbe potuto mai appartenerle, né lei avrebbe mai potuto appartenere a lui. Era forse questa la ragione per cui dava enfasi inconsapevolmente a quel modo di sentire che non aveva ragion di essere. E se mai le fosse capitato di ammetterlo a se stessa, avrebbe finito per sentirsi stupida. L’attrazione che provava per lui le dava non poco filo da torcere, ma in fondo non era quel tipo d’amore che le interessava. Lei era attratta dalla sua personalità, dalla timidezza dietro la quale lui si nascondeva, dall’imbarazzo che lei gli procurava, dalla noncuranza a cui lui si aggrappava per sfuggire agli sguardi di lei soffocanti, dal senso di sicurezza che le trasmetteva nonostante il mondo in tumulto che aveva dentro. La scelta di non legarsi a nessuna donna, per paura di soffrire poteva sembrare all’apparenza un espediente che poteva offendere l’intero genere femminile, qualcuno avrebbe potuto persino definirla una mancanza di coraggio o un agire da codardi, ma lei no, lei sapeva che dietro quella scelta c’era altro, che la paura di esporsi poteva essere un motivo più che valido per non lasciarsi andare e che ribellarsi a una simile condizione sarebbe stato pressoché inutile. Per questo non riusciva a fare a meno di accogliere e condividere la decisione di Paolo.
E rimanendo un po’ di tempo in più a letto, al caldo delle coperte, si abbandonava alle sue fantasie di un amore impossibile, dove finalmente riusciva a intrecciare delicatamente le sue dita a quelle di Paolo e ad appoggiare la testa nell’incavo del suo collo per respirare a fondo il suo dolcissimo profumo fino a quanto le avessero consentito i polmoni.
E quel mattino Paolo era ancora lì nella sua testa. Sentiva addosso quello sguardo che da indagatore era diventato sempre più caldo e avvolgente.
Sola nel suo letto, fu presa da un forte desiderio di rivivere i momenti di passione trascorsi con lui.
Andò con la mente a quell’indimenticabile ricordo carnale che li aveva legati indissolubilmente e avrebbe voluto ritrovarlo davanti a sé mentre se la mangiava con gli occhi. Con la testa premuta di lato sul cuscino, con una mano si sfiorò il seno che fuoriusciva dalla camicia e con l’altra, tra le parti intime, si toccò quel promontorio che le dita di Paolo si erano divertite a stuzzicare il giorno prima.
Se lo immaginò nudo sotto un lenzuolo immacolato. Paolo aveva l’odore del mare tumultuoso in un giorno di freddo pungente, lei l’odore della pioggia in un giorno d’estate quando tocca il terreno cocente ed evapora. Lui era l’inquietudine che da una vita le abitava dentro e a cui lei sfuggiva di continuo. Lei era il sovvertimento delle regole che lo sconvolgeva e allo stesso tempo liberava dalla ragione a cui si costringeva. Cercarsi e sfuggirsi era diventato un rituale altalenante dei loro fugaci incontri. A letto Elena evitava accuratamente di incontrare il suo sguardo. E in lui aumentava la voglia di possederla. Nel corpo e nell’anima. Con lo sguardo rivolto verso la finestra lei si lasciava accarezzare la pelle bianca e secca, si concedeva a lui per l’infinito piacere di dargli piacere ma, una volta annusato l’odore della vittoria, bussava di nuovo alla porta del suo cuore la nostalgia per la fuga, l’unica arma che aveva per recuperare la sua identità ma anche la condanna a una caccia perenne da parte di lui. Non le dispiaceva essere inseguita. La fuga era la pratica incosciente che le serviva per attirare la sua attenzione, ma sapeva che c’era dell’altro. Sapeva che era un’urgenza che si presentava ogni volta come se fosse la prima, perché solo così sentiva di appartenere a se stessa e a nessun altro. Chiunque avesse scritto il libro della sua vita le aveva negato la possibilità di vivere accanto a Paolo, li aveva fatti incontrare in un momento in cui veniva loro negata la possibilità di amarsi liberamente con i vincoli e le scelte di mezza vita passata lontani. E almeno quella piccola ma immensa vittoria di possederne, seppur per pochi attimi, l’intera anima la riscattava di tutto quello che non avrebbe mai potuto avere da lui.
Elena voleva bene a Paolo, facendo trasparire un effetto più materno che passionale sarebbe rimasta ore ad accarezzargli la testa, a baciargli la punta del naso, a massaggiargli la ruga di tensione sulla fronte, eppure ogni tanto, tra le tante paure che si insinuavano nella sua mente, ce n’era una che si faceva sempre più largo: che lui potesse in qualche modo deluderla, che potesse in qualche modo ferirla. Si aspettava che da un momento all’altro l’amore che si scambiavano in modo viscerale, potesse corrompersi, potesse rivelarsi effimero. In realtà aveva paura che lui potesse accettare e cedere alle avance di qualche altra donna che diversamente da lei, non si faceva tanti problemi di sorta. L’avrebbe infastidita non poco sapere di essere stata tradita nei sentimenti. Sapere che lui poteva deluderla non solo come amante ma soprattutto come uomo. Che la promessa tacita e consenziente di vivere un amore fatto spesso di sguardi e di gesti rubati potesse essere infranta, l’avviliva, e non bastavano i complimenti spinti e le insistenti richieste di uscire da parte di altri uomini a tirarla su quella mattina. Non era quel tipo di rassicurazioni che cercava.
Anzi avrebbe voluto che fosse lui a toccarla in quelle profondità e che il desiderio di lui salisse solo in funzione del suo, fino a quando non avesse raggiunto il suo culmine.
In quei momenti con lui le sembrava che il tempo si fermasse.
Quando raggiunse il culmine del piacere le sfuggì una lacrima e si abbandonò a un inebriante riposo e dopo qualche attimo ricadde in un sonno profondo. Quando si tirò su dal letto per raggiungere il bagno si guardò allo specchio, si massaggiò le rughe di espressione sotto gli occhi e sospirò. Poi appoggiò le mani sul lavandino e con la testa china a fissare il vuoto ricordò il sogno che aveva fatto poco prima.
Era su un’ampia terrazza di un palazzo antico e raffinato che aveva grandi finestre da cui svolazzavano enormi tende bianche. Lei si sistemava il vestito a ruota che indossava e fu sorpresa da una sensazione di allegria quando un bambinetto di poco più di sei anni le tirò un lembo del gonnellone e, con la sua ristata contagiosa, la invitò a rincorrerlo. Lei non perse tempo e cominciò felice a rincorrerlo lungo la terrazza. Durante la corsa una folata di vento fece sbattere una delle grandi finestre nel cui vetro poté specchiarsi.
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Personaggio ben delineato, Vai avanti!!!
Ciao Abigail. Credo di comprendere che hai inserito qui uno dei capitoli di un tuo scritto, per sondare un eventuale interesse ad un romanzo che ha Elena come protagonista. Posso solo dirti che hai caratterizzato il suo personaggio a tutto tondo e lasciato la curiosità di conoscerla meglio
Grazie! Sono contenta che ti piaccia, Micol. Se la curiosità è tanta, il romanzo per intero lo trovi su Amazon. Buona lettura!