
Amnesia
Quando le palpebre si aprirono, mi ritrovai nello sterile ambiente di una stanza d’ospedale. Il suono ritmico delle macchine riempiva l’aria circostante, mescolandosi all’odore, quasi opprimente, dell’antisettico. La testa pulsava e i pensieri erano confusi. Lentamente, iniziai a mettere insieme piccoli frammenti di memoria: un incidente d’auto, pneumatici stridenti, luci accecanti. Cercai di alzarmi, per provare a sedermi, ma il corpo sembrava ribellarsi, come se volesse riposare ancora. Mentre la nebbia nella mente iniziava, seppur impercettibilmente, a dissolversi, si insinuò la paura. Dove mi trovavo? Che cosa era accaduto? Il panico si fece strada, minacciando di sostituire ogni pensiero razionale. Poi sentii una voce parlarmi dolcemente. C’era qualcuno accanto a me e provai una sensazione di tranquillità. Le paure sembravano distanti.
“Tesoro, sei sveglia?” Vidi la figura di un uomo, dagli occhi gentili e il sorriso caloroso.
Riuscii a malapena a parlare mentre chiedevo: “Chi… chi sei?”. Il sorriso dell’uomo svanì e subentrò un’espressione preoccupata. “Sono io, tuo marito. Stiamo insieme da dieci anni, non ti ricordi?”
Sposati? Da un decennio? Mi sforzai di comprendere le sue parole, ma la mente era vuota. Nessun ricordo. Il nulla. Cercai nella stanza qualcosa di riconoscibile, ma tutto sembrava sconosciuto.
“Hai qualche ricordo?”. Mi chiese, con tono ed espressione preoccupati.
Scossi la testa. Come potevo non ricordare mio marito? La mia stessa vita? Non era possibile. Sembrava assurdo.
“Abbiamo avuto un incidente d’auto”, continuò, con voce gentile. “Hai sbattuto la testa in modo piuttosto violento. Il medico ha detto che potresti aver avuto una perdita di memoria”.
Un incidente d’auto. Ecco perché ero in ospedale. Ma perché non riuscivo a ricordare nulla? Perché non riuscivo a ricordare mio marito? Le domande iniziavano ad essere quasi ossessive, come se stessi vivendo qualcosa al limite della realtà.
Percepì il mio senso di angoscia, si avvicinò e prese la mia mano, stringendola nella sua. “Va tutto bene, la risolveremo insieme”.
Ma mentre parlava, cercando di rassicurarmi, un dubbio iniziò a insinuarsi. “E se mi stesse ingannando? Se quest’uomo davanti a me, con il suo sguardo gentile e il suo sorriso accogliente, non fosse davvero mio marito?” Cercai di allontanare il pensiero, non volendo prendere in considerazione la possibilità che la persona davanti a me potesse essere qualcun altro, se non il mio amato sposo. Tuttavia il dubbio continuava a persistere.
Nei giorni successivi cercai di ricostruire il mio passato. Mio marito – o l’uomo che sosteneva di esserlo – cercò di colmare le lacune, i vuoti, raccontandomi storie sulla nostra vita insieme. Mostrò le foto di noi due e dei nostri tre figli. Mi raccontò del nostro primo appuntamento, del giorno del nostro matrimonio, della nascita dei nostri figli. Ma niente di tutto questo mi sembrava reale. Era come guardare, ascoltare e percepire la vita di qualcun altro, una vita che avrei dovuto ricordare, ma non potevo. Perché non esisteva.
Nelle settimane successive venni dimessa e tornai a casa. Mi sentivo a mio agio, pur non ricordando nulla del passato per come mi era stato raccontato, nel ruolo della moglie devota, sorridente e disponibile a risolvere i problemi quotidiani, prendendomi cura dei figli e della casa. Ma c’era sempre un senso di disagio, la sensazione che qualcosa non fosse esattamente al suo posto. La casa era l’unico luogo che ero riuscita a ricordare. Nulla di più, nel vuoto assoluto.
Decisi di salire in soffitta per dare un’occhiata. Mentre salivo le scale, con la polvere che mi accompagnava, sentii un senso di nostalgia. Erano passati, probabilmente, anni dall’ultima volta che l’avevo visitata, non riuscivo a ricordarlo, ma non potevo resistere all’impulso di esplorarla ancora una volta.
Rovistai tra scatole piene di vecchi vestiti e giocattoli della mia infanzia. Poi qualcosa attirò la mia attenzione. Nascosto in un angolo c’era un vecchio diario, con la copertina in pelle sbiadita e le pagine ingiallite dall’età. Il cuore ebbe un sussulto quando riconobbi la mia calligrafia sulla copertina. Qualche ricordo tornò alla mente, come un’improvvisa onda anomala. Il diario: il mio rifugio sicuro durante i turbolenti anni dell’adolescenza.
