ACQUA E SALE

Alla fine degli anni sessanta il mio quartiere terminava, verso nord, a ridosso di una ampia strada sterrata, che conduceva ad una fattoria. Tutto intorno a questa si stendevano, a perdita d’occhio, campi di granturco che, tra agosto e settembre, diventavano intricate foreste, impossibili da attraversare.

Di fronte alla casa in cui abitavo, prima che cominciasse la campagna, c’era un grande spiazzo erboso, dove ancora non sorgeva nessun edificio. Ed era una pacchia, per noi bambini: si trasformava, di volta in volta, in campetto da calcio, accampamento di pellirosse, terreno di sassaiole, pista per biciclette e cento altre cose. La fantasia non conosceva limiti.

Capitava che, un paio di volte all’anno, la spianata ospitasse il tendone di qualche misero circo, o un minuscolo luna park viaggiante.

E un giovedì mattina quattro camion si fermarono davanti allo spiazzo, per scaricare delle giostre smontate. Ci vollero un paio di giorni per metterle in funzione, e sabato si cominciò a fare festa, con alcuni giri gratuiti per attirare gli indecisi.

C’erano, a coprire quasi tutto il terreno: una giostra rotonda con otto cavallini di legno, un chiosco per vincere i pesci rossi, un tiro a segno con carabine ad aria compressa, una bancarella che vendeva dolci e zucchero filato; ma soprattutto la pista per autoscontri, una meraviglia.

Gian fu il primo a parlare, indicando le macchinine elettriche: “Vorrei montare e fare cinquanta giri, e ribaltare chiunque mi capita a tiro!”

Gino lo guardò con aria di sfida e gli disse: “A me non mi sapresti ribaltare…”

Anche Alfeo volle dire la sua: “Ma se fai fatica a guidare la bicicletta!”

E Teo concluse, guardando un po’ tutti: “E poi non c’hai neanche una lira in tasca; ci vogliono i gettoni, i gettoni!”

Gian si girò verso di me, che forse ero il più timido: “Tu Fulvio, hai niente da dire?”

“Non so” risposi “magari potremmo andare sui cavallini…”

Tutti scoppiarono a ridere, e così feci anch’io: non era male come battuta.

Gian, il cui nome completo risultava ‘Gian Antonio Stoffa’, era un vero briccone. Cresciuto fin da piccolo con una vecchia zia sordomuta, non aveva mai conosciuto suo padre, la mamma lavorava tutto il giorno, e a scuola era un disastro. Però voleva sempre comandare e dare ordini alla piccola banda che formavamo; così che per scherzo lo chiamavamo ‘Capo Gian’.

Il pomeriggio stava terminando e, ormai annoiati, guardavamo con invidia gli altri ragazzini che guidavano gli autoscontri. Gian disse che aveva visto qualcosa di interessante sul furgoncino dietro alla giostra, ma voleva controllare meglio. Ritornò tutto raggiante, dopo una decina di minuti; ci fece tutti avvicinare a cerchio, e prima di parlare si guardò più volte attorno.

“Allora, domattina autoscontri per tutti! Offro io, il grande Gian!”

“Che è” disse Alfeo “hai trovato un tesoro sepolto?”

E Teo con una grande risata continuò “È morta tua zia e ti ha lasciato l’eredità?”

Anche Gino voleva replicare, ma l’altro lo bloccò: “Domani alle dieci tutti qua… vi faccio girare finché sarete stanchi!” e se andò di corsa verso casa.

La mattina seguente ci ritrovammo, puntuali, tutti alle giostre; mancava soltanto Gian. Gironzolammo un poco, aspettando che arrivasse. Dietro alla cassa degli autoscontri c’era animazione: un giostraio stava parlando a voce alta, e indicava spesso un furgoncino Volkswagen che, probabilmente, gli apparteneva. Stava spiegando a un giovane carabiniere cosa era accaduto la notte precedente; un altro uomo dell’Arma intanto girava attorno al veicolo, e prendeva appunti su un blocco.

