
Alla conquista del Bionaz!
Serie: Bivacchi
- Episodio 1: Riders on the storm
- Episodio 2: Nei pressi della morte
- Episodio 3: Stop me
- Episodio 4: Chi ha paura di Lu Barban?
- Episodio 5: E alla fine arriva Dima
- Episodio 6: Alla conquista del Bionaz!
- Episodio 7: Sprofondo bianco
STAGIONE 1
(Immagine di copertina di Fabio Elia)
Qual è la differenza tra rifugio e bivacco? Il rifugio è presidiato, il bivacco no. Il rifugio è a pagamento, il bivacco no. Il rifugio ha maggiori comfort garantiti, nei bivacchi variano di molto da un caso all’altro. All’inizio, quando Favie ce ne ha parlato, stentavamo a credergli. In pratica, ci sono delle baite spartane, incustodite, aperte a chiunque, a disposizione di che le vuole utilizzare. In tutte, puoi trovare posti letto, coperte, tavoli e panche. In alcune, anche pentolame, cibi in scatola, stufa a legna e persino fornelli a gas ed elettricità nei casi più fortunati.
La destinazione era il bivacco Bionaz, nella Val d’Aosta, a circa 2500 metri. Io ero in macchina con Blaco e Derek. Il viaggio d’andata si è consumato parlando, complice il rapporto sentimentale di quest’ultimo, finito di fresco, di quanto i rapporti con le donne fossero irti di spine, di quanto esse fossero spietate e si potesse vivere meglio senza, ma il fatto stesso di dedicar loro tutte queste ciance indicava quanto non se ne potesse fare a meno. Nell’altra macchina, Scilli, Favie ed Ele completavano la combriccola. Passando nell’ultimo tratto, dove le casette a punta della Val d’Aosta formavano paesaggi favolistici, abbiamo parcheggiato su una piazzuola a bordo strada. Ci aspettavano due ore e mezza circa di cammino ed io mi sentivo carico. Avevo proprio voglia di camminare a lungo in montagna, di stancarmi.
Dopo i primi dieci minuti, eravamo già nel fitto del bosco, ad ansimare silenziosi. In testa al gruppo, la solita Ele, il competitivo Derek, il perentorio Favie, poi io, a fare da spartiacque, ed infine Blaco e Scilli, i “pauseggiatori seriali”. Il posto era uno dei più belli mai visitati ed anche abbastanza selvaggio. Ad un certo punto, poco dopo aver avvistato e fotografato uno stambecco sulle rocce antistanti, mentre camminavamo, ancora meravigliati, abbiamo visto sbucare da dietro una roccia, a pochi metri da noi, scappando via lesti, tre piccoli cerbiatti. O almeno, credo fossero cerbiatti. Per nostra stessa ammissione, non abbiamo bene in mente la distinzione tra stambecchi, camosci, cerbiatti e caprioli. Sicchè, andiamo un po’ ad intuito.

(Foto di Fabio Elia)
Eravamo estasiati da questi incontri ravvicinati con la fauna del posto. Poco dopo, il bosco sbucava su un enorme distesa di rocce, che doveva essere, in altri periodi dell’anno, il letto di un torrente, o forse il risultato di una rovinosa frana. Era un paesaggio fantastico, mi sembrava di vivere sul set di “The Revenant”. Questa prateria di massi segnava un netto confine, oltre il quale la pendenza si sarebbe impennata di colpo. Le nostre stanche membra hanno colto subito la differenza. Ele ha avuto una sorta di attacco epilettico, brevissimo per fortuna, ed il gruppo ha deciso di fermarsi per una sosta. Derek ha tirato fuori del cioccolato ultra fondente. Il mio organismo tollera poco il cioccolato, pena mal di testa lancinanti, ma dato che quello fondente è meno dannoso, ho optato per assaggiarlo. Cavolo, era troppo buono, e così ne ho preso un altro assaggio, e poi un altro. Dopo poco, siamo ripartiti. La pendenza aumentava in maniera esponenziale, fino a disegnare pendii praticamente verticali. Eravamo stremati e scoraggiati. Era davvero dura e non si vedeva oltre i pendii che troneggiavano sopra di noi. Qualcuno cominciava a lamentarsi e qualcun altro ha lanciare i semi del dubbio sulla correttezza della strada che stavamo seguendo. Il sentiero era diventato così ripido che utilizzavamo anche le mani per procedere.
Ele era sparita da qualche minuto, oltre il pendio a vista ed il suo silenzio ci teneva col fiato sospeso. Poi, l’urlo liberatorio:
-Bivaccooooooo!-

