Se solo sapessero…

Serie: Ne verremo a capo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: C'è un qualcosa, un errore che tormenta i sei ragazzi. Un qualcosa diverso per ciascuno ma comune a tutti

L’odio; è tremendo, l’odio. Perché una volta che ti s’infila sottopelle, poi non te lo togli più.

L’odio. Fa male, l’odio. Ti scava dentro, ti erode l’anima piano piano, finché non diventi cieco di fronte a qualsiasi cosa.

Tarassaco non sapeva bene perché odiasse tanto.

Odiava Glicine che era troppo rumoroso, Ciclamino con la sua faccia depressa, Giglio e i suoi discorsi apatici, Orchidea e la sua convinzione di essere al di sopra di tutto, Primula e il suo sguardo basso da vittima…

E, sì, anche sé stesso, proprio a causa del suo odio.

Esplodeva, quando non riusciva più a contenerlo. Perdeva il controllo, non era più lui.

Era ormai pomeriggio inoltrato e stringeva i pugni, cercando inutilmente di non pensare.

Bussarono alla porta.

“Che cazzo vogliono adesso?” mormorò, alzandosi malvolentieri ad aprire.

Cristo, proprio lui ci voleva.

Sì, Tulipano, sei arrivato proprio al momento giusto.

“Posso entrare?”

No che non puoi entrare, vattene, fuori dai coglioni.

“Vieni.”

Lo guardò andare a sedersi sul letto.

Chiuse piano la porta e restò in piedi a fissarlo, chiedendosi cosa volesse.

Poi si sedette pure lui, lì vicino.

“Vi ho visto” sussurrò Tulipano, evitando il contato visivo con l’altro ragazzo.

Merda.

“Ci hai visto… quando?”

“Stamattina, prestissimo. Vi ho visto scendere, avete fatto un casino incredibile. Vi ho visto sedervi al tavolo e parlare e… avevo una domanda…”

Oh no. Ecco di chi erano i passi.

Tulipano, ti prego, lasciami stare. Sono già abbastanza incazzato di mio.

“Dimmi.”

Ti prego, dimmi che non hai sentito niente, ti prego, ti prego, ti prego.

Tulipano gli indirizzò uno sguardo a metà tra l’irritato e il deluso.

“Perché non me l’avete detto? Perché non mi avete invitato?”

Tarassaco abbassò gli occhi, pensando a una scusa plausibile, ma non gli veniva in mente nulla.

“Mi dispiace, Tulipano, io…”

“Se non mi volete me ne vado.”

“No!”

No, per carità, no.

Tulipano fu preso alla sprovvista dall’urlo disperato, e si allontanò leggermente.

“Mi dispiace, davvero. Non… non so nemmeno come spiegartelo, capisci?”

Ci fosse stata Orchidea, avrebbe già risolto la situazione. Ma lui a mentire faceva schifo, e non aveva idea di come giustificarsi.

“Non capisco: mi volete, ma poi non mi rendete partecipe di nulla; che sta succedendo?” chiese Tulipano, confuso e ferito.

Tarassaco sospirò, sedendosi anche lui sul letto.

Poi, fu tutto improvviso: scoppiò a piangere. Si nascose la faccia tra le mani, la schiena piegata che sussultava.

“Mi dispiace…” mormorò.

Lo stava dicendo a Tulipano, ma non solo a lui.

Il ragazzo rimase un attimo immobile, poi si riprese e guardò Tarassaco con occhi più comprensivi.

“Ho capito. Va bene. Era una cosa tra voi, immagino, in fondo sembra che vi conosciate da anni… Va bene. Tranquillo. Era qualcosa di privato” lo rassicurò Tulipano, mettendogli una mano sulla schiena.

Tarassaco smise lentamente di piangere, si asciugò in fretta le lacrime e guardò Tulipano. Guardò il suo naso aquilino, il suo volto aguzzo, le piccole lentiggini sulle guance…

“Però davvero, voglio partecipare anch’io” ripeté Tulipano.

Tarassaco annuì poco convinto, distratto da altro.

“Tutto bene?” si preoccupò il ragazzo.

Tarassaco annuì.

