
Anna e Marco
Serie: Racconti delle Molinette
- Episodio 1: Anna e Marco
STAGIONE 1
Anna
Novembre.
Guardavo la pioggia scrosciare dalla finestra dell’ambulatorio: l’acqua scivolava giù dalla grondaia della tettoia di fronte, i passanti tremavano di freddo sotto gli ombrelli e entravano di corsa nella palazzina dell’ospedale. Mi toccai i capelli: erano ancora bagnati, come accadeva spesso avevo dimenticato l’ombrello. Lo psichiatra finì la sua chiamata e mi disse di andare a chiamare la paziente, mi alzai impacciata, ero persa a guardare la pioggia, e andai in corridoio in cerca di Anna.
Marco
Luglio.
Ad aspettare gli altri mi stavano mangiando le zanzare, una mi aveva persino punto la pianta del piede. Presi il tabacco e mi girai un’altra sigaretta, ero a disagio li da sola. C’era il fiume a farmi compagnia: era uno spettacolo vedere i Murazzi nel mese di luglio, la gente camminava mano per mano godendosi le lunghe giornate estive, e i cannottisti allenavano le braccia muscolose con grandi bracciate. Era bello guardali danzare. Fui interrotta: vedevo i miei amici in lontananza, e in mezzo a loro c’era Marco.
Anna
Anna non era una bellissima donna, però si poteva considerare un tipo: l’impegno che ci metteva nel curare il suo aspetto si poteva quasi respirare. La pelle era abbronzata e rugosa, spendeva molto tempo nel lettino delle lampade, i capelli ovviamente troppo biondi per la sua carnagione, platino, tiratissimi nella coda di cavallo. Le lunghe gambe erano accarezzate da jeans attillati, la cintura stretta in vita, tra il pantalone e la t-shirt bianca con la marca in bella vista. Sebbene avesse appena passato i 50 anni si vedeva quanto tempo passava in palestra. Cristo, ricordo di avere invidiato il suo sedere.
Anna si sedette, lasciò la borsa sulla sedia vuota. Era tempo di iniziare il suo colloquio.
Marco
Marco assomigliava un po’ al topolino di cenerentola: era un ragazzo grasso, con il collo molto corto, vestito sempre con qualcosa di largo. Anche quella sera: maglietta nera e pantaloni estivi, di certo non si era impegnato in quella scelta.
Come quel topo però ci aveva un gran cuore, era un tipo in gamba.
Si sedettero, si parlò di stronzate. Tutti tirarono fuori il tabacco, tra filtri e cartine il tavolo sembrava avere nuovi invitati. A un certo punto Marco si alzò a prendere da bere, io non feci altro che osservarlo.
Anna
Anna era una prima visita: non era venuta di sua spontanea volontà ma era il marito ad avere prenotato. In effetti non ci capivo che ci facesse quella donna dallo psichiatra. Non sembrava depressa, e di certo non aveva tanto chiaro di che cosa parlare.
Inziò a raccontare la sua vita: Anna aveva una casa in collina, e era la mamma di due figlie adolescenti. Nei mesi estivi scendeva in Liguria: lei e suo marito avevano una spiaggia a Bordighera, quindi si occupava principalmente di quell’affare. Non le dispiaceva quella vita.
Insomma, Anna era una persona normale, di quelle persone che non sopportavo ma normale: aveva una vita attiva, sempre di corsa, tra le figlie e il cane, con un buon tessuto sociale a sostenerla. Diceva di avere molte amiche e che spesso le sere si intratteneva con loro. Che ci faceva quella donna da uno psichiatra?
Il dottore vicino a me era calmo, sembrava sapere qualcosa in più di quella donna, la guardava con occhi inquisitori. Quei due sarebbero stati persino una bella coppia: adesso erano seduti uno davanti all’altra come un gatto e un topolino.
“Signora, come va l’alimentazione ?”
Marco
Negroni.
Marco aveva preso un negroni. “Cristo Marco, sono le 6 del pomeriggio”. Guardai gli altri, nessuno sembrava avere notato nulla, era normale. Ed era questo che era sbagliato. Io invece a Marco ci tenevo, lo conoscevo da anni ma lo stavo osservando da pochi mesi. Abitavamo vicini, eppure nell’ultimo anno lo avevo visto molto poco. A volte mi fermavo sotto casa sua, lo vedevo fumare sul balcone, la mattina si stiracchiava, guardava la strada e tornava dentro pigro, a volte usciva di nuovo con una birra in mano. Ultimamente le cose non giravano al meglio: si era fermato con gli esami ma diceva di stare studiando molto, e quando mi rispondeva si lamentava del fatto che non facesse un cazzo. Eppure io lo spiavo: tornava spesso alle quattro di notte, palesemente ubriaco, faceva serata con una compagnia che aveva conosciuto da poco. Usciva molto di più la notte e molto poco di giorno, poche volte noi vecchi amici riuscivamo a tirarlo fuori di casa. Quando ci raggiungeva Marco era il primo a prendere da bere: e questo succedeva sempre, qualsiasi ora fosse, Marco doveva avere in mano dell’alcool.