Con mani tremanti, lo aprii e cominciai a sfogliare le pagine. Ogni parola mi diede una scarica di emozioni: rabbia, tristezza, gioia e tutto quello che si poteva trovare nel diario di un’adolescente. Era come se stessi rivivendo il mio passato.
Ricordai il tempo che dedicavo, ogni giorno, a scrivere su quel diario riversando tutto il mio cuore su quelle pagine. Mi ricordai di quando lo nascondevo in soffitta, dove nessuno avrebbe potuto trovarlo.
Ero sopraffatta dall’emozione e dalla tristezza, le lacrime scorrevano lungo il viso mentre stringevo il diario tra le mani. La copertina logora e le pagine ingiallite testimoniavano gli anni passati, ma c’era qualcosa in più di semplici ricordi. Sfogliando ogni pagina, sentivo che pezzi della mia anima venivano ricomposti, frammenti di me stessa che credevo perduti per sempre e che ora riaffioravano.
Ripensando a quegli anni sicuramente tumultuosi, ero grata al piccolo diario che era stato il mio confidente e compagno. Aveva permesso di esprimere il mio pensiero in mille modi. Attraverso le pagine macchiate d’inchiostro, avevo riversato le paure, le speranze e i sogni più profondi, trovando conforto nelle parole che uscivano dalla mia penna.
Il diario poteva sembrare una semplice raccolta di appunti, di pensieri, di sentimenti e di emozioni, ma era diventato molto di più. Non era soltanto lo sfogo segreto di un’adolescente, ma un costante e puntuale resoconto quotidiano delle vicende di una donna ormai adulta. E di ciò che era accaduto, a quella donna. Lessi con attenzione di un grave incidente, nel quale ero stata coinvolta. Di una persona che si trovava in ospedale e per la quale ero in apprensione. Sembrava essere in pericolo di vita. Tutto era segnato con precisione. Una finestra su qualcosa che non ricordavo e che non avrei mai saputo, se non fosse stato scritto su quelle pagine. Avevo aperto una pagina sconvolgente su una vita dimenticata.
L’uomo che diceva di essere mio marito, era un estraneo. Una figura sinistra che aveva passato anni a tessere una rete di inganni e manipolazioni intorno alla mia persona, cancellando il mio passato e distorcendo i ricordi fino a non fidarmi dei miei stessi pensieri. Era un impostore, aveva controllato ogni aspetto della mia vita, facendomi sentire nient’altro che una marionetta nel suo gioco perverso. I ricordi che mi erano diventati cari rappresentavano soltanto dubbi e sospetti, mentre realizzavo la tragica verità: tutta la mia vita con lui era stata una menzogna accuratamente costruita. E ora, di fronte a questa inquietante realtà, non potevo fare a meno di chiedermi quali altri segreti nascondesse.
Mi precipitai nel suo ufficio, con le mani che mi tremavano per la rabbia e per il tradimento mentre stringevo tra le mani le prove schiaccianti: le pagine del diario e il suo racconto della tragedia. Lacrime calde mi rigavano il viso, alimentate dagli anni di bugie e inganni che erano stati nascosti dietro le porte di una casa che non era la sua. Cercò di negare tutto, con la voce tremante, ma vidi una sorta di senso di colpa scritto sul suo volto, forse l’ennesima finzione. Gli ultimi dieci anni della mia vita sembravano uno scherzo crudele. Come potevo essere stata così cieca? Così sciocca? Così facilmente manipolabile? Era come guardare un estraneo quando era lì, seduto, di fronte a me. L’uomo che pensavo di amare non era altro che un volto sconosciuto. Tutto ciò che credevo fosse realtà, si era sgretolato in un batter d’occhio.
Lo lasciai quella sera, portando via i ragazzi. Non fu facile ricominciare senza alcun ricordo della mia vita passata. Ma ero determinata a costruire una nuova vita per me e per i miei figli, una vita vera e autentica.
Se ora ripenso a quel periodo, mi rendo conto di quanto possano essere fragili i ricordi. Quanto facilmente si possono manipolare e distorcere. E quanto sia importante fidarsi del proprio istinto, anche quando tutto il resto ci dice il contrario.
