150 RAGAZZE PRIMO GIORNO, SECONDO LOCALE

Serie: 150 RAGAZZE


In meno di due minuti eravamo seduti al tavolo, in un posto nuovo, guardandoci intorno per cercare altre due ragazze con cui attaccare bottone.

Ci eravamo seduti vicino a due che parlavano a bassa voce, mentre tutti gli altri urlavano e si dimenavano sotto una musica assordante.

Eravamo a meno di un metro da loro.

Ci guardavamo, aspettando il momento giusto, per fare esattamente quello che avevamo fatto qualche ora prima.

D’un tratto una delle due ragazze scoppia a piangere, e l’altra comincia a consolarla, accarezzandole la testa. Passò qualche minuto, nei quali la ragazza continuava a piangere. L’amica, aveva smesso di consolarla, e si guardava intorno. Si vede che da quella sera si aspettava qualcos’altro. Forse voleva conoscere due ragazzi belli e divertenti, o forse voleva solo qualcosa che la distraesse dallo strazio di quella amica che non smetteva di lamentarsi.

Mi girai.

Guardai la ragazza piangere tra le mani, e presi aria.

Era più difficile dell’altro locale, poteva piangere per motivi seri, ed io sarei potuto risultare ancora più fuori luogo, ancora più viscido.

Decisi che non mi importava. Ormai dovevo squarciare il velo di maya che mi costringeva a vivere nella paura che qualcosa di brutto fosse sempre dietro l’angolo.

La guardai ancora una volta per cercare di prendere una decisione.

Presi tutto il coraggio che avevo in corpo e dissi.

<< P..perché la tua amica piange? >>

<< EH..>> e puntò gli occhi al cielo, come per dire: che palle sta qua.

L’altra smise di piangere. E mi guardò incuriosita.

<< Allora perché stai piangendo? >> Incalzò Giovanni, che ormai, come me, stava cominciando a capire il meccanismo.

<< Non ve lo posso dire..>> singhiozzò.

Noi ci guardammo, e trattenemmo un sorriso.

Era esattamente quello che diceva la ragazza del locale di prima, prima che ci snocciolasse ogni cosa nei minimi dettagli.

<< Pensa di aver preso l’università sbagliata, e che la sua vita ormai è rovinata.>>

La ragazza ancora con le lacrime agli occhi, fulminò con lo sguardo l’altra.

<< Che c’è? è vero!>> si giustificò lei.

Parlammo con loro.

Si presentarono. La ragazza che piangeva si chiamava Irene, mentre l’altra si chiamava Jasmine.

Io dissi di essere il figlio dell’ambasciatore del Marocco, ovviamente non mi credettero, mentre Giovanni di essere un designer di gioielli. Veniva quasi naturale mentire, stavamo indossando una maschera per difenderci emotivamente da quello che sarebbe potuto succedere.

Andammo via insieme da quel chiosco, e cominciammo a camminare per le vie deserte di una Roma che intanto ci donava tutta la sua bellezza.

Le luci ocra riflettevano sulla strada lucida. L’aria non era più frizzantina, era elettrica. Donava la sensazione di stare al massimo. Di aver defibrillato ogni cellula del tuo corpo.

Io camminavo a fianco di Jasmine, che mi interrogava sulla mia vita, per capire se fossi un buon partito con cui fare coppia.

Stessa cosa Irene con Giovanni.

Per un attimo vidi la serata come scorrere all’indietro.

Avevamo parlato con 6/7 ragazze diverse nell’arco di 2 ore.

Può non sembrare grandioso, ma lo era.

Era una sensazione magnifica. Sembrava di cavalcare la vita: quando in due ore fai quello che di solito facevi in due mesi, ti senti vivo.

Camminavo con Jasmine, lei non conosceva me ed io non conoscevo lei.

Ci appoggiammo ad una macchina. Lei mi guardava, come per chiedermi ma tu, effettivamente, chi cazzo sei?

Ed io schivavo le sue domande dirette, e le smussavo con risposte generiche.

Mi avvicinai a lei sempre di più, e cominciai a parlarle delle cose belle della vita, che spesso durano un’attimo.

Di come quella sera poteva essere monotona come le altre, o diversa ed eccitante.

Lo pensavo davvero.

Lei seguiva il mio discorso, facendo finta di non sapere dove volessi andare a parare.

Ci avvicinammo sempre più e le nostre bocche, sembravano due calamite che si attraevano come se fossero state staccate dalla nascita e poi ricongiunte.

Eravamo ad un centimetro l’uno dall’altra, e lei cominciò a socchiudere gli occhi. Aspettando di sentire le mie labbra sulle sue, come in un tutt’uno.

Coprii quel centimetro in meno di un secondo, e ci ritrovammo abbracciati l’un l’altro. Come se ci conoscessimo da tempo.

Mentre ci baciavamo tutt’intorno sembrava spento, come se non ci fosse più nulla. Durò un minuto, forse due. Non lo so.

So solo che quella sensazione era qualcosa che avevo scoperto, e di cui non volevo più fare a meno. La sensazione di far parte del fiume della vita che scorre, di far parte delle cose che ti circondano, in simbiosi col tutto. Mi sentivo vivo e presente, e volevo vivere così per sempre.

Serie: 150 RAGAZZE


Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “So solo che quella sensazione era qualcosa che avevo scoperto, e di cui non volevo più fare a meno. La sensazione di far parte del fiume della vita che scorre, di far parte delle cose che ti circondano, in simbiosi col tutto. “
    ❤️ Vero, la vita non ci aspetta dobbiamo afferrarla con forza