(Foto di Fabio Elia)
Al che, tutto il gruppo, rianimato da nuova energia, con un ultimo sprint, ha raggiunto la cima, urlando di gioia.
Il bivacco era davvero bello. Sembrava uno di quei rifugi per trappers che vedevo nei fumetti di Tex Willer. Era piccolo, ma lo spazio, all’interno, era ottimizzato, arrivando a disporre di circa quindici posti letto più tavolo e panche. C’erano delle pentole. Noi avevamo portato il fornello a gas e il necessario per preparare la polenta. Il responsabile del bivacco, sentito per telefono, aveva detto a Favie che, poco vicino avremmo trovato una sorgente d’acqua, ma noi, complice anche la stanchezza e l’ansia di arrivare, non l’avevamo vista. Così, abbiamo dovuto utlizzare l’acqua delle nostre bottiglie, razionandola per non rimanere assetati di notte.
La polenta era stata condita con una quantità inenarrabile di formaggi, tanto che la sua consistenza era gommosa come un enorme cicles. Tra il cioccolato del pomeriggio e tutto quel formaggio stagionato, uniti alla stanchezza della camminata, la mia emicrania si faceva sentire come aghi conficcati sul lato sinistro della testa. Nemmeno il vin brule’ di Ele aveva arrecato sollievo. Avevo bevuto troppo vino per pensare di assumere un Oki. E così, speravo di lenire il dolore con un po’ di riposo. Dopo un po’ di chiacchiera e la preoccupazione per il freddo che avrebbe fatto, il silenzio ed il buio della notte che ci avvolgevano ci hanno indotto al sonno. Eravamo in mezzo al nulla, circondati da silenti cime brulle, lontani chilometri dalla civiltà. Ogni tanto mi svegliavo per la sete; il mal di testa non mi faceva riposare bene. Con disperazione, ho preso atto che la mia acqua era finita. Scilli si è offerto di darmi ciò che restava della sua ed io, per la gratitudine, gli avrei fatto un mezzo busto in marmo, lasciandolo lì in bella vista, all’entrata del bivacco, con la scritta: “Qui pernottò il prode Scilli, che offerse i suoi ultimi provvidenziali sorsi d’acqua per salvare la vita al suo compagno d’arme Meex”. Invece, dopo sentiti ringraziamenti, ho preso l’Oki dal mio zaino e con quel po’ d’acqua l’ho buttato giù, rimettendomi poi a dormire.

(Foto di Fabio Elia)
Al mattino dopo, mi sentivo carico. Gli altri perdevano tempo, restando a poltrire pur essendo svegli. Volevo usare l’energia che sentivo addosso per fare qualcosa per il gruppo.
-Ragazzi, mentre voi vi preparate io vado a cercare la sorgente, così avremo l’acqua per il caffè.-
Tutti d’accordo. Sono uscito e ho fatto pipì (poichè i bivacchi non hanno il bagno). Mi sentivo osservato e voltandomi, ho incrociato lo sguardo di uno stambecco, venti metri più in là, che mi osservava incuriosito e guardingo, prima di sgattaiolare via tra le rocce. Mi sono avviato anch’io, giù per il ripido sentiero dal quale eravamo arrivati, guardandomi attorno per capire dove potesse nascondersi la sorgente in questione. Parallelo al sentiero, quindici metri più in là, c’era il letto secco e roccioso di un ruscello. Ho pensato che, forse, arrampicandosi a monte di quel letto vi fosse un piccolo zampillo d’acqua. Forse è questo che intendeva il tizio al telefono. Tra me e quel ruscello asciutto, il ripido prato. Sentendomi anch’io un po’ stambecco, mi sono inerpicato in quella direzione, ma dopo alcuni metri, la gelida (in senso letterale e metaforico) consapevolezza si è impossessata di me. Il prato gelato del mattino era scivoloso, povero di appigli e tanto ripido che se fossi scivolato non mi sarei più fermato, se non rovinando contro quelle rocce là in fondo. Per un momento, sono rimasto immobilizzato dal panico. Gli altri erano troppo distanti per sentire una mia richiesta di aiuto…e poi che figuraccia ci avrei fatto. Ero avanzato troppo per tornare indietro. La mia salvezza era arrivare al letto roccioso del ruscello. Da lì, di roccia in roccia, scendere sarebbe stato uno scherzo. Ma ora, invece, c’era poco da scherzare. Ho cominciato a muovermi lentissimamente, come un ragno, appigliandomi con tutti gli arti, a qualsiasi pietra conficcata nel terreno. Rimanevo qualche secondo immobile, studiando quale fosse il prossimo appiglio, e poi cautamente mi muovevo verso di esso. Quando, inavvertitamente facevo rotolare giù qualche pietra la sentivo prendere velocità per le decine di metri sotto di me finchè…STOCK! Non le sentivo impattare contro le rocce di sotto e un brivido mi faceva sentire come se fossero state le mie ossa a sfracellarsi laggiù. Comunque, lentamente, un metro per volta, ho raggiunto il ruscello secco, con mio grande sollievo. Ma a quanto pare, non vi era traccia di nessuno zampillo. Tutta fatica sprecata.
Intanto, come se non bastasse, i Mediamente Organizzati, sbucavano sul sentiero dall’altra parte, canzonandomi:
-Che cazzo ci fai là!?-
-E’ una lunga storia. Ci becchiamo laggiù, dove il ruscello e il sentiero si incontrano.-
E, beffa delle beffe, la sorgente era proprio lì. Sarebbe bastato scendere tranquillamente per il sentiero e avrei trovato l’acqua. Sarei stato l’eroe del momento. E invece no. La costante, per me, è cercare sempre le soluzioni più difficili, senza avvedermi di quelle semplici, che stanno ad un palmo dal naso. Per consolarmi, comunque, il gruppo ha preparato un caffè, seduta stante, con fornelletto a gas, utilizzando l’acqua di sorgente. E poco dopo, rinfrancati, abbiamo cominciato la discesa.
Ritornando verso Torino, abbiamo pranzato in una locanda e Scilli non ha potuto far altro che sfoderare la sua virile ignoranza:
-Ma vaaa! Che Genepy! Quello è piemontese! Prendiamo qualcosa di valdostano!-
Ricevendo, in cambio, uno sguardo sprezzante dall’ostessa.
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