
-4.306 GIORNI ALL’ALBA
Tutto ha avuto inizio il 16 giugno 2008, un giorno come tanti altri. Era un lunedì lavorativo, non ricordo niente di diverso dalla solita routine, però ha segnato profondamente la mia vita. Una vita – 38 anni – passata dietro ad una scrivania in un lavoro da molti invidiato, che non mi dava gioia, e che non ho voluto cambiare – giustamente – perché a 49 anni un salto nel buio era un azzardo, una follia e poi per dove!
A 14 anni di distanza mi chiedo il perché di quel count down; sarà stato per gioco o forse per noia o perché contare mi divertiva sempre. Quand’ero bambino contavo le auto che passavano dal balcone di casa; contavo i giorni che mancavano alle vacanze scolastiche e non ho potuto far a meno di contare anche i giorni che mancavano al mio congedo dal servizio militare. Contare i passi è un’abitudine che ancora oggi mi vien naturale nonostante una app dedicata certifichi la distanza ed i passi fatti.
Ritornando al 16 giugno 2008 il conteggio era del tutto approssimativo perché la data di quiescenza era presunta, o perlomeno auspicata nel suo limite massimo. Ho continuato quasi per scherzo, forse per vedere se le mie previsioni si sarebbero avverate.
Contare il tempo, col tempo, mi ha portato a delle considerazioni. Il tempo scorre inesorabile senza accelerazioni o frenate; misura la vita di ogni essere umano vivente indifferentemente dalla percezione soggettiva, personale, che può accorciarlo, facendolo passare in un attimo nei momenti di felicità, o allungarlo a dismisura in quelli tristi. L’attesa, quando la misuri in giorni, ore o minuti sembra infinita; se poi sono anni diventa una pena che non si riduce di giorno in giorno perché il traguardo in assoluto è più vicino, magari s’intravede lontanissimo, anzi, aumenta e non ti conforta quel numero che si è ridotto dal giorno prima perché, inconsciamente, è un giorno in più che stai contando, o meglio scontando trattandosi di una pena.
“Contare e scontare, contare e scontare” i giorno passavano così lenti, maledettamente lenti. Io li contavo e scontavo quella pena autoinflittami sperando sempre in uno sconto – di pena. Non ci contavo molto perché con un’aspettativa di vita in aumento – fortunatamente – anche la meta tanto agognata si allontanava diventando una chimera. Come in un Tom Tom immaginario il ricalcolo dei giorni mi riportava indietro impietosamente. Era passato un altro anno ma il numero, -3.500, era lo stesso dell’anno prima.
Il mio era un lavoro che una volta contava; contava molto soprattutto nell’immaginario delle persone comuni, poi, superati i 50 anni, mi sono accorto che ero io che contavo poco o niente per quel lavoro. Così ho iniziato a contare, contare i contanti, tanti contanti a milioni, con tanti saluti all’esperienza fin lì acquisita che risultava per magia di colpo svanita.
Era un lavoro fisso sempre in movimento: un ossimoro. Dopo anni, sempre al solito posto, iniziai una vorticosa perenigrazione da un’agenzia all’altra facendo terra bruciata al mio passaggio. Nessuna agenzia è sopravvissuta, tutte hanno chiuso i battenti tranne l’ultima dove è stata chiusa la cassa, che di solito prelude al suo imminente funerale. Così, in mezzo a quel tunnel infernale, quando ogni speranza pareva svanita di riveder le stelle, improvvisamente ho capito che la salvezza era alle porte:
ABEMUS EXODUS!
Era l’annuncio a cui non ho potuto e voluto rinunciare. Da quel momento la data era fissata, impressa su quella e-mail certificata non più modificabile. Il 31 gennaio 2019 era la mia meta, l’ultimo giorno di lavoro. Il count down ora poteva continuare preciso, inarrestabile, facendo un notevole balzo in avanti: da -2.500 a -700.
Ora le mie giornate iniziavano con un rito preciso: scrivevo su di un mezzo foglio A 4 riciclato dal cestino il numero, di dimensioni cubitali, dei giorno mancanti totali e a fianco il numero di quelli lavorativi. I fogli si cumulavano ordinati formando una pila che aumentava impercettibilmente di giorno in giorno; erano sempre ben in vista a fianco della scrivania, destando stupore nei colleghi ed anche in tanti clienti incuriositi. Se non la vedevano mi chiedevano: “E allora quanto manca?”
Il giorno tanto atteso arrivò uguale come tutti gli altri. Era una giornata d’inverno, dopo aver varcato la bussola d’ingresso e dopo un breve cenno di saluto rivolto ai colleghi, con le mani ancora infreddolite, ricordo di aver scritto un bel zero e disegnato una bandierina a scacchi sull’ultimo foglio. Il traguardo era raggiunto ma non c’era niente da festeggiare. Poi il solito lavoro fino a sera, un saluto veloce ed una rapida uscita dalla solita bussola che si è richiusa automaticamente come un sipario. In quel movimento ho visto scorrere alle spalle tutto una vita di lavoro senza alcun rimpianto: perché non si può rimpiangere quello che non si è mai amato.
La fortuna arride agli audaci, si sa. Io non lo sono mai stato ma non per questo mi considero sfortunato, anche se è vero che non è tutto oro quello che luccica.
Son passati tre anni da allora in un baleno. Contare forse per me è un bisogno innato. Adesso conto i giorni da quello che è stato il giorno “zero” sperando che il conteggio continui il più a lungo possibile: +1.096, +1.097, +1.098……..
Ora i numeri non hanno più il segno meno. Sono tutti numeri positivi, in tutti i sensi.
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Sono un pensionato, come te. Sono stato dipendente pochi anni, da giovane, e poi sempre autonomo, prima come agente e poi come artigiano (grafica e serigrafia). Ho amato il mio lavoro e buona parte dei miei clienti. Pensavo di sentirne la mancanza ma la pensione, pur considerandola la sala d’aspetto di quell’evento ineluttabile, si è rivelata prodiga di soddisfazione: passeggiare in montagna, andare a funghi, coltivare l’orto, scrivere ed anche fare il casalingo preparando pranzo e cena alla mia amata compagna mi fa amare il tempo che vivo. Viva la pensione!
Brutti ricordi. Pensa che oggi sono arrivato a segnare sul diario + 2.109, come passa il tempo, speriamo che il conteggio non si interrompa definitivamente. Forse sarebbe meglio, una bella pietra tombale sull’opera di Fabius P. con questo epitaffio: qui giace Fabius P. scrittore di scarso successo, il tempo e l’oblio hanno cancellato ogni sua traccia, lui non se lo sa spiegare però è successo.
Sono felice che i tuoi giorni siano tornati positivi.
Sono in pensione anch’io, però ho avuto la fortuna di fare un lavoro che amavo e che mi dava soddisfazione. Ero convinto di portarmi dietro qualche rimpianto, se non altro per i colleghi, ma così non è stato.
Goditeli tutti i tuoi giorni positivi: non sono solo importanti, sono soprattutto tutti tuoi.
Tutto sommato siamo stati fortunati. Oggi è molto peggio, non solo per chi fa un lavoro poco gratificante, anche per chi lo ama perché è comunque precario.