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Non fu un bacio lento o romantico, né sensuale o appassionato.
Sentivo la sua lingua in fiamme inseguire la mia come un serpente affamato, il suo respiro irregolare mi rimbombava nelle orecchie.
Mentre le sue mani, piene di angoscia, affondavano nelle mie braccia con una forza tale da farmi quasi male.
La sua bocca non stava cercando davvero la mia ma un porto sicuro in cui fermarsi, un’ancora a cui aggrapparsi.
Stava cercando disperatamente un contatto con la realtà, qualcosa che gli ricordasse di esserci ancora, di essere ancora vivo.
Quando finalmente riuscii a staccarlo dalle mie labbra il suo respiro si fece più pesante e scomposto.
Mi guardò smarrito, in cerca di risposte.
Risposte che io, però, non possedevo.
I suoi occhi erano velati da lacrime che lottavano contro la loro stessa natura per non uscire fuori all’improvviso ed inondargli il volto.
Non avevo mai visto uno sguardo tanto impaurito.
«Sto…Sto per morire» disse semplicemente con la voce rotta.
Sembrava più una constatazione la sua, una consapevolezza radicata nei meandri più profondi della sua anima.
Mi si strinse il cuore.
Gli poggiai una mano sulla guancia. Le mie dita, gelide, lo fecero sussultare per un breve istante, mentre la presa sulle mie braccia si allentò leggermente.
Restai immobile per alcuni secondi mentre lui apriva e chiudeva la bocca come un pesce fuor d’acqua.
I suoi polmoni gli chiedevano aria ma la sua mente gli diceva che non ce n’era.
Così cercai il tono più dolce e fermo che riuscii a trovare: «Respira».
In tutta risposta lui sgranò gli occhi scuotendo violentemente la testa, come se gli avessi appena chiesto di spostare una montagna a mani nude.
«No…Io…Non ci riesco…Non ce la faccio…»
Ma io insistetti decisa: «Respira».
Provò di nuovo ad aprire la bocca ma un singhiozzo lo colse alla sprovvista costringendolo ad affondare nuovamente le dita nella mia pelle.
Stava per crollare, lo sentivo, era solo una questione di tempo.
«Ascoltami, dobbiamo ispirare per quattro secondi, trattenere per altri quattro e poi buttiamo fuori sempre in quattro, puoi farlo insieme a me?»
Lui mi fissò ancora più smarrito, sentivo il battito accelerato del suo cuore come se stesse scalciando nella mia stessa gabbia toracica.
E solo alla fine, dopo diversi tentativi, riuscii finalmente a farlo respirare.
«Non voglio morire, non voglio…» ma alla fine furono le sue stesse parole a morirgli in gola.
Poi crollò davvero.
Non solo metaforicamente ma anche e, soprattutto, letteralmente.
Le ginocchia gli cedettero, il suo corpo si accasciò contro il mio che a sua volta scivolò contro il muro di pietra alle mie spalle.
Un metro e novanta di ragazzo accartocciato su se stesso come una pallottola di carta straccia.
Sembrava un bambino.
Impaurito, terrorizzato, completamente perso, ma pur sempre un bambino.
Quando ci ritrovammo entrambi a terra il suo pianto iniziò a dilagare nell’aria intorno a noi, come un’antica litania.
Non riuscivo più a vedergli il volto, lo teneva nascosto in un incavo tra il mio bacino e le costole, premuto contro il tessuto leggero dei miei vestiti.
Non sapevo se riuscisse a respirare così. Non sapevo nemmeno se lo stesse ancora facendo o se, più comprensibilmente, si fosse arreso all’idea.
Appoggiai la testa al muro e chiusi gli occhi per un breve istante mentre alcune lacrime calde minacciarono di uscire da un momento all’altro.
Feci appello a tutto il mio autocontrollo e le ricacciai indietro senza pensarci due volte.
Non riuscivo a vederlo così, non sapevo più che fare.
Ispirai anch’io, contando in silenzio nella mia testa.
Poi iniziai ad accarezzargli la testa con una mano mentre con l’altra creavo movimenti circolari sulla sua spalla sinistra.