Tulipano, se solo sapessi…

***

Glicine salì le scale e si chiuse nella propria stanza. Non aveva bene idea di cosa fare. In realtà non ne aveva mai idea, tendeva ad agire prima di pensare, a prendere gli eventi come venivano senza ragionarci troppo su. Però adesso era diverso. Perchè la posta in gioco era troppo alta per essere ignorata.

Devi cambiare.

Ma io sto bene così. Io non ho bisogno di cambiare.

Sei sempre agli estremi.

E quindi? Saranno cazzi miei.

Le relazioni sociali.

Sì, forse faceva un po’ fatica, forse a volte si sentiva un alieno, ma chissenefrega!

A proposito di relazioni sociali, dov’era finito Mic?

Bussò alla camera 115, ma non rispose nessuno.

Decise di scendere, alla ricerca del suo ospite, ma si imbatté in Matteo, che stava cazzeggiando come suo solito.

“Come va? Progressi?” gli chiese il receptionist, appoggiandosi con noncuranza al muro.

Glicine scrollò le spalle: non gli voleva raccontare della lettera… ma avrebbe dovuto?

Matteo lo guardò inclinando leggermente la testa e lasciando intravedere un sorriso divertito.

“Che c’è? Continua la tua caccia al tesoro, magari trovi qualcosa” lo consigliò.

Glicine evitò il suo sguardo. Forse avrebbe dovuto dirglielo, renderlo partecipe del disastro, forse avrebbe potuto aiutarli. Ma non glielo disse, lo pensò solo.

Matteo, io ho già trovato qualcosa… Ma non era il qualcosa che volevo trovare.

***

“Secondo te si può cambiare in tre giorni?”

“Cosa… Perchè mi fai questa domanda?”

“Rispondi e basta.”

Virginia lo guardò male, infastidita dal comando.

Giglio si era presentato così, senza preavviso, bussando con forza alla porta della sua stanza, proprio mentre lei aveva appena finito di bersi un cappuccino. E ora se n’era uscito con quella domanda.

“Che cazzo vuoi che ne sappia io, scusa?”

“Secondo te si può cambiare in tre giorni?”

“Non lo so, dipende cosa intendi. Si può fingere di cambiare in tre giorni, quello sì.”

“Fingere…”

Virginia fece per chiudere la porta, ma Giglio la trattenne.

“Ma fingere di cambiare equivale a cambiare?”

“Senti… No, o forse sì, dipende cosa intendi. A volte si finge tanto che la bugia diventa verità… Dipende con che scopo me lo stai chiedendo.”

“Devo cambiare” confessò Giglio a mezza voce.

“Ehm… Bene?”

“Devo cambiare.”

“Sì, l’hai già detto.”

“Devi aiutarmi a cambiare.”

Virginia sorrise divertita.

“Io non ti devo niente, lo sai?”

“No. Tu devi aiutarmi a cambiare.”

Virginia lo fissò, questa volta più irritata.

“Oppure?”

“Oppure muoio” ammise nuovamente Giglio.

Virginia restò a guardarlo un attimo, pensierosa.

“Ok. Muori.”

“Stai scherzando? Non te ne frega niente?” le chiese perplesso Giglio. Il fatto di aver trovato qualcuno come lui lo metteva in confusione.

Virginia emise un lungo sospiro, appoggiandosi allo stipite della porta.

“Detto così sembra abbastanza brutale, però sì, circa. Cioè, senza il circa. Sì. Tanto alla fine tutti moriamo, no? Quindi chissenefrega. Io potrei morire domani, e nessuno sarebbe in grado di fare nulla per farmi tornare in vita. Funziona così, punto.”

“Ma… mi lasceresti morire, pur sapendo che potresti aiutarmi?”

Virginia scrollò le spalle.

“Non è che me ne freghi tanto, sai? La morte non è così male come tutti pensano, a mio parere. Che ti devo dire? Sì, ti lascerei morire, se è questo che vuoi sentirti dire, se vuoi che te lo dica in modo esplicito.”

“Perchè sei così simile a me?”

Virginia si distrasse dalla sua contemplazione e tornò con lo sguardo su Giglio.

“Eh?”

“Tu la pensi come me, ragioni come me…”

Virginia sorrise.

“Bene, allora siamo d’accordo. Buona morte.”

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