Alla ricerca di Dio – parte 2
Serie: Per tre punti passa l'infinito
- Episodio 1: Introduzione
- Episodio 2: Alla ricerca di me stesso – parte 1
- Episodio 3: Alla ricerca di me stesso – parte 2
- Episodio 4: Alla ricerca di Dio – parte 1
- Episodio 5: Alla ricerca di Dio – parte 2
STAGIONE 1
Sapete qual è l’elemento più importante da considerare quando si studiano le particelle di cui sono costituiti gli elementi, in fisica ma non solo?
Particelle piccole o grandi, atomi o pianeti, non importa la dimensione. La materia tutta è composta da particelle, si. Ma cos’è che tralasciamo sempre di esplorare? Che si manifesta anche se non visibile, e permette le interazioni che conosciamo, dall’attrazione gravitazionale tra pianeti all’attrazione chimica tra piccolissimi atomi che danno forma alle sostanze conosciute?
Il vuoto.
L’assenza di materia. Ciò che non c’è. Paura, eh?
In effetti fa paura, si. L’horror vacui dei latini. La natura rifugge il vuoto. E spesso anche noi lo allontaniamo.
O meglio, facciamo finta che non esista, e lo riempiamo con qualunque cosa. Perché pensiamo (sbagliando) che il vuoto sia totale assenza di materia ed energia. E l’assenza di qualcosa inevitabilmente ci fa paura. Ci mette a disagio, siamo incapaci a gestirla.
È quello che ci capita quando ci manca una persona, e abbiamo paura che non torni a riempire quello spazio lasciandolo, appunto, vuoto. Quando avvertiamo una mancanza nel nostro quotidiano, una telefonata che attendiamo, un riconoscimento che non arriva, un oggetto che perdiamo e a cui siamo affezionati, ci sentiamo inconsistenti.
Ed ecco che riempiamo le stanze di oggetti, l’aria di suoni e rumori, lo spazio di persone, la testa di pensieri.
Perché con il vacuum noi occidentali proprio non ci sappiamo fare.
Gli orientali invece sì.
Il vuoto nella filosofia orientale è lo spazio necessario perché l’energia vitale, il ki, possa agire in un fluire continuo, dinamico, mai statico.
Il ki è rappresentato da un ideogramma e rappresenta qualcosa contemporaneamente materiale e immateriale. Si tratta di qualcosa che si trasforma in modo continuo, si muove.
L’ideogramma è costituito da due elementi grafici, quello superiore significa ‘vapore’ mentre quello inferiore significa ‘riso non cotto’.
Scusi mi fa lo spelling? Si certo, K come Karaoke, I come Imola, Ki come riso cotto al vapore.
Pensare che una ciotola di riso fumante possa avere un significato così profondo e radicato, è incredibile. Anche buffo, se ci pensiamo. “Oggi mi sento più riso o più vapore?” potrebbe essere la domanda da farsi quando non sappiamo bene come indirizzare la nostra energia interiore, e dove soprattutto, perché abbiamo tutto quel vuoto dentro ma non siamo capaci di utilizzarlo correttamente.
Il vuoto è importante, va saputo utilizzare perché permette all’energia di fluire e tenere insieme le cose. Va compreso, prima di riempirlo con cose inutili.
Le millenarie discussioni filosofiche sull’horror vacui sono arrivate a conclusione a seguito degli esperimenti di alcuni fisici, tra cui un discepolo di Galileo Galilei, tale Evangelista Torricelli, che con il suo strumento di misurazione della pressione dell’aria (il cui principio viene utilizzato in quello che oggi conosciamo come barometro) ha dimostrato che il vuoto può esistere in natura.
In quegli anni (siamo nei dintorni del diciassettesimo secolo) un certo tale Otto Von Guericke, fisico tedesco (il nome Otto ha in effetti origini germaniche, ma è molto comune anche negli Stati Uniti, trattandosi di uno dei primi cento nomi più popolari. In Italia invece nessuno chiama il figlio Otto, a meno che non sia ottavo di un numero sperabilmente non più alto di otto, così tanto per distinguerlo dagli altri sette) ha architettato un’ingegnosa tanto complessa invenzione. Mettendo a contatto due grandi superfici a forma di emisfero e facendole combaciare, estraendo poi l’aria al loro interno attraverso delle valvole, queste non si sarebbero separate se non attraverso una forza da esercitare sulle stesse dell’ordine di qualche tonnellata.