Restammo lì così, per un tempo indefinito. Il suo pianto si consumò lentamente, come le braci del fuoco in un camino, mentre i suoi singhiozzi alla fine si placarono, trasformandosi prima in respiri tremanti e poi in un ritmo quasi normale.
Quando alzò la testa i suoi occhi erano gonfi e arrossati, li poggiò su di me e per la prima volta quella sera sembrò vedermi veramente.
«Scusa» sussurrò alla fine.
Quella semplice parola mi colpì come un pugno in pieno stomaco.
Scusa per cosa? Per essere crollato? Per essere umano?
«Non devi scusarti.»
Ma la mia voce tradì un fastidio ed una stanchezza che non avrei mai voluto mostrargli, non in quel momento.
Così distolsi lo sguardo di colpo, ma fu troppo tardi. Lui mi scrutò più attentamente finché qualcosa non attirò la sua attenzione.
«Le tue mani stanno tremando.»
Lo disse con la stessa tranquillità con cui si fa notare a qualcuno che il cielo è azzurro e il sole è luminoso.
Abbassai anch’io lo sguardo sulle mie mani e notai che aveva ragione, tremavano.
«Ho solo un po’ freddo» spiegai scrollando le spalle.
Non era una bugia, ma non era nemmeno la verità.
Si tirò su leggermente, senza staccarsi mai del tutto da me e questa volta fu lui a poggiarmi delicatamente una mano sulla guancia.
Era calda, era così calda.
«Tu…» iniziò, poi si fermò per un attimo, in cerca delle parole giuste. «Come facevi a saperlo? Come facevi a sapere cosa fare?»
Rimasi in silenzio, a pensare.
Come facevo a saperlo?
«Non è la prima volta che ne vedo uno» dissi semplicemente lasciandomi sfuggire un sospiro.
Non era una bugia, ma nemmeno tutta la verità.
Lui sembrò accorgersene ma non aggiunse più nulla, appoggiò la sua fronte contro la mia mentre iniziò a stringermi le mani tra le sue nel disperato tentativo di riscaldarle.
Restammo lì ancora per un po’, in silenzio.
Due naufraghi aggrappati allo stesso relitto. O solo due relitti affondati per caso nello stesso mare.
Quando ci alzammo da terra lo facemmo lentamente.
Ci aiutammo a vicenda, aggrappandoci l’uno all’altra, le nostre gambe erano ancora intorpidite, instabili.
Sembravamo due automi che non avevano mai camminato prima d’ora.
E forse era davvero così, forse avremmo dovuto imparare a camminare da capo.
Ma l’avremmo fatto, anche se non sapevamo ancora come, avremmo trovato un modo.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
“Due naufraghi aggrappati allo stesso relitto. O solo due relitti affondati per caso nello stesso mare.” Questa frase è potente e bellissima.
Ciao Sabrina, mi è piaciuto molto questo racconto. Non descrivi i personaggi, eppure li rendi perfettamente visibili e credibili, decisamente vivi. Molto brava!
Ti ringrazio di cuore Melania! 🫂
Ciao Sabrina. Hai scritto un testo intenso e viscerale che racconta un attacco di panico con grande autenticità emotiva. Mi sono sentita immersa nello stato d’ansia del personaggio.
Se posso permettermi, a tratti il tono drammatico l’ho sentito un po’ ridondante, ma l’impatto emotivo è sicuramente forte e sincero.
Il finale delicato lascia spazio a una fragile ripresa e a un legame umano profondo.
Grazie Cristiana per essere passata di qua, i tuoi consigli e le tue considerazioni sono sempre preziosissimi 🤍
Storia di marginalità intensa ed originale.
Immagino che lei sia una prostituta e lui un cliente disturbato.
Davvero piacevole il flebile spiraglio di speranza che deriva dall’improvvisa mutualistica unione delle rispettive fragilità
Grazie per questo commento, in realtà i due personaggi non hanno ruoli predefiniti ma mi piace molto la tua interpretazione!
Un racconto molto intenso e coinvolgente, con un ritmo che ti tiene incollato fino alla fine. Si sente tutta l’emozione e la fragilità dei personaggi, e il finale lascia addosso una sensazione di dolce tristezza e speranza insieme.
Ti ringrazio Mariano per essere passato di qui e per il commento 🫂