Al bivio con il male

Il medico la osservava con quello sguardo sterile di chi ha parlato con mille volti. Descriveva la situazione come se andasse oltre il viso pietrificato della donna di fronte a lui, eppure le sue parole la stavano ferendo sillaba dopo sillaba.

Quando lui si allontanò lei rimase immobile con il suo dolore che la macerava dentro e una bambina di 10 anni che le teneva la mano guardandola incuriosita. La bimba cercava di capire cosa significasse tutto questo, certo, era cosciente del luogo dove si trovavano, ma scrutava la mamma in cerca di risposte.

La madre la fece accomodare su una triste sedia verde, le diede il cellulare per farla distrarre, raccomandandole di non allontanarsi. Marta era sola e non poteva permettersi di chiamare nessuno per tenere la bambina, era sempre stato così: erano tre donne coraggiose, lei, la figlia e la madre.

Adesso stava appoggiata allo stipite della porta, come se questo potesse farla rimanere in piedi senza fatica. La guardava e solo in quel momento si accorse quanto fosse minuta dentro quel letto troppo grande per lei. Come era indifesa, gli occhi chiusi forzatamente dal medicinale che le stavano somministrando, la pelle rugosa e disidratata, le labbra secche e socchiuse per cercare inconsciamente più aria possibile. I capelli d’argento, nonostante l’età non tanto avanzata, le erano stati raccolti per farla sentire più in ordine, mentre lei si era fatta una coda poco curata prima di uscire.

“Una malattia incurabile” era stata la diagnosi: stava ancora elaborando la notizia e il nome del male le turbinava in testa come per distruggere tutti gli altri pensieri; quasi non si accorse che, di fretta, di era recata subito a casa per accendere il computer.

Le sue dita nervose cominciarono a digitare il nome della malattia, affiancato dalla parola “CURA”: era disposta a tutto, ad andare oltre quella città, oltre quel paese per trovare qualcosa che avrebbe potuto restituirgliela come era prima.

Mentre si sentivano i rumori dalla cucina, perché Sonia stava apparecchiando per dare una aiuto alla mamma, Marta arrivò su un sito che la inorridì e le diede speranza allo stesso tempo.

Lei non credeva in queste cose ma, dal giorno della caduta della mamma, sicuramente aveva perso anche la fede. E solo chi ha perso la strada della chiesa può prendere in considerazione i riti satanici per fare un patto con il diavolo.

Ma non voleva farlo con la figlia vicino,  si vergognava. Così dopo cena e un telefilm alla TV accompagnò Sonia in camera sua, le accarezzò i lunghi capelli neri, guardandola con occhi di speranza e le chiuse la luce.

Prese carta e penna e si segnò gli ingredienti, mentre un sorriso nervoso e imbarazzato le scuriva il volto. Il giorno dopo avrebbe dovuto contattare un nome, attraverso una mail, e farsi aiutare ad evocare una creatura che, a dire del rito, l’avrebbe potuta aiutare.

Stava sdraiata nel letto e non riusciva a dormire, sul soffitto vedeva scorrere il film della sua vita: avuta giovane dalla madre, anche lei lo era diventata poco più che ventenne. Questa piccola donna forte l’aveva accolta con sua figlia, e aveva lavorato per tre. Ogni sudicio rito e immondo patto avrebbe stretto per amor suo.

Il giorno dopo tutto era pronto e, mentre la piccola era stata affidata temporaneamente alla vicina di casa, avvenne l’inevitabile: il rito venne compiuto.

Sembrava che fosse tutto solo un gioco e non sentiva accadere niente eppure all’improvviso divenne tutto caldo. Da una parete cominciò ad aprirsi un varco, era simile alla stoffa che si lacera sfilacciandosi. Oltre, si vedeva bollire il cielo e la terra con fiamme che si rigeneravano in continuazione e pian piano vide emergere una figura indefinita. Poi la visione: sembrava salire una scala, ancheggiando sinuosamente, con il suo vestito verde da sera, attillato in modo quasi imbarazzante, i suoi lunghi capelli marrone scuro, la sua pelle d’avorio e il suo sguardo lascivo e arrogante.