“Erano quasi le undici” diceva il giostraio “e stavo facendo il mio solito giro di controllo, con la torcia elettrica, quando sento un rumore dietro al furgone, e poi un fracasso di finestrino rotto.”

Mentre parlava, girava e rigirava la mano destra in un catino pieno di un liquido biancastro. Indossava una canottiera arancione, che metteva in risalto il fisico muscoloso; sul braccio sinistro aveva uno sbiadito tatuaggio di un cuore trafitto da una freccia, e sotto il nome ‘Mary’.”

“Mi avvicino e vedo un tizio che sta tirando, fuori dal furgone, una scatola piena di gettoni per gli autoscontri, i gettoni di plastica rossi e verdi.”

A questo punto ci guardammo con gli occhi sgranati, un poco spaventati.

“E il ladro è subito fuggito?” chiese allora il carabiniere.

“Non subito” rispose il giostraio “l’ho preso per un braccio e gli ho tirato un pugno, credo sull’occhio destro. Quello si è divincolato, ho mollato un altro cazzotto ma ho preso la lamiera del furgone: per questo sono qui con acqua e sale a calmare la botta.”

Tirò fuori la mano gocciolante e la mostrò al carabiniere.

“C’era scuro, la torcia mi era caduta, quello ha preso a correre con la scatola in braccio, ma stava seminando tutti i gettoni per terra; più avanti ho trovato la scatola vuota, vicino ad una siepe.”

Il giostraio smise il racconto, si girò verso di noi, e ci indicò al carabiniere: “Non era alto il ladro, più o meno la statura di quei ragazzini lì.”

Ci girammo verso il carabiniere, senza nemmeno respirare.

“Di sicuro non è uno di loro” concluse il giostraio sorridendo “perché deve avere un occhio ben pesto, stamattina!”

“Va bene, signor Casagrande” disse alla fine il carabiniere “venga oggi pomeriggio in caserma a firmare la denuncia.”

Le giostre rimasero altri cinque giorni, ma noi non ci andammo più. Ci recammo invece qualche volta a suonare il campanello dove abitava Gian, ma nessuno rispose mai.

Lo rivedemmo il giorno in cui lo spiazzo ritornò ad essere sgombro, dopo la partenza dei camion con le giostre. Il suo occhio destro non era tanto gonfio, ma aveva intorno un cerchio di colore viola. Ci salutò come niente fosse, e non volle mai parlare di quanto accaduto.

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Discussioni

  1. Un ricordo d’infanzia scritto molto bene, con cura della forma. Meriterebbe un approfondimento, chissà se Gian aveva pienamente consapevolezza di quello che stava facendo, chissà cosa sono diventati quei bambini da grandi e com’è diventato adesso il quartiere. Insomma, hai iniziato pubblicato il potenziale inizio di una serie.

    1. Grazie mille, Francesco.. forse hai ragione, ma a me piacciono i bozzetti.. mi sembra che dopo 600-700 parole il lettore si stanca.
      Ti posso dire che Gian è finito presto in galera, e che il quartiere nel quale ancora vivo è cambiato completamente (purtroppo)

  2. Uno spaccato di vita molto intenso racchiuso in poche righe. Un mordi e fuggi da maestro. Immagini colorate con le tinte del passato e della malinconia. Un fatto d’iniziazione che sa di amarcord. Molto bello il personaggio di Gian, mi ha ricordato Garrone di Cuore. Bravissimo

    1. grazie Cristiana, ma sei troppo buona.. a volte ho quasi un pò di vergogna, a mettere giù questi ‘lontani’ ricordi.. non so se ad altri possono interessare

  3. Bellissimo. Un mondo, quello delle giostre, che tutti abbiamo prima o poi abbiamo toccato da vicino. Era un po che non ne sentivo parlare e mi ha fatto piacere ritrovarlo qui.