ACCORDI SALTATI

Il cinese uscì dal bar masticando uno stecchino di legno; si guardò in giro, mise lo stecchino in tasca e sputò per terra. Vide arrivare la macchina nera di Yoghi; la osservò strisciare con la gomma contro il marciapiede e fermarsi.

L’omone discese e chiuse la portiera con il piede, poi bloccò le serrature con il telecomando; portava spessi occhiali da sole, malgrado la mattinata fosse molto nuvolosa.

“Sembra proprio un orso, ha il nome giusto” pensò il cinese mentre lo guardava avvicinarsi.

“Dov’è il carico?” chiese Yoghi fermandosi a pochi centimetri dalla faccia del cinese.

“Nel retrobottega, in cassaforte.”

“Andiamo a vederlo” sibilò guardando il cinese fisso, sollevando appena gli occhiali scuri.

“E dove sono i soldi?” chiese l’altro.

“I soldi sono in macchina, al sicuro. Prima voglio vedere il carico.”

“Gli accordi non erano questi…” provò a replicare il cinese.

Yoghi, che pesava almeno centotrenta chili, gli mise una mano sulla spalla, sospirando “gli accordi li sistemo io, Cina…”

“E non chiamarmi Cina… sono nato in Italia!”

“Sì, però sei un cinese!” sghignazzò Yoghi.

Intanto avevano attraversato il bar, ancora chiuso al pubblico, e stavano scendendo i pochi scalini per entrare in un piccolo locale che fungeva da magazzino. In fondo, alla debole e tremolante luce di una lampadina a soffitto, si intravedeva una vecchia cassaforte di colore arancione, mezza arrugginita.

“Non si vede niente qua dentro, Cina…”

La porta venne chiusa di scatto e Yoghi cadde a terra, colpito alla testa con una grossa chiave inglese. Poi un ragazzone dall’aspetto orientale prese a frugare nelle tasche del ciccione, mentre il cinese si assicurava che non respirasse ancora. Era morto sul colpo, infatti. Una densa macchia rossastra andava allargandosi sul pavimento, cosparso di segatura di legno.

“Mettiamolo dentro lo sgabuzzino” disse il cinese “e stanotte lo facciamo sparire, assieme a tutto il sangue. Adesso pensiamo alla macchina, hai trovato le chiavi?”

“Eccole qua” rispose il ragazzo facendole tintinnare.

“Bene” poi si rivolse al morto “ho cambiato gli accordi, Yoghi… spero non ti dispiaccia…”

Portarono la macchina nel garage sotterraneo. Frugarono in tutto l’abitacolo, poi passarono al baule, infine trovarono la valigetta sotto la ruota di scorta. Era di acciaio lucido, molto robusta, e aveva una serratura a combinazione con quattro cifre.

“E adesso come facciamo?” chiese il ragazzo.

“La forziamo” disse il cinese “è logico…”

Così, mentre uno la teneva ben salda tra le mani, l’altro cercava di far saltare le cerniere incassate con un piccolo trapano elettrico. Dopo qualche minuto un improvviso boato riempì di fumo e polvere il garage; minuscoli pezzetti di banconote volteggiavano nell’aria, assieme ad un acre odore di esplosivo.

Il ragazzo stava piangendo, con i vestiti ridotti a brandelli.

Il cinese era seduto per terra, con le mani ustionate. “Non erano questi gli accordi, maledetto Yoghi” disse a bassa voce.

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Discussioni

  1. Ecco un altro buon racconto dei tuoi, che si leggono così volentieri. I dialoghi scorrono via rapidi e le scene sono molto vivide. Ammetto che mi sono un po’ mancate le donne, quelle tue, ma forse in questo retrobottega non ci stavano bene e in garage non avrebbero fatto una bella fine:)
    Facciamo nel prossimo racconto. Un abbraccio