Animali in gabbia e pellegrini smarriti

Serie: A piedi controcorrente - Cronache semiserie di un fuggitivo pandemico-


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il viaggio riprende dopo la prima notte: stanze storte, ginocchia in sciopero e un mondo pandemico che osserva chi cammina.

La notte era passata, con i sogni che si porta dietro. La stanza, con la luce della mattina, sembrava ancora più distrutta della sera. Il tetto sempre più storto, le onde del pavimento avevano anche delle crepe che la sera non avevo notato. Ma entrava una luce stupenda dalla finestra, che tra l’altro avevo lasciato aperta tutta la notte.

Ora mi spiegavo il freddo: cazzo, la stanza sarà stata pure piena di spifferi… ma la finestra no!

La stanza era all’ultimo piano della casa, il terzo, e affacciava su una collina, quindi ancora niente di nuovo. Ma dal giardino arrivava un profumo di fiori e di orto che mi ha messo la carica giusta per ripartire.

Preparo lo zaino e, stranamente, mi sembrava più pieno. Oh, ci ho provato a rimettere tutto in ordine com’era, ma non c’era verso che ci entrasse di nuovo il sacco a pelo. Chi fosse entrato nella stanza in quel momento avrebbe assistito a una scena pietosa: io che, con un gomito usato come pressa a percussione, cercavo di far entrare il tutto e con l’altro braccio cercavo di chiudere la cerniera. In quel momento mi sentivo John Cena mentre faceva una delle sue mosse.

Giù in cucina la stanza era vuota, c’erano ancora i piatti sporchi della cena sul tavolo e un biglietto con su scritto:

Grazie della compagnia Dani, e buon viaggio a piedi controcorrente.”

La mia risposta: “Grazie a te e buona vita.”

E dopo la semplicità del nostro saluto, zaino in spalla e ginocchia ancora doloranti, riparto per la seconda tappa. Mi aspettavano ventisei chilometri e la partenza era in salita. Cazzo!

I primi chilometri sono stati durissimi, sentivo le ginocchia che quasi scricchiolavano e pensavo: “Vai, ora si staccano del tutto.” Ma dopo un’oretta già le cose andavano meglio. La campagna era finita e il paesaggio iniziava a mutare. Le colline erano più morbide e i saliscendi si facevano più dolci. Era come se la strada mi stesse dando una mano. O meglio: gambe!

Infatti, arrivo a un paese. Questo era più grosso rispetto al primo in cui ero finito.

C’era gente con le mascherine in fila davanti a ogni negozio. Il mio passaggio non se lo aspettavano, infatti, mentre camminavo sentivo i loro sguardi che mi seguivano, e le voci dietro le mascherine si facevano più sorde e basse. Qualcuno lo sentivo chiaramente che diceva:

“Ma questo che fa?”

“Ma è di qui?”

“Io non l’ho mai visto.”

“Questo è completamente fuori.”

Non so perché, ma mi facevano pena. Era come vedere animali in gabbia incuriositi dai visitatori esterni. Volevo dargli qualche nocciolina, povere bestie.

Per fortuna il paese, pur essendo più grande del primo, era comunque piccolo. Dopo quindici minuti tra strada, sguardi e chiacchiere, ero già di nuovo nella natura.

C’era gente che correva, chi andava in bicicletta, e si vedeva chiaramente che erano tutti novizi dello sport. Gente che non si era mai staccata dal divano o dalla scrivania d’ufficio, e che improvvisamente — grazie al Covid — riscopriva il piacere della vita all’aperto. Piacere forzato.

Mentre li guardavo pensavo: “Cavolo, ci voleva una pandemia, delle restrizioni e obblighi per far capire una cosa che dovrebbe essere scontata. Animali in gabbia!”

Mi allontano sempre di più dal paese, e le persone diminuiscono di conseguenza. A un certo punto, sul sentiero, vedo una signora venire nella mia direzione. Lei mi nota e da lontano allunga il braccio per salutarmi. Rispondo con lo stesso gesto, e una strana felicità mi travolge.

Arrivati quasi faccia a faccia noto che non ha mascherina, né al suo posto, né appesa sotto il collo o al polso.

Una volta vicini mi dice: «Ciao, pellegrino!»

Essere chiamato pellegrino mi faceva strano. Comunque, il fatto che qualcuno mi avesse notato e salutato mi ha fatto pensare al vecchio del giorno prima.

Le rispondo: «Buongiorno!»

E lei: «Non mi aspettavo di trovare una persona zaino in spalla su questa strada, in questi tempi!»

E io: «Sono strano, lo so.»

Le chiedo se manca ancora tanto per arrivare al paese dove finiva la mia seconda tappa. Mi dice che manca veramente poco. Poi, come se tenesse dentro una cosa da un po’, mi fa:

«Scusa eh… ma lo sai che c’è il Covid, e che a regola non si potrebbe fare quello che fai?»

Mi ricordo di averle fatto un sorriso e di aver detto solo: «Sì, lo so.»

Lei mi guarda incredula, poi abbassa lo sguardo e si gira per andarsene.

Non dico che mi aspettavo un abbraccio, ma almeno un ciao!

Alla fine però, pochi metri dopo che ero ripartito e stavo pensando: “Certo, io sarò strano… ma anche lei non scherzava!”, mi sento chiamare.

Sempre lei: «Comunque, buon cammino. Non sei dove tu voglia arrivare né perché, ma sappi che hai la mia stima!»

Le faccio un sorriso, la ringrazio e riparto. Mai fermarsi alle apparenze.

Arrivo davanti all’abitazione che poco prima avevo chiamato.

«Buongiorno, sono un pellegrino che sta percorrendo la Francigena e volevo sapere se c’era una stanza o un posto letto.»

Chiamarmi pellegrino continuava a farmi strano. Era un numero che avevo trovato sulla guida del pellegrino, dove erano segnate varie abitazioni che ospitavano chi percorreva la Francigena, o stanze di albergo convenzionate.

Io puntavo sulle abitazioni con ospitalità. Primo: costavano meno.

Poi pensavo che così facendo avrei vissuto l’esperienza in maniera più autentica.

Pensiero del cazzo… boh. Comunque, questo mi passava per la testa.

Dall’altra parte del telefono mi aveva risposto una suora. Mi aveva spiegato che non si aspettavano una chiamata “in questi tempi”.

Questa frase cominciava a darmi fastidio! Non tanto per il senso, ma già sentirla due volte mi faceva pensare che l’avrei sentita ancora.

E che palle!

La suora continua: «Le stanze non sono pronte, ma se si accontenta di un posto letto di fortuna, la possiamo accogliere. In cambio di un’offerta a piacere.»

“Che spettacolo!” ho pensato. E le ho risposto che andava benissimo, e che sarei arrivato entro una mezz’ora.

Non ci volevo credere. Stavo percorrendo la Francigena, davvero. Lo stavo facendo in pieno Covid. E stavo per pernottare in un monastero.

A quel punto, non sapevo se ero un folle, un ribelle o un pellegrino per sbaglio. Ma ero in cammino, e tanto bastava.

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