
Aria condizionata
Serie: L'Urlo Muto delle Ombre
- Episodio 1: La stufa
- Episodio 2: Matilde
- Episodio 3: Spazzino in quattro – 1
- Episodio 4: Spazzino in quattro – 2
- Episodio 5: Il cielo cova la neve
- Episodio 6: Controllori
- Episodio 7: Hell’s Tie
- Episodio 8: L’orologiaio
- Episodio 9: Pieno di benzina
- Episodio 10: Il getto
- Episodio 1: La cena (Attimi – 1)
- Episodio 2: Caffè in cialde (Attimi – 2)
- Episodio 3: Acque invernali (Attimi – 3)
- Episodio 4: Cappio (Attimi – 4)
- Episodio 5: Preferisco la tua cucina (Attimi – 5)
- Episodio 6: Gabriel (The Scarecrow – 1)
- Episodio 7: Gabbiani (The Scarecrow – 2)
- Episodio 8: Rivelazione (The Scarecrow – 3)
- Episodio 9: Agatha (The Scarecrow – 4)
- Episodio 10: Le conseguenze (The Scarecrow – 5)
- Episodio 1: Salsa barbecue? (1)
- Episodio 2: Salsa barbecue! (2)
- Episodio 3: Gelatina (1)
- Episodio 4: Gelatina (2)
- Episodio 5: Gelatina (3)
- Episodio 6: Tartarughe (1)
- Episodio 7: Tartarughe (2)
- Episodio 8: Del prato di casa
- Episodio 9: Aria condizionata
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
“Quindici” mormorò Ida battendo con decisione sui tasti. Sullo schermo della calcolatrice comparve il numero quindici.
“Ancora quindici…”
“E…” scorse il dito lungo le file di numeri. “Dieci” concluse soddisfatta. Premette il tasto del totale con un gesto arcuato del braccio, degno di un’esecuzione pianistica. Lesse il risultato: Cinquanta.
Strabuzzò gli occhi, sistemandosi gli occhiali sul naso, come se un qualche riflesso dovuto ad un’angolazione insolita avesse potuto farle leggere un numero sbagliato.
No, il risultato era cinquanta.
“Non può essere” mormorò allargando le braccia. “Fa quaranta!”
Eppure, non poteva registrare quel quaranta, sebbene fosse certa che fosse la cifra esatta. La calcolatrice e la mente dovevano dare lo stesso risultato, prima di registrare una cifra anche insignificante. Sempre.
Sollevò lo scontrino di carta e lesse i numeri stampati.
“Quindici… quindici… dieci… ancora dieci?” Era evidente che per errore aveva battuto due volte il tasto della somma. Si tolse gli occhiali, lasciandoli penzolare sopra i seni, e si strofinò gli occhi, stanca. Non ricordava di aver premuto due volte la somma. E allora, perché quel risultato?
Perché quel buzzurro di John Miller ha mangiato uno dei suoi viscidi panini qui seduto alla scrivania.
E da quella bocca unta – tra i denti un pezzo di lattuga, i baffi impiastricciati di maionese… oh, sto per vomitare! – era venuta giù una grandinata di briciole che si erano sparse tra i fogli e nel fondo del portapenne.
E sotto i tasti della calcolatrice.
Aprì gli occhi. Avvicinò il viso alla tastiera del calcolatore ed eccolo lì, incastrato nella fessura tra la scocca in plastica e il tasto, un pezzetto di crosta di pane. Trasse un respiro profondo e aprì un cassetto. Osservò i post-it, gli evidenziatori e le matite, perfettamente catalogati. Contemplò quell’ordine che in quel momento fungeva da surrogato del Valium. Spostò lo sguardo sulle graffette raggruppate per dimensione. Ne scelse una piccola e l’aprì ottenendo un filo di ferro.
“Che spreco. Per le negligenze di un bruto!”
Inserì l’estremità della graffetta nella fessura e applicò una leggera pressione. La briciola resistette per un istante, poi la graffetta scattò in avanti e la briciola venne proiettata sul suo cardigan.
Ida, le braccia aperte e gli occhi sgranati puntati su quella viscida crosticina di pane, aprì le mani di scatto. La graffetta cadde sul pavimento tintinnando. Nel silenzio dell’ufficio, quel rumorino scintillante risuonò molto più forte.
Silenzio?
Controllò l’ora. Le nove del mattino; il cantiere avrebbe dovuto operare a pieno regime. Restò ad ascoltare, distinguendo solo il ronzio del condizionatore. Da lontano giunse una voce. Urlava: “Si salvi chi può!”
Ida scattò in piedi portandosi alla finestra. Il bulldozer giaceva accanto al mucchio di terra come un leone addormentato. La gru svettava altissima, un contenitore che penzolava avanti e indietro appeso al gancio. Nell’aria aleggiava una polvere secca. Il calore risaliva dai banchi di lavoro abbandonati e dalle lamiere dei casotti, deformando l’atmosfera. Le sembrò di vedere qualcosa, in lontananza, vicino alle latrine. Socchiuse gli occhi sforzandosi di vedere meglio.
