
A casa, Carlo
Serie: Due soldati
- Episodio 1: Pietro
- Episodio 2: A casa, Carlo
- Episodio 3: Salvati
STAGIONE 1
Calpestate da inclementi marce marziali, anche le campagne natie perdevano colore. Per un periodo, un gruppo di soldati tedeschi se ne era stato accampato sui terreni di famiglia, approfittando della cucina della bisnonna Maria.
Da una storia sentita più volte, me la figuro come una donna dal carattere deciso, risoluta. Sembra che una sera, dopo aver vuotato qualche bicchiere di troppo, un militare avesse sparato alle botti stipate in cantina, ravvivando il riso e le urla dei compagni. Nell’udire tanto schiamazzo, la padrona di casa si era precipitata tra gli ospiti molesti e, individuato il responsabile della bravata, lo aveva afferrato per la giubba con entrambe le mani, scuotendolo energicamente. Lo aveva sgridato con la stessa naturale autorità con cui un genitore avrebbe rimproverato al figlio una scemenza:
– Cretino! Domani sera che bevi?! –
Terrorizzate dalla possibilità di una qualche reazione che immaginavano sarebbe stata diretta e ben poco cerimoniosa, le figlie l’avevano intimata a lasciar correre, facendosi indietro. Magari, se non le fu torto un capello, fu solo per incomprensione linguistica; o forse perché, perfino da ubriachi, la si era giudicata più utile tra mestoli e tegami che non sotto terra.
All’incirca negli stessi mesi in cui il figlio andava incontro alla prigionia, fu proprio lei a prendere a cuore la sorte di un altro giovane italiano in divisa. Malgrado fosse di origini venete, Carlo si era ritrovato ad imbracciare le armi nei dintorni di Perugia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, si rifiutò di riallinearsi tra le fila italo-tedesche in ritirata. Pur di sottrarsi ad un reclutamento coatto, macinò chilometri di strada, in incessanti spostamenti verso aree sempre più rurali e periferiche. Sebbene le credesse meno frequentate dalle forze armate, fu proprio a breve distanza dal nostro paese che incappò in un drappello di nazi-fascisti. In qualità di disertore, venne trattenuto nella tenda di un campo di fortuna montato tra le colline fitte di boschi. Da lì, sfruttando la pendenza del terreno, fu in grado di scavarsi una via di fuga. Per due giorni restò rincantucciato nel folto delle foglie di un cespuglio; incalzati dai nemici, i suoi carcerieri rinunciarono alle ricerche. Di nuovo libero, Carlo proseguì timoroso le sue peregrinazioni, in cerca di cibo e di ripari provvisori in cui trascorrere la notte. Il suo continuo andirivieni per le campagne della zona incuriosì Maria che, ad un ennesimo passaggio, ne domandò notizie al figlio Aldo. Di soli tre anni più piccolo di mio nonno, quel fratello aveva avuto una sorte più favorevole e, in veste di carabiniere, nei precedenti anni di guerra aveva potuto continuare a prestare servizio presso la caserma locale. Fu proprio in uniforme che, in seguito all’interesse materno, si presentò un giorno sulla strada del giovane veneto. Questi, riconosciuta la sua appartenenza alle forze dell’ordine, se ne allarmò ancor prima di qualsiasi parola, già certo che sarebbe stato riconsegnato alle autorità. Il ragazzo in divisa lo invitò invece a raccontargli la sua storia, portandolo a casa con sé perché potesse ripeterla tra le mura domestiche. Nel prestare ascolto al suo racconto, Maria ne rimase commossa; gli disse che, se avesse voluto, si sarebbe potuto trattenere con loro. Con puro spirito cristiano, si impegnò ad aiutare quel figlio, nella dichiarata speranza che qualcun altro, chissà dove, facesse lo stesso per il suo.
All’annuncio della resa di Badoglio, anche Lamberto, ultimo nato in famiglia, si era sottratto alle armi: insieme a Carlo, vennero nascosti tra i campi, sopportando il freddo dell’inverno incipiente. Madre di sangue e d’adozione, Maria mandava loro del cibo tramite le nipoti più grandi, facendo attenzione perché passassero inosservate tra i pochi contadini rimasti.