Negli anni successivi ho ricostruito lentamente il mio passato, attraverso un’attenta terapia e parlando con vecchi amici e familiari, unendo tasselli apparentemente scollegati fra loro. Ho scoperto che il mio vero marito era morto in un incidente d’auto prima che incontrassi l’uomo che mi aveva rubato i ricordi. In quell’incidente mi salvai ma subii un trauma e persi gran parte della memoria. E quell’uomo, che aveva proposto un contratto per una cospicua assicurazione, volle appropriarsi dell’ingente somma, approfittando del mio stato. Nessuno si accorse di nulla. Amici e familiari sapevano solo che veniva a trovarmi per sapere come stessi. Nulla era trapelato sulle reali intenzioni dell’uomo che, nel frattempo, viveva alle mie spalle, grazie alla somma erogata dalla sua stessa assicurazione. Venne aperta un’indagine per chiarire le dinamiche dell’incidente, ma si conclusero con un nulla di fatto. Il sospetto era che qualcuno potesse aver manomesso l’auto, ma rimase solo un’ipotesi senza prove. Produsse un falso certificato di matrimonio, così da avere accesso al conto corrente, approfittando della mia situazione di difficoltà. Riuscì a farla franca, sotto gli occhi di tutti, per dieci lunghi anni. E sarebbe ancora qui, con me, se non fosse esistito quel diario dimenticato. Anche da lui.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Rossano, mi inserisco anche io in questo dibattito veramente interessante e che mi dà da pensare, soprattutto quando ti leggo. Arrivo sempre fino a un certo punto con l’attenzione alta e i sensi accesi perché le tue storie sono intriganti e misteriose. Hai una buona scrittura che concede spazio alla immaginazione. Tuttavia, mi spiazzano i tuoi finali che trovo didascalici ed eccessivamente esplicativi. Intendo dire che, a mio parere non è questione di flash story, che come genere sai condurre bene. Forse accentrerei il dibattito sulle troppe info che mi dai alla fine del testo. È naturalmente una questione personale, nel senso che, come dici tu, parte della buona riuscita di un racconto dipende molto da chi legge. Io, come lettore, preferisco rimanere con i miei eventuali dubbi e con quel pizzico di ansia sul ‘cosa sarà realmente successo?’ che mi piace tanto. Però, è gusto mio.
Ciao. Quando ho iniziato a scrivere i racconti brevissimi, lasciavo più spesso puntini di sospensione nei finali. Provando a raccontare storie più “vere” e più distanti da quelle distopiche e/o surreali, ho ritenuto di dover svelare, di dover provare a portare il lettore a capire se l’idea che si era fatto risultava corretta. Probabilmente, in termini di Crime Fiction o True Crime, che mi appassiona raccontare ultimamente (ne ho già scritti diversi ancora da pubblicare) mi manca lo spazio oppure (meglio ancora) devo trovare la formula di una finale aperto ma che, al tempo stesso, fornisca una risposta. A meno che non decida per una serie…in quel caso cambierebbero le regole. Ma forse mi perderei. Svariati autorevoli membri della community mi hanno consigliato questo…forse dovrei essere meno testardo.
In realtà tu scrivi molto e la maggior parte dei tuoi lavori sono validi e potrebbero essere spunto per una serie. Scelta eventualmente difficile 🙂
caro Rossano, mi trovo d’accordo con Giancarlo. C’è molto di buono nella tua idea narrativa: proprio per questo le gioverebbe poter disporre di un maggior respiro. Ma anche così l’ho letta con interesse.
Ciao Francesca. Grazie anche a te del contributo onesto (nel senso che apprezzo molto la critica e non il classico commento “buonista” sul “come sei bravo”, “mi fai sognare”, “mi doni una speranza” e via discorrendo, molto social e poco costruttivo). Faccio mia, dunque, la tua critica sulla possibilità di utilizzare un tema narrativo valido in modo migliore (attraverso le serie o capitoli che dir si voglia). Ma rispondo, come a Giancarlo, che la sintesi è una caratteristica delle flash story (e questo è assolutamente risaputo) che mi hanno attratto immediatamente, non appena ne ho scoperto l’esistenza. E tali storie vanno lette con quella predisposizione, a mio parere. Può darsi che l’invenzione delle storie lampo possa essere paragonata al fast food della scrittura. Mi domando (e domando anche a chi mi chiede di “estendere”), ci sono tematiche che sono, diciamo, tabù per una flash story? Nel senso che la sfida della sintesi risulta una sfida persa? Grazie ancora per aver dedicato il tuo tempo alla lettura.
ti rispondo rispondendo a me stessa perché sotto il tuo commento non mi appare il tasto “rispondi”.
