
A come Amore tossico
Serie: Abbecedario sentimentale
- Episodio 1: A come Abbandono, Abbraccio, Accettazione
- Episodio 2: A come Adorazione, come Alienazione
- Episodio 3: A come Ambizione
- Episodio 4: A come Amicizia, come Amore
- Episodio 5: A come amore eterno, amore impossibile, anelito, angoscia, ansia, anticipazione
- Episodio 6: A come Amore tossico
- Episodio 7: A come Appartenenza
- Episodio 8: A come Arcadia
- Episodio 9: A come Ardore
- Episodio 10: A come Attesa
STAGIONE 1
Amore tossico
All’inizio sembrava amore.
Di quelli travolgenti, che arrivano quando hai smesso di aspettare.
Lui sapeva dove guardare, cosa dire, come toccarla.
Le scriveva messaggi ogni mattina.
Le preparava la cena anche dopo giornate di lavoro infinite.
Le diceva: «Con te mi sento a casa.»
E lei gli credeva.
Era affamata di tenerezza.
Veniva da una storia arida, fatta di silenzi e muri.
Quando lui la guardava come se fosse l’unica cosa che avesse senso nel caos del mondo, lei si sentiva salvata.
All’inizio sembrava amore.
E forse lo era.
O almeno, qualcosa che gli somigliava.
Con la stessa intensità, lo stesso bisogno di fusione, la stessa urgenza di condividere ogni respiro.
Poi, lentamente, qualcosa è cambiato.
Piccole crepe.
Invisibili agli occhi di fuori, ma taglienti dentro.
Una sera, mentre usciva con un’amica, lui le scrisse dieci messaggi.
Dieci.
In meno di un’ora.
«Dove sei?»
«Perché non rispondi?»
«Ti stai divertendo senza di me?»
«Con chi sei davvero?»
Le sembrava dolce, premuroso.
Scambiava l’ossessione per attenzione.
Le chiese di cambiare la foto del profilo.
Di non mettere più certe gonne.
Di rispondere sempre subito, “perché se ami qualcuno, non lo lasci in sospeso”.
Ogni volta che lei tentava di dire “mi sento soffocare”, lui si mostrava ferito.
«Tu non mi ami abbastanza.»
«Mi fai sentire rifiutato.»
«Io ti do tutto e tu mi respingi.»
E allora lei si scusava.
Si rimproverava di essere troppo indipendente, troppo sensibile, troppo libera.
Pensava: «Forse ho paura. Forse il problema sono io.»
Aveva smesso di vedere alcune amiche.
Non perché lui glielo avesse imposto.
No.
Perché ogni volta che lo faceva, lui diventava freddo.
Distante.
Non urlava.
Non si arrabbiava.
Ma faceva il vuoto.
E lei correva a riempirlo, a rassicurarlo, a riparare.
Le diceva: «Non mi piace quando esci con quella lì, ti mette strane idee in testa.»
Oppure: «Non c’è bisogno di parlare con tutti, hai me.»
All’inizio sembrava amore.
Poi diventò una gabbia con i fiori alle pareti.
Profumata.
Ma pur sempre una gabbia.
Cominciò a svegliarsi la notte con il cuore che batteva troppo forte.
Non sapeva perché.
Un senso di allarme che non riusciva a spegnere.
Lui dormiva accanto a lei, sereno, un braccio sopra il suo ventre.
A letto era ancora intenso.
Desiderava il suo corpo con fame.
Ma non la guardava più negli occhi.
La prendeva, la usava, la scolpiva tra le sue mani come qualcosa di suo.
Come un oggetto bello, ma privo di volontà.
Le diceva che era speciale.
Che nessuno l’avrebbe mai amata come lui.
Che senza di lui sarebbe stata persa.
Che nessuno avrebbe tollerato il suo carattere complicato, le sue fragilità, le sue ferite.
E lei ci credeva.
Perché quando senti ripetere spesso una bugia, inizia a sembrare verità.
Cominciò a dubitare di sé.
A non fidarsi più delle proprie emozioni.
Si guardava allo specchio e non si riconosceva.
Il sorriso era diventato tirato.
Gli occhi più spenti.
La voce più incerta.
Una sera, dopo l’ennesima discussione in cui lui l’aveva accusata di “non esserci mai abbastanza”, si chiuse in bagno.
Si sedette sul pavimento, il viso tra le ginocchia.
E pensò: «Ma io, dov’è che sono? Dove mi sono persa?»
Non pianse.
Non subito.
La stanchezza era diventata più forte della disperazione.
Lui bussò alla porta.
«Esci, amore. Facciamolo. Ti faccio sentire meglio.»