Il vuoto creato quindi all’interno della sfera risultante non avrebbe permesso la separazione dei due emisferi, se non con l’applicazione di una forza enorme.
Tenere insieme le cose.
Il vuoto è un equilibrio di particelle in continuo e dinamico movimento, di materia che continuamente viene creata e distrutta.
Lo spazio creato tra i due emisferi di Otto (permettendomi di dare del tu a quell’illustre fisico nonché giurista e politico che fece l’esperimento al cospetto dell’imperiale Reichstag) non è altro che energia, e come duecento anni dopo affermerebbero i principi della meccanica quantistica se lo spazio vuoto non avesse alcuna forma né alcun contenuto, le particelle non avrebbero né velocità né energia, starebbero ferme, immobili, inerti.
Tutto ciò che si muove, passando dalle particelle del nostro corpo e che si auto rigenerano continuamente fino ad arrivare ai pianeti che popolano lo spazio intergalattico, occupa spazi che non vediamo, lasciando dietro di sé dei vortici che danzano nel vuoto seguendo dei principi invisibili all’occhio umano (ed anche alla ragione) che tendono a disciplinare il caos delle particelle che formano la realtà.
Il vuoto quindi non è assenza, ma presenza di energia che ci permette di agire e re-agire, cercando di muoverci verso la ricerca di ciò che ci attrae, piuttosto che verso ciò che manca.
C’è connessione tra le leggi della quantistica, che regolamenta l’infinitamente piccolo ma infinitamente potente, e la spiritualità, che rappresenta la ricerca del nostro legame con l’universo.
E non si creda che gli atomi non siano sensibili al nostro essere spirituale. Eccome se lo sono. Fanno finta di seguire per conto loro le strampalate leggi di indeterminazione, poi però si fanno condizionare dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni.
Con la nostra energia siamo in grado di definire noi stessi e la realtà che ci circonda.
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Perdonami Luca, continuo a non capire. Se, come scrive in uno dei versi, Mark Strand “Quando cammino
divido l’aria
e sempre
l’aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava” vuol dire che il vuoto assoluto non c’é mai. Oppure se per vuoto si intende l’abbassamento della pressione al di sotto di quella atmosferica, posso immaginare che ció possa accadere artificialmente, oppure nella voragine mentale che si crea quando perdiamo qualcuno a cui eravamo profondamente legati.
Mettiamola così, il vuoto ha una sua energia, forse più di ciò che lo riempie
Complimenti per come riesci a rendere facile, scorrevole e interessante ogni argomento di materie complesse come la fisica e la filosofia. Trasmetti un interesse che affascina il lettore, senza alcuna fatica. Una sola difficoltà dovuta alle limitazioni della mia mente. Il nostro rifiuto del vuoto, di ogni genere, é abbastanza evidente. Di solito la maggior parte di noi occidentali di ogni ceto sociale, tendiamo a colmare fin troppo il senso di vuoto con il cibo, oggetti materiali, passatempi virtuali e persino con le finte compagnie. Non metto in dubbio i risultati scientifici di cui parli ma non riesco a concepire come possa esistere il vuoto in natura. Se potessi essere piú specifico nel fare degli esempi, forse mi sarebbe piú facile da immaginare.
guarda, lascio a Mark Strand il compito di risponderti. Cerca la sua poesia “tenere insieme le cose”. E poi dimmi.
Mi è piaciuto come parte dalla fisica per arrivare a qualcosa di molto umano, come la paura del vuoto, della mancanza, dell’assenza. Il tono è leggero ma il messaggio è serio, e ci ho trovato tante cose in cui mi sono riconosciuto. L’idea che il vuoto non sia qualcosa da riempire a tutti i costi, ma da capire e rispettare, mi ha colpito.
grazie, nonostante sia proprio quello che volevo esprimere, la tua considerazione mi colpisce. Abbiamo fatto centro entrambi
@lucauri semplicemente credo che entrambi, nei nostri scritti, siamo alla ricerca di “Dio”. Forse è proprio per questo che il tuo messaggio mi è arrivato così direttamente.