Il demone la guardò leggendole nell’anima e capì subito che colei che l’aveva chiamata faceva seriamente, così si girò verso il portale e con uno schiocco di dita lo fece richiudere alle sue spalle.

Evanelia si avvicinò a Marta, inclinò il volto e la scrutò per capire quale prezzo avrebbe potuto pagare la donna. Poi sorrise maligna e le disse che aveva i poteri per guarire la mamma ma in cambio le avrebbe dovuto dare la sua anima e che sarebbe venuta a riscattarla allo scadere dei 10 anni: “prendere o lasciare”, era arrivata al bivio.

“Prendere”. Non terminò la parola che il demone le fece un taglio sulle labbra e un aspro bacio di sangue sigillò il patto. Una vampata di fuoco e un fumo carico di zolfo la fece svanire, lasciando Marta in un bagno di sudore.

Era ancora sotto shock per quanto accaduto, quando sentì squillare forte il telefono come un urlo dal passato. Alzò la cornetta, timorosa della voce che avrebbe potuto trovare dall’altra parte, e invece un’infermiera, dal tono di voce sopra le righe, le comunicò di recarsi urgentemente in ospedale.

Poteva aspettarsi di tutto, e ogni possibile scenario si era visualizzato nella sua mente mentre guidava, ma mai avrebbe creduto di vedere la mamma seduta sul letto che, con uno sguardo sereno e pieno di voglia di ricominciare, stava mangiando con golosità un budino alla vaniglia.

Sonia stava riaccompagnando con l’auto la nonna a casa sua, dove tanti anni fa si era trasferita dopo la guarigione, per farle vedere al computer la ricetta di quella torta che tanto amava, supplicandola, con un sorriso disarmante, di preparargliela per quel lungo pomeriggio di studio. Dopo aver navigato sul sito il suo sguardo si posò con curiosità su una cartella del desktop che fino ad ora non aveva notato: era il pc della mamma e per rispetto non aveva mai curiosato tra i suoi files. Ma quella le era saltata all’occhio quasi volesse farsi notare appositamente da lei: “RITO PER UN’ANIMA” c’era scritto, un titolo cusioso per quello che era il carattere della mamma.

Più leggeva, più i suoi occhi si dilatavano per lo stupore e l’orrore di ciò che vi era scritto: erano umidi ma la parte di sé più razionale cercò di cacciare indietro le lacrime, si alzò con una lucida lentezza pronta ad affrontare ciò che non riusciva a capire ma che assolutamente voleva conoscere.

Quando Marta rientrò dal lavoro, si trovò la figlia di fronte con uno sguardo talmente fermo, e più maturo della sua giovane età, che le chiedeva spiegazioni in merito a quanto letto nel suo file e sventolando un foglio dove era stampato tutto il rito, come per rendere più reale ciò che sembrava surreale. La mamma scoppiò a piangere come se tutti questi anni le fossero crollati addosso all’improvviso e spiegò alla figlia la sua scelta d’amore: in penombra, dietro la porta degli ospiti, la nonna ascoltava in silenzio quelle voci che le ruppero il cuore. Non sapeva che la sua felicità fosse stata solo l’illusione di un torbido baratto.

In un momento di triste calma, che era sceso dopo tante accese discussioni della giornata, la nonna con coraggio prese il foglio e lesse attentamente quanto scritto e pensò che fosse venuto il momento di ricambiare l’amore per sua figlia, che tanto aveva sofferto. Si preparò per l’evento, come un oscuro déja vu, fino a che Evanelia le si trovò di fronte con uno sguardo di ironica curiosità.

Non era possibile rompere un patto con lei, o almeno non lo avrebbe reso così facile: questa volta il prezzo sarebbe stato più alto. Per redimere un’anima offerta al diavolo ci sarebbe voluto un corpo e un anima, non era solita trattare con i perduti e la proposta era limitata nel tempo.