Lei aprì.
Si lasciò spogliare.
Si lasciò toccare.
Senza dire una parola.
Dopo, si sentì svuotata.
Come se il suo corpo fosse stato preso in prestito, usato e restituito senza cura.
Si accorse che non rideva più.
Che non leggeva più.
Che non scriveva nemmeno un messaggio senza pensarci mille volte.
Iniziò a tenere un diario.
Scriveva di nascosto, mentre lui dormiva.
Frasi spezzate.
Pensieri che non osava dire ad alta voce.
Un giorno lesse in un libro:
“L’amore non ti fa sentire piccola. Ti fa sentire più grande.”
Rilesse quella frase per ore.
Poi iniziò a raccogliere le prove.
Non quelle che si portano in tribunale.
Ma quelle invisibili: il nodo allo stomaco, il sorriso forzato, le scuse inventate con le amiche.
Non lo lasciò subito.
Ci mise mesi.
Ogni addio era una battaglia tra testa e cuore, tra memoria e paura.
Ma un giorno, mentre faceva la valigia, lui le disse:
«Senza di me sei niente.»
E fu lì che capì.
Che l’amore non ti annulla.
Non ti fa sentire sbagliata.
Non ti toglie la voce.
Gli rispose piano:
«Senza di te, forse sarò di nuovo io.»
Chiuse la porta.
Non con rabbia.
Con lucidità.
Ha ricominciato da sola.
A piccoli passi.
Ha pianto nei supermercati.
Ha tremato la notte.
Ma ha anche riso.
Di nuovo.
E ha scoperto che il suo corpo non era rotto.
Era solo stanco.
L’amore tossico non si riconosce subito.
Si insinua.
Ti seduce.
Ti convince che senza di lui sei meno.
Ma non è vero.
È solo che ci si abitua al veleno, se arriva a piccole dosi.
E guarire è lento.
Ma possibile.
Ora lei lo sa.
E se un giorno qualcuno le chiederà:
«Cos’è l’amore tossico?»
Risponderà così:
«È quando ami qualcuno tanto da smettere di amare te stessa.
Ma è anche ciò che ti insegna a non farlo mai più.»
Serie: Abbecedario sentimentale
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- Episodio 8: A come Arcadia
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“«Dove sei?»
«Perché non rispondi?»
«Ti stai divertendo senza di me?»
«Con chi sei davvero?»
Le sembrava dolce, premuroso.
Scambiava l’ossessione per attenzione.
Le chiese di cambiare la foto del profilo.
Di non mettere più certe gonne.”
La liturgia di un amore molesto, parole cadenzate, scandite come colpi inferti, inesorabili, di un tamburo battente. 👋
Continuo ad apprezzare questo Abbecedario. In questo racconto (più che mai attuale) è lo stesso ritmo delle brevissime frasi spezzate (come quelle che lei scrive sul diario) che rende molto bene il senso di angoscia che accompagna la presa di coscienza dell’amore tossico.
«Senza di me sei niente.» Questa è la tipica frase che dicono tutti quelli (non necessariamente il partner) che ti vogliono tappare le ali, perché sono loro ad avere paura di restare soli. Bravissimo come sempre, Rocco!
Sto leggendo la tua serie e avrei dovuto, per logica, proseguire seguendo il filo dei capitoli. Invece faccio un salto qui, come una toccata e fuga, perché il titolo mi ha attirata dentro a una rete.
Quando sei una donna, hai la forte pretesa di sentirti l’unica avente diritto di trattare il tema dell’amore tossico, del possesso, perché, per natura, ne sei vittima.
Poi, abbassi la guardia un attimo, e ti accorgi che anche un uomo lo può fare bene. Prende le tue emozioni, il tuo senso di soffocamento, il tuo vuoto che è spesso nausea e male di vivere e lo fa suo, rivoltandolo come un calzino. Ti accorgi che il calzino rivoltato ha solamente qualche filo in più in rilievo, ma lo puoi comunque indossare. In fin dei conti non cambia nulla.
Credo che sia davvero importante accettare che una voce maschile dia voce all’universo femminile e, anzi, lo possa fare così bene che, mettendosi in ascolto, si capiscono molte cose.
Magari più facile dal fuori, molto meno da dentro, ma l’importante è ascoltare.
Scusami un commento che non voglio rileggere perché mi sembra quasi una sbrodolata di sensazioni, però è uscito così e qui lo lascio.
Grazie per il tuo commento. La mia parte femminile e soprattutto essere padre di due splendide figlie mi ha insegnato a leggere negli occhi delle donne e a comprenderle. Come diceva quella famosa canzone: “siamo così, dolcemente complicate….”