Al di là del bordo – 1

Serie: Orrore ispiratore


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il testo racconta di una vicenda parallela a quella de "I salici" di Algernon Blackwood. Autore: @gabriel-e_02. È consigliata la lettura continuata delle quattro parti per una maggiore immersione.

Non posso affermare che il Danubio mi abbia portato via István Kovács, mio compagno di pesca e migliore amico da sempre. Non sarebbe adeguato, e sarebbe irrispettoso nei confronti di questa grandiosa creatura acquatica che, dalle alture della Foresta Nera, in Germania, si spinge sino a Pozsony – o Presburgo, se preferite – e la attraversa, per poi partorire uno scenario di straordinaria bellezza una volta che si lascia alle spalle le torri della città. No, fu qualcos’altro a impadronirsi di Kovács, seppur egli infine abbia ceduto e il suo corpo sia stato annegato dalla piena che quel giorno maledetto ci colse alla sprovvista.

Lasciammo Pozsony quando il cielo stava albeggiando, ancora intento a dare un caloroso buongiorno domenicale agli altri mattinieri come noi che già scendevano nelle strade. Era nostra abitudine trovarci per una battuta di pesca tutte le settimane a quell’ora, quando il meteo lo permetteva. Spesso ci attardavamo, prima di tirare fuori le lenze, lungo la riva del fiume a fare colazione – una o due porzioni degli avanzi dei giorni precedenti – e a scambiarci chiacchiere sugli affari personali che avevano occupato i nostri pensieri durante tutta la settimana, ma del cui peso ci liberavamo presto con inaspettata leggerezza. Ci piaceva godere del vento e del sole durante le giornate d’estate, rinfrescati dalle correnti d’acqua che con gran fretta si precipitano a sud-est, verso le paludi, dove con gioia finiscono per ritrovarsi in un territorio incontaminato. Là il Danubio può tornare a correre spensierato in preda a una libertà sfrenata, concessa dalla desolazione del luogo, fonte di rinnovo per gli elementi.

Sono in pochi, all’infuori dei turisti, quelli che si spingono fin oltre la soglia della civiltà, per così dire, perché da un certo punto in avanti non è più possibile scorgere alcun segno abitativo, tanto si va immergendosi in quella strana regione, popolata solo dagli spruzzi del fiume e dai salici. Le persone di Pozsony guardano con rispetto a quel luogo, forse addirittura con reverenza, ma negli animi dei più sensibili vi è di sicuro una traccia di timore, il cui nascere è inevitabile al cospetto della misteriosità della natura. Essa parla una lingua diversa dalla nostra, alla quale eravamo una volta vicini ma da cui poi ci siamo allontanati, e adesso ci appare come un’antica madre che abbiamo dimenticato e che non ci riconosce più.

Io e Kovács non costituivamo un’eccezione: era sempre stato di comune accordo non addentrarsi dove la vegetazione si fa più fitta e gli argini divengono meno definiti. Quella volta, però, ci capitò di sentirci particolarmente intrepidi, nonché incoraggiati dalla consapevolezza che raggiungere i punti isolati del fiume, senza altri pescatori nelle vicinanze, si sarebbe tradotto in una maggiore probabilità di rincasare con le sacche piene. Inoltre, qualche settimana prima ero riuscito a concludere un affare per una piccola barca in un negozio di Pozsony, ed ora che l’estate ce lo consentiva ero davvero curioso di metterla alla prova. Accadde così che verso le dieci ci trovavamo già parecchio distanti dai tetti della città, con sempre meno compagnia intorno a noi, quando all’improvviso il mio amico vide qualcosa.

«Guarda là!» gridò limitandosi a indicare il centro del fiume. Noi eravamo ancora molto vicini alla sponda di destra e procedevamo con cautela, in cerca di un punto dove soffermarci per lanciare le lenze. Nel bel mezzo del corso d’acqua, invece, vedemmo scivolare a gran velocità una lunga canoa governata da due uomini, i quali però non dettero l’impressione di averci notati.

«Corrono come se avessero le fruste alle calcagna!» osservò Kovács, dopo averli visti svanire dietro la curva per le paludi. Era stata senz’altro una vista sorprendente e senza dubbio inusuale per un luogo del genere. La canoa aveva sollevato un’enorme quantità di spruzzi e schizzi nella sua corsa, e la luce del sole aveva illuminato le infinite goccioline sopra la superficie facendole brillare come minuscole stelle in pieno giorno.

Il vento si era infatti accresciuto rapidamente nel frattempo, così che il Danubio stava via via mutando aspetto e le sue acque sarebbero in fretta divenute fanghiglia – non il massimo per chi come noi si era munito di canne da pesca. Gettato in uno stato adrenalinico dai crescenti soffi d’aria, presto il fiume avrebbe rivelato un’altra sua faccia: di questo eravamo ben consapevoli.

Tuttavia non avevamo altra scelta se non quella di farci accompagnare dalla corrente, cercando di usare il nostro unico remo per mantenere la barca ad una distanza adeguata dal centro del flusso. Facevamo del nostro meglio per individuare il prima possibile un punto di approdo, perché andare troppo oltre avrebbe significato un tratto più lungo da percorrere a piedi per tornare, una volta usciti dal fiume. E poi entrambi sapevamo che di lì a poco avremmo trovato ad accoglierci solo fragili sponde di salici, fin troppo suscettibili all’azione dell’acqua.

«Non mi piace questo cambiamento improvviso» disse Kovács mentre alternava lo sguardo dalle onde sempre maggiori alle schiere di piante tutte intorno a noi. «Ti sfido io a tirare su anche un solo pesce a questa velocità. Per oggi dobbiamo rinunciare, risaliamo alla prima spiaggetta che vediamo.»

Mentre diceva queste parole, pensai che lui sapesse bene quanto me che imbattersi in una spiaggetta con questo ingente afflusso d’acqua sarebbe stato praticamente impossibile, e mi chiesi come potesse sperarci davvero. Ma in effetti che cos’altro potevamo fare? Eravamo finiti in balia del fiume e del vento, mentre ci dirigevamo dove nessuno dei due voleva dirigersi.

«Che dovessimo rinunciare mi era chiaro già da subito, ma vorrei avere il tuo stesso ottimismo riguardo alla spiaggetta!»

Gli avevo urlato questa risposta mentre mi davo da fare con il remo, quando insieme notammo quello che realmente poteva essere un punto d’appoggio. Non si trattava di una spiaggetta, ma di un piccolo banco di sabbia vicino al centro del fiume, ancora fortunatamente integro e non inghiottito dalle correnti del Danubio.

Serie: Orrore ispiratore


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Che dire, come sempre la tua scrittura è perfettamente bilanciata e non annoia mai.
    Corro al secondo capitolo, accompagnato dal presentimento che quel banco di sabbia possa essere fonte di problemi…