Qualcuno rise, una ragazza del tavolo vicino si alzò per guardare il fiume, al nostro continuammo a fumare e parlare di stronzate. Marco finí il suo Negroni, dopo mezz’ora fece il secondo giro. Piccoli vigliacchi: tutti lì a fumare e parlare di stronzate. Nessuno disse niente a Marco: la sua vita si stava spezzando, ma che ci potevi fare, apparentemente era solo un ragazzo con un Negroni in mano.
Anna
Anna iniziò a parlare della dieta: era una di quelle donne fissate, spendeva mezzo stipendio negli integratori
. “Signora, vino ne beve?”
Anna si fermò a pensare perplessa: ammise di avere l’abitudine di bere uno, due bicchieri la sera. Ultimamente però era un po’ più stressata, l’estate a Bordighera era stata pesante, e talvolta si concedeva anche il terzo. “Però mi aiuta” disse “La sera arrivo stanca e le figlie continuano a lamentarsi.. bere mi permette di alienarmi.”
“E a pranzo ?“
Anna ora arrossiva: “A volte anche a pranzo si, ma mai più di uno, due bicchieri.. insomma finisco la bottiglia lasciata nel frigo la sera prima. Superalcolici mai, tranne con le amiche la sera. Ma è comprensibile, tutte le mie amiche lo fanno“.
Ora Anna sembrava affannata, era come se volesse cercare a tutti i costi di giustificarsi, di nascondersi. Proprio come il topo, che cerca di passare di soppiato nel corridoio in cerca del formaggio, strisciando contro il muro per non essere afferrato.
Ebbi una stretta allo stomaco: iniziai a capire perché quella donna era dallo psichiatra e non feci altro che pensare a Marco.
Quella donna di collina a cui avevo invidiato il sedere, era una ricca alcolizzata.
Fuori continuava a piovere, la nebbia aveva raggiunto la palazzina dell’ospedale. Mi toccai i capelli, erano sono asciutti.
“Signora, lei si rende conto di avere un problema?“
Sembrava un’altra persona la donna: “In effetti” disse “Le mie figlie dicono che bevo troppo, si arrabbiano quando vedono del vino. E ultimamente mi vergogno, nascondo la bottiglia dietro il microonde così che si veda di meno, ma anche mia madre mi dice che ho un problema. Per questo mio marito ha chiamato. Ma è solo un periodo stressante, passa.”
Lo psichiatra prese un biglietto: le scrisse un numero di un centro da chiamare appena se la sentiva, era un po’ più specializzato, l’avrebbe aiutata. La donna si alzò, sembravano più corte le sue gambe, la grana della pelle più spessa di quanto doveva essere per la sua età. Prese il biglietto e uscì dalla stanza: intravidi il marito che l’aspettava in corridoio, aveva la faccia preoccupata.
Pietro
Aprile.
Ero arrivata in ritardo quel giorno, e le specializzande avevano quasi finito il giro. Ero lì da poco, poco più di tre settimane. Abbastanza però da avere fatto amicizia con dei pazienti: quel giorno Pietro veniva dimesso dalla medicina interna. Pietro era un vecchio palesemente alcolizzato ricoverato per decadimento generale. Ma non aveva senso tenerlo nel reparto, uno spreco di denaro e risorse e letti per persone che avevano più a cuore la loro vita. Tutti sapevano che sarebbe morto in qualche bar di corso Bramante. Mi ricordo di quel vecchio: ricordo sopratutto le unghie dei piedi, rese spesse e gialle dalla micosi. Gli si vedano le coste a Pietro tanto era magro.
Mi stava simpatico però quel vecchio, sapeva fare battute anche divertenti quando non sbavava dietro all’infermiera. Peccato che ormai non gliene fregasse nulla della vita ma gli importasse solo più di bere, e probabilmente si, sarebbe morto in qualche bar di corso Bramante.
Mi ricordo di Anna, e mi ricordo di Marco.
Due erano persone in mezzo al sociale, lui un reietto, inutile persino per un reparto di ospedale, con le unghie infestate dai funghi.
Mi chiedo se a separarli ci fossero solo cinquant’anni. Forse quel vecchio sarebbe stata la fine di Anna e Marco.
Serie: Racconti delle Molinette
- Episodio 1: Anna e Marco
Non me, hai provato ad affrontare un problema che emerge poco tra i racconti del web.
Anna e Marco, come la canzone di Lucio Dalla. Due anime unite dallo stesso dilemma che però vivono in maniera totalmente diversa. Anna ne ha vergogna e si nasconde, Marco lo sbatte in faccia, con la consapevolezza che fa parte della sua vita. Pietro è in personaggio messo che nessuno con un bicchiere sempre in mano vorrebbe vedere.
Mi piacerebbe leggere ancora di questi due protagonisti, il racconto è molto nelle mie corde.
Cura più la forma.
Non male, volevo scrivere.
Grazie ☺️ In effetti lo scopo del racconto è proprio parlare di un argomento scomodo, che nessuno quasi mai affronta. Tutti i racconti che scrivo sono su questa linea! Mi impegnerò per la forma, tutte le critiche/consigli sono ben accolti 🙏🏻