Assalto

Serie: Il Piano


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: I preparativi per il nuovo lavoro sono ormai ultimati, non resta che entrare in azione. Ma l'imprevisto è dietro l'angolo..

Aprii gli occhi non appena la sveglia suonò. La spensi e mi voltai, trovando con lo sguardo Pete. Era sull’altro letto, vestito e intento a perdere la testa dietro uno dei suoi nuovi videogiochi sullo smartphone. A vederlo sembrava ci stesse mettendo l’anima.
“Il ritratto della professionalità” dissi stiracchiandomi.

“Fino a prova contraria sono io quello già pronto” rispose.

Evitai di ribattere, perché in fondo aveva ragione, e cominciai a prepararmi. Feci una doccia veloce per lavare via il sonno e mi vestii subito dopo. Indossai le fondine e le riempii con la Glock silenziata, il coltello e qualche caricatore. Guardai l’orologio e notai che mancava ancora un’ora all’inizio del lavoro. Mi voltai verso Pete. Era ancora intento a giocare, ma non appena incrociò il mio sguardo per un attimo, sbuffò e mise via lo smartphone.
“C’è ancora un sacco di tempo” borbottò mettendosi a sedere.
“Ricapitoliamo” disse Pete accendendosi una sigaretta “mentre tu metti a dormire le squadre di sorveglianza al primo e al decimo piano, io mi occupo di quella al quarto e preparo il corridoio per saltare. Mi avvisi quando hai finito e quando mi hai quasi raggiunto. Dopodiché faccio partire l’interferenza per disattivare le telecamere, saltiamo nell’ascensore e finiamo il lavoro. Tra qualche ora saremo a sbronzarci su una spiaggia e io non vedo l’ora.”
“Questo è il piano” risposi, presi la sigaretta dalle mani di Pete e tirai qualche boccata prima di restituirgliela.
“Prego” disse e fece un paio di tiri.
”Hai pensato che potremmo morire in almeno una decina di modi diversi se il piano non funziona?”
“Non fino a questo momento. Ma dopotutto, sono i rischi dell’avere un incompetente come partner. Forse sei anche più stupido di una melanzana” disse tirando le ultime boccate prima di spegnere la sigaretta sul pavimento della stanza.
Ci abbracciammo senza dire nulla per qualche secondo, poi ci congedammo con delle sonore pacche sulla schiena.
“Andiamo.”

Saltai nella stanza al primo piano.

Sparai con la Glock silenziata su entrambi i letti. Una delle due guardie era ancora sdraiata, probabilmente stava ancora dormendo. Notai la porta del bagno socchiusa, la aprii con un calcio e sparai all’altro tizio mentre era seduto sulla tazza e leggeva il giornale. Gliel’avevo detto di stare attento. Mi presi qualche istante prima di saltare verso le scale del nono piano. Atterrai e vidi subito una delle guardie in tuta da operaio di spalle. Tirai fuori il coltello, mi avvