
Al di là del bordo – 3
Serie: Orrore ispiratore
- Episodio 1: Rewind
- Episodio 2: La mano
- Episodio 3: L’urlo di Jo – 1
- Episodio 4: L’urlo di Jo – 2
- Episodio 5: Una piccola imperfezione
- Episodio 6: Al di là del bordo – 1
- Episodio 7: Al di là del bordo – 2
- Episodio 8: Al di là del bordo – 3
- Episodio 9: Al di là del bordo – 4
STAGIONE 1
Intanto rimanevo seduto vicino al bordo, con i crescenti spruzzi del fiume che mi venivano contro ad accompagnare le mie riflessioni. Le gocce d’acqua non mi davano fastidio, e per quanto potessi bagnarmi i vestiti, il sole e il vento li avrebbero presto asciugati. Quest’ultimo non accennava a diminuire neanche per un minuto, il che cominciava a darmi sui nervi. In effetti, c’era un’aria di generale nervosismo tra me e il mio compagno di pesca, i cui passi incerti si distinguevano a stento dietro di me. Stava ancora girovagando per quel poco che lo spazio gli consentiva, ma sapevo che non si trattava di un atto fine a se stesso. Il suo era un tentativo di liberarsi di quel peso che non gli gravava solo sullo spirito, ma anche sul corpo. Ricordo ancora bene quella insopprimibile sensazione di schiacciamento, così tangibile e inafferrabile allo stesso tempo. Per quanto mi convincessi che un qualche tipo di misteriosa suggestione stesse giocando il ruolo principale in questa faccenda, ero fin troppo consapevole dell’assoluta concretezza di quello che ci circondava. Era come trovarsi in bilico su un filo sospeso a centinaia di metri di altezza, pronti a precipitare da un momento all’altro al primo passo falso. Solo che non c’era nessun filo e nessun pericolo di precipitare: questa discordanza di elementi, credo, era la questione fondamentale della nostra inquietudine.
«Cosa pensi dei salici?» pronunciò una voce alle mie spalle. I passi si erano fermati di colpo. Quindi sentiva anche lui quel disagio nel mantenere il contatto visivo con le piante tutte attorno a noi.
«Non mi piacciono. Voglio dire, in circostanze normali il loro aspetto mi avrebbe senz’altro affascinato: crescono d’ovunque e costituiscono una vera meraviglia della natura, specie illuminati come sono da questo splendido sole battente. Anche i loro movimenti sono eleganti, sembrano quasi creature senzienti che danzano alla luce del giorno. Ma qui, in questo posto lontano persino da Dio, non riesco a tollerarli. Mi sento come se nascondessero qualcosa sotto le loro chiome, qualcosa che non possiamo vedere ma che incombe su di noi come gli occhi di un leone in agguato che si posano su una gazzella indifesa.»
Con queste parole avevo squadernato il mio stato d’animo a Kovács, con la certezza che anche lui stesse provando qualcosa di non troppo dissimile da ciò che avevo espresso.
«Eppure» rispose esitando, «non ci hanno ancora presi. Che cosa aspettano ad attaccare?»
La sua domanda mi pose immediatamente davanti a una nuova prospettiva: ci sarebbe stato davvero un attacco?
«E poi, ho il presentimento che non saremo al sicuro in nessun punto di questo maledetto fiume, finché loro ci circondano da ogni lato.»
Aveva concluso la frase con il fiato ansimante, come sotto a un forte stress. Pensai a un attacco di asma, ma la terribile verità era evidente e non c’era spiegazione che reggesse. Perché entrambi ci accorgemmo di quel brusco crollo dell’atmosfera sopra di noi, come se un gigantesco corpo invisibile fosse piombato giù dal cielo per comprimerci lentamente. Guardai in alto con uno sforzo anomalo del collo, e fu allora che non ebbi più dubbi riguardo alla fonte del nostro terrore. Erano i salici: anche sulla nostra isola, seppur piccola, le loro fronde si affollavano irrequiete sovrastandoci, sbattendo le foglie al vento in una danza ostile. Ora si erano fatti ingombranti e occupavano uno spazio decisamente più largo, e ci stringevano senza bisogno di spostarsi. Mi alzai di scatto e per un attimo mi girò la testa, poi un suono del tutto singolare prese a riecheggiare nell’aria intorno, attraverso il vento. Guardai Kovács, ma i suoi occhi erano puntati altrove. Aveva la testa leggermente alzata e lo sguardo smarrito. Mi dava l’impressione di essere in ascolto.
«Lo senti anche tu, non è vero?» disse in tono quasi sussurrato, udibile a malapena fra i rombi d’aria. Continuava a guardare verso una direzione inesistente, con un’espressione vuota dipinta in volto.
«Che cos’è?» gli domandai in risposta, incapace di afferrare appieno la natura di quel suono. Si trattava di qualcosa che solo con grande sforzo ero in grado di paragonare alla mia esperienza pregressa. Le parole più adatte a descriverlo avrebbero forse a che fare con un senso di chiusura, di gravosa cupezza e di ininterrotto fastidio per una specie di ronzio amplificato in uno spazio cosmico irraggiungibile. Continuava a ripetersi ad un ritmo opprimente.
«Viene dai salici, è il suono di quello che “nascondono sotto le loro chiome”, come avevi detto tu. Sono qui, adesso.»
«Maledizione! Chi è qui?» urlai in un impeto di irritazione incontrollata verso il mio amico. Quello che prima era solo vago nervosismo, ora era diventata vera e propria intolleranza.
Kovács non rispose, e come se nulla fosse tornò a sedersi sulla ghiaia. Non mi guardò nemmeno. Poi distolsi lo sguardo e rannicchiai la testa fra le ginocchia come un bambino atterrito. Il mio grido mi era costato parecchio fiato, ed ora mi ritrovavo ansimante e con le membra esauste. C’era ancora quell’enorme macigno sopra i nostri corpi, a ricordarci della condizione di totale impotenza e insignificanza in cui eravamo.
Ascoltai con gli occhi chiusi il tuonare della piena sotto di me che ancora cresceva e cresceva, e per un attimo avvertii l’impulso di abbandonarmi alle correnti per fuggire via da quel posto spaventoso. Tutta la situazione era degenerata in poche ore, ma la mia razionalità non trovava appigli a cui aggrapparsi per giustificare quello che stava accadendo tra di noi.
D’un tratto, un altro suono si sollevò nello spazio. Questa volta, però, lo riconobbi fin troppo chiaramente. Era Kovács: stava piangendo.
«Ho una paura tremenda, dobbiamo scomparire da qui prima di subito o…» le parole gli morirono in gola, con la voce spezzata dalle lacrime.
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- Episodio 8: Al di là del bordo – 3
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Bellissima la descrizione dei salici come creature ostili… e ora sono certo che quell’isolotto sia una fonte di pericolo!
E io mi sono anche trattenuto, se leggi il testo di Blackwood sembra che abbia avuto un trauma infantile con quelle piante ahaha