“Cosa…”
Un botto squarciò l’aria. Ida, trasalendo, lo vide, velocissimo ma lentissimo, come se stesse assistendo alla scena in rallentatore: un brandello di acciaio sfrecciò nell’aria come la freccia scoccata da un indiano, scintillando al riflesso del sole. Lei si ritrasse di scatto, scansandosi dal vetro e premendo forte i palmi sulle orecchie, digrignando i denti fino a non udire più nulla. Ci fu un leggerissimo tonfo sul tetto, poi il silenzio. L’esplosione si allontanava verso le montagne, rimbalzando nelle aride vallate del desertiche.
“Devo chiamare i soccorsi” mormorò fiondandosi verso il telefono.
Sopra la sua testa, oltre lo strato di copertura del container, dal condotto tranciato del gas refrigerante colava un rivolo, che andava gocciolando dentro alla ventola dell’impianto di areazione. La temperatura sulle lamiere roventi era di poco inferiore ai centoquindici gradi, e solo il circolo d’aria mosso dalla ventola manteneva la temperatura appena sotto il livello di auto-combustione.
“Pronto, 911?” gracchiò la voce scocciata della centralinista.
“Sono Ida Skeeter del Cantiere Bosford Constructions” dichiarò Ida con fermezza. “Abbiamo avuto un incidente, dovete mandare i Vigili…”
La calotta del vano dell’impianto elettrico del climatizzatore (Avvertenza: non lasciare i cavi scoperti!) giaceva su uno dei banchi da lavoro del cantiere. John Miller se l’era dimenticata il giorno prima, quando la sirena della pausa pranzo aveva interrotto la sua manutenzione. Uno dei cavi elettrici nel vano scoperto (un cavo rosso) era stato appena sfiorato dal detrito vagante. Ora era diviso in due pezzi, tenuti assieme da un solo filo di rame.
“Signora” disse pazientemente la centralinista, “le ho detto che stiamo arrivando. Ora mi deve dire quanti addetti…”
Una leggera folata di vento (insolita per quel clima torrido) smosse l’aria alzando la polvere dal terreno arido. Accarezzò i cavi elettrici facendoli danzare nel loro quadro. Il cavo rosso si spezzò. La ventola continuò a girare per forza di inerzia, sempre più lentamente.
“Le ho detto, dodici addetti! Ma ora sono sola nel…”
Il liquido refrigerante continuava a scendere nel vano della ventola, goccia dopo goccia e penetrava dentro i condotti dell’aria. Intanto a temperatura del ferro saliva, e una fiammella iniziò a danzare nell’aria rovente sulla superficie del container.
“Sì, sento le sirene in avvicinamento” disse Ida tirando un sospiro di sollievo. Si accorse di avere due chiazze di sudore sotto le ascelle, e l’attaccatura dei capelli era imperlata da tante goccioline. Il condizionatore non funziona; questo il suo ultimo pensiero. Intanto la centralinista le rivolgeva altre domande: “Pronto? Mi sente?”
Ma Ida non sentiva. Fissava inorridita il condizionatore, dalla cui bocca aveva notato, appena percettibile…
Fuoco?
Lungo la fessura rettangolare bruciava un fuoco dapprima contenuto (sembra uno di quei caminetti a bioetanolo), poi le fiamme avvamparono fino ad avvolgere la scocca bianca del climatizzatore. L’aria fu presto satura dell’odore pungente di plastica bruciata. Una goccia di colla sciolta cadde sul pavimento, incendiando la moquette. Le fiamme si propagarono come la luce da una vecchia lampadina, arrampicandosi su per le pareti, camminando all’ingiù sul soffitto.
A dire il vero, ci fu un ultimissimo, sfuggente pensiero nella testa di Ida: che tu sia maledetto, John Miller. Me la pagherai!
Un secondo boato squarciò l’aria del deserto.
Serie: L'Urlo Muto delle Ombre
- Episodio 1: Salsa barbecue? (1)
- Episodio 2: Salsa barbecue! (2)
- Episodio 3: Gelatina (1)
- Episodio 4: Gelatina (2)
- Episodio 5: Gelatina (3)
- Episodio 6: Tartarughe (1)
- Episodio 7: Tartarughe (2)
- Episodio 8: Del prato di casa
- Episodio 9: Aria condizionata
Bello! Soprattutto la conclusione: per un attimo ho creduto che l’avrebbero salvata, ma poi ecco le fiamme nel condizionatore! Bravo Nicola!
Inquietante… Avresti dovuto pubblicarlo a metà luglio 🙂
Bella la lotta tra la mente e la calcolatrice che dà il via al racconto.
In effetti Luglio sarebbe stato il mese perfetto!
Grazie davvero Antonio 😉