La testa china della donna era di fronte al demone, non per paura di vedere i suoi occhi di lava ma per chiedere perdono al suo dio per ciò che a breve avrebbe fatto, per sperare che un giorno forse la sua anima sarebbe stata riscattata da qualche bianco angelo del perdono.

Una lama trafisse la donna, fu un attimo, e il respiro cessò all’istante: su questo Evanelia era molto precisa, non voleva portare con sé anime che avessero sofferto le torture. Voleva anime consenzienti, morte in un battito di ciglia.

Il rito era quasi terminato, mancava solo il momento in cui suggellarlo definitivamente: con un’andatura impudica si recò verso la vasca del bagno e la riempì con il sangue della vittima consenziente e i fiori del peccato. Rilassandosi dopo un momento così intenso anche per lei, stappò un bordeaux d’annata per festeggiare l’ennesimo patto che avrebbe insudiciato la sua anima maledetta.

Sonia entrò in casa e il silenzio amaro che sentiva le suggeriva che qualcosa era accaduto, quando abbassò gli occhi e vide il corpo senza vita della nonna con gli occhi vitrei del dolore. Senza farsi sentire cominciò a salire le scale per seguire il suono di quella melodia, cantata in un linguaggio antico fino a che, senza essere vista, scorse Evanelia stesa nella vasca, nell’estasi del sangue.

In quel momento decise che il suo futuro sarebbe stato un altro, e che lei sarebbe stata per sempre la sua Nemesi.

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Discussioni

  1. Ciao Isabella. A me è piaciuto molto il fatto che hai posto in evidenza. E cioè che, pur di salvare le persone che amiamo, saremmo disposti a fare qualsiasi cosa. Scrivi bene, già lo sai. Concordo coi colleghi, forse un po’ di confusione sui piani che si sovrappongono e creano confusione sul soggetto. Per il resto, brava! Un saluto.

    1. Ciao Cristina,
      grazie per il commento. Adesso sto studiando un piano creativo che mi serva per superare questo “bug”. Sto lavorando sulla caratterizzazione dei personaggi per renderli maggiormente riconoscibili.

      😀

  2. Racconto particolare e scritto bene. Il misto di compassione e dolore provato dalla figlia nell’elaborare la sentenza del medico si sposa bene con l’ingresso nel racconto della parte horror/mistica con il risultato di tenere il lettore ben incollato fino all’ultima frase.
    Attenzione però a non farlo perdere fra le righe: alle volte si crea un poco di confusione fra le tre figure, soprattutto dopo il salto temporale che avrei accentuato con uno stacco visivo, uno spazio per esempio.
    Alla prossima lettura.

    1. Buonasera Raffaele,
      in effetti la storia dei nomi è stato un “bug” che correggerò nella prossima storia.
      Per ogni racconto prendo nota per poi migliorarmi la volta successiva.
      Grazie alle vostre osservazioni capisco dove devo lavorare maggiormente.

      🙂

  3. Ciao Isabella, sono d’accordo con Fpalex quando dice che a volte, senza l’uso dei nomi propri, per il lettore non è immediato orientarsi. Ciò non toglie che la storia mi sia piaciuta, parecchio, e che trovo il finale fantastico. Mi sono ritrovata ad immaginare una giovane ammazza demoni che viaggia di città in città alla ricerca di Evanelia. 🙂

    1. Ciao Silvia,
      grazie dell’apprezzamento. Per me questo è un esperimento che ritengo fondamentale per la mia crescita. Se hai potuto leggere gli altri miei LibriCK, potrai notare che è un po’ diverso dal mio genere. Ma bisogna sempre creare nuovi percorsi e vedere come va.

      🙂

  4. Ciao Isabella. L’idea di base del tuo racconto è intrigante e la tua scrittura possiede un certo fascino, però, a mio avviso, trovo che ripeti spesso: mamma, nonna e figlia.
    Senza altri punti di riferimento, tipo i nomi propri, questo disorienta il lettore.