Calpestate da inclementi marce marziali, anche le campagne natie perdevano
colore. Per un periodo, un gruppo di soldati tedeschi se ne era stato accampato
sui terreni di famiglia, approfittando della cucina della bisnonna Maria. Da una storia sentita più volte, me la figuro come una donna dal carattere
deciso, risoluta. Sembra che una sera, dopo aver vuotato qualche bicchiere di
troppo, un militare avesse sparato alle botti stipate in cantina, ravvivando il
riso e le urla dei compagni. Nell’udire tanto schiamazzo, la padrona di casa si
era precipitata tra gli ospiti molesti e, individuato il responsabile della
bravata, lo aveva afferrato per la giubba con entrambe le mani, scuotendolo
energicamente. Lo aveva sgridato con la stessa naturale autorità con cui un
genitore avrebbe rimproverato al figlio una scemenza:- Cretino! Domani sera che bevi?! – Terrorizzate dalla possibilità di una qualche reazione che immaginavano
sarebbe stata diretta e ben poco cerimoniosa, le figlie l’avevano intimata a
lasciar correre, facendosi indietro. Magari, se non le fu torto un capello, fu
solo per incomprensione linguistica; o forse perché, perfino da ubriachi, la si
era giudicata più utile tra mestoli e tegami che non sotto terra.All’incirca negli stessi mesi in cui il figlio andava incontro alla
prigionia, fu proprio lei a prendere a cuore la sorte di un altro giovane
italiano in divisa. Malgrado fosse di origini venete, Carlo si era ritrovato ad
imbracciare le armi nei dintorni di Perugia. Dopo l’armistizio dell’8
settembre, si rifiutò di riallinearsi tra le fila italo-tedesche in ritirata.
Pur di sottrarsi ad un reclutamento coatto, macinò chilometri di strada, in
incessanti spostamenti verso aree sempre più rurali e periferiche. Sebbene le
credesse meno frequentate dalle forze armate, fu proprio a breve distanza dal
nostro paese che incappò in un drappello di nazi-fascisti. In qualità di
disertore, venne trattenuto nella tenda di un campo di fortuna montato tra le
colline fitte di boschi. Da lì, sfruttando la pendenza del terreno, fu in grado
di scavarsi una via di fuga. Per due giorni restò rincantucciato nel folto
delle foglie di un cespuglio; incalzati dai nemici, i suoi carcerieri
rinunciarono alle ricerche. Di nuovo libero, Carlo proseguì timoroso le sue
peregrinazioni, in cerca di cibo e di ripari provvisori in cui trascorrere la
notte. Il suo continuo andirivieni per le campagne della zona incuriosì Maria
che, ad un ennesimo passaggio, ne domandò notizie al figlio Aldo. Di soli tre
anni più piccolo di mio nonno, quel fratello aveva avuto una sorte più
favorevole e, in veste di carabiniere, nei precedenti anni di guerra aveva
potuto continuare a prestare servizio presso la caserma locale. Fu proprio in
uniforme che, in seguito all’interesse materno, si presentò un giorno sulla
strada del giovane veneto. Questi, riconosciuta la sua appartenenza alle forze
dell’ordine, se ne allarmò ancor prima di qualsiasi parola, già certo che
sarebbe stato riconsegnato alle autorità. Il ragazzo in divisa lo invitò invece
a raccontargli la sua storia, portandolo a casa con sé perché potesse ripeterla
tra le mura domestiche. Nel prestare ascolto al suo racconto, Maria ne rimase
commossa; gli disse che, se avesse voluto, si sarebbe potuto trattenere con
loro. Con puro spirito cristiano, si impegnò ad aiutare quel figlio, nella
dichiarata speranza che qualcun altro, chissà dove, facesse lo stesso per il
suo.All’annuncio della resa di Badoglio, anche Lamberto, ultimo nato in
famiglia, si era sottratto alle armi: insieme a Carlo, vennero nascosti tra i
campi, sopportando il freddo dell’inverno incipiente. Madre di sangue e
d’adozione, Maria mandava loro del cibo tramite le nipoti più grandi, facendo
attenzione perché passassero inosservate tra i pochi contadini rimasti.
Serie: Due soldati
- Episodio 1: Pietro
- Episodio 2: A casa, Carlo
- Episodio 3: Salvati
Che bella storia di vita vera: è un vero piacere leggerti, perché hai uno stile pulito e semplice che cattura.
Credo, però, ci sia stato un problema nell’editor, perché ha scritto nuovamente il testo dell’episodio dopo quel grosso spazio bianco.