Quello che mi sento di dire è che non si tratta solo o soprattutto della lunghezza materiale di un racconto. Un racconto breve può avere un’estensione anche di venti righe, non è questo il problema. Piuttosto, quello che davvero importa – ma è solo l’opinione di una che non ha competenze tecniche in materia – è il ritmo e il tono della narrazione. Sarebbe meglio – a mio avviso – evitare dei passaggi solo esplicativi e fare il possibile per mantenere una tensione drammatica fino alla fine. Nel caso del tuo racconto, l’ultimo paragrafo è una relazione su quanto è avvenuto “dopo”: ed è chiarissimo e ben scritto. Ma forse se tu avessi trasformato quelle informazioni in azioni e dialoghi, avresti mantenuta più alta la temperatura emotiva. Però, ripeto, è solo un’opinione. Ma è un bene che si discuta di questi aspetti formali perché aiutano tutti coloro che – come me – vogliono imparare a far meglio.
Se posso davvero essere sincero, Rossano, questa storia io la riscriverei, tenendo lo stesso stile, le stesse parole, lo stesso tema ma aggiungendo tutti i dettagli che hai lasciato fuori per farla entrare tutta in 1500 parole. E ne verrebbe fuori una serie, probabilmente due o più stagioni, perché è intrigante e ben scritta e perché è sentita quasi come se conoscessi di persona la donna che racconta. Rispetto a quello che potrebbe uscirne, questo è un riassunto. Ben scritto, intrigante ma mi ha lasciato con l’appetito, come certe porzioni troppo piccole al ristorante.
Grazie per la tua condivisione, mi è piaciuta davvero.
Grazie, come sempre, del contributo. Come, ormai, appare evidente, ho una particolare predilezione per le flash story. Mi sono iscritto (svariati anni fa) a questa piattaforma proprio perché dava la possibilità di raccontare storie brevi, in condivisione con chi amava anche le storie brevi. Naturalmente i miei racconti sono una forma estrema di storia breve (appunto la flash story), perché anche i racconti “in serie” sono comunque contraddistinti dalla brevità (nel senso che non sono romanzi fiume). Le serie ci sono sempre state, ovviamente. Ma, voglio essere sincero, l’apprezzamento per la “sintesi” di una flash story si è un po’ perso. Proprio perché deve raccontare tutto in 1.500 parole. Non è sicuramente facile scrivere una flash story di senso compiuto, non è probabilmente così divertente leggerla (o, almeno, non sembra esserlo più). Aggiungo che ci sono tematiche, come quella “thriller” o “gialla” che sono più complesse e, quindi, scrivere una storia simile rappresenta una sfida. A volte funziona. A volte no. Dipende da chi legge. Grazie ancora
Grazie a te, Rossano, per la condivisione del racconto (cosa che considero sempre uno splendido regalo) e per la risposta al commento, che considero un segno di rispetto e di stima reciproca fra lettore ed autore. Spero davvero tanto che la mia opinione non sia sembrata una critica, perché intendeva essere solo un’opinione da lettore, resa possibile da questa piattaforma.
Anche a me piacciono i racconti flash, e nei mesi scorsi mi sono cimentato in qualche tentativo, e li gradisco molto su EO perché di fatto è una piattaforma dedicata principalmente a questo tipo di opera, particolarmente adatta ad un mezzo, il Web, che richiede velocità. Lo scrivo qui per chiarire che questa formula mi piace, e sicuramente piace ancora a tutti.
Il senso del mio commento era che la complessità dell’argomento toccato dal racconto mi è sembrato richiedesse più “tempo”, perché tanti sono gli aspetti che si potevano toccare. La tua ottima scrittura ha poi stimolato l’interesse a leggere di più di questa storia.
Rispondere è un dovere da parte mia, soprattutto quando la critica tende ad essere costruttiva. Ma rispondo, per quanto possibile, sempre e comunque. La piattaforma, tramite i commenti, consente l’interazione fra chi condivide il piacere della scrittura (e della lettura) e, quindi, le opinioni sono benvenute, anche quelle più “toste”. Io le apprezzo. Anche quelle (e soprattutto) tendenti a voler contribuire a un miglioramento. Poi, magari, c’è chi le patisce e vede diminuire la propria autostima in seguito a una opinione/critica, ma non è il mio caso. Di complimenti, in generale, ne girano fin troppi e, dopo un po’, risultano non essere più credibili e un po’ “buttati” lì, in puro stile social (inteso come social mainstream…anche questa piattaforma è social, a suo modo, ma è differente). E ben venga se un racconto possa determinare l’apertura di un dibattito, perché, a prescindere da ciò che viene narrato, vuol dire che ha aperto un varco fra chi legge e chi scrive. E non solo qualcosa di cotto e mangiato, con un commento stile “bravo, mi è piaciuto” e via, avanti un altro. E ti ringrazio per aver contribuito (o magari continuare a contribuire a tale “dibattito”) perché significa aver metabolizzato la narrazione al punto da dedicargli ulteriore tempo. Come avrai notato, sono abbastanza sintetico nelle flash story, ma non nei commenti.