8 marzo

“Dio del cielo color nero non ci crederai

Non mi ferma più un diluvio, un lampo o una tempesta

Scorre l’aria nelle vele di queste mie mani

Questa pioggia eterna scenderà diversa

E questo cielo che incombe, raccoglie le ombre e le orme di piogge trascorse

Ed un viaggio che varica e valica questa realtà

Ha mutato in nuovi soli i vecchi tuoni dell’anima”

(Murubutu, Une chrononaute à Paris, 2022)

Ti riconosco nel movimento del polso sottile intento a sollevare il bicchiere dal tavolo, nel modo in cui pieghi la testa dopo aver risposto a una mia qualche domanda, nella piega che si forma sul tuo viso quando sorridi. Movimenti che vedo per la prima volta, ma che conosco da tutta la vita.

Dopo tutto, quando si può dire di conoscere a fondo una persona? Che cosa bisogna sapere di lei? Quanto tempo è necessario?

Io so quello che provi, so quello che pensi, so che cosa ti ha portato fino a qui oggi, so perché lo hai fatto.

Ti guardo giocherellare con un anellino che hai al dito, scopro il modo in cui socchiudi gli occhi quando ridi, ascolto il suono cristallino della tua voce, frammenti di te che faccio miei e chiudo nella custodia più profonda della mente, come tesori preziosi dai quali non separarsi mai.

Il tuo nome è un pozzo di acqua limpida nel quale rispecchiarsi, e stare di fronte a te è esattamente questo: un gioco di specchi riflessi.

Guardo te e vedo me stessa; vedo te e allo stesso tempo vedo me attraverso te. Perché io e te siamo più simili di quanto ci vorrebbero gli altri, e noi lo sappiamo.

Noi due, le stesse crepe del cuore come sassolini di un mosaico antico che torna alla luce parola dopo parola, un fiume calmo ma ineluttabile che smussa la roccia trovando la sua strada.

Ti riconosco, perché siamo state forgiate dalle stesse letture, dalle stesse passioni, dagli stessi sogni. Sei una versione migliore di me, lo riconosco. Lo riconosco, eppure invece di provarne invidia ne sono orgogliosa come se la tua persona mi appartenesse, come se vederti brillare fosse il proposito che stavo cercando da una vita, un proposito che non fa male, che non brucia, che non rischia di uccidere ma che rinnova ogni giorno la vita, anche ora che sono qui di fronte, fragile e trasparente come vetro. Anche ora che basterebbe un alito di vento, il tuo tocco leggero è venuto a curare e non a spingere, non a urtare, non a schiacciare.

Abbiamo abbattuto muri, costruito ponti. Le nostre mani inesperte hanno tessuto questo spazio bianco da riempire come vogliamo.

Dicono che le cose, per esistere, vadano nominate, che abbiano bisogno di un nome e di una forma, di un contenitore riconoscibile, di una definizione condivisa.

Cosa succede quando non ci sono nomi, quando non ci sono definizioni adatte?

A volte la vita prende forme che non sono mai esistite prima, che non sembravano possibili, ma senza le quali poi sembra impossibile respirare.

E io, stretta nell’abbraccio di una persona che incontro per la prima volta, scopro che esistono infinite forme di amore.

Alcune si nascondono dentro un esile corpo di donna, ma sono così potenti da non poter essere contenute e, prima o poi, esplodono riempendo di luce tutto lo spazio attorno.

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Discussioni

  1. Bellissima prosa. Mi hai fatto riflettere su come siano arbitrarie, da sempre, certe convinzioni. Su come sia possibile riconoscersi in un estraneo, e viceversa, non ritrovarsi con chi ci vive accanto da una vita. Mi è piaciuto molto questo piccolo universo al femminile che sei riuscita a creare. Senza invidia ne gelosie, semplicemente condivisone e amore. Fra donne non sempre è scontato accada. Mi sei piaciuta molto, sono curiosa di leggerti ancora.

  2. “Dopo tutto, quando si può dire di conoscere a fondo una persona? Che cosa bisogna sapere di lei? Quanto tempo è necessario?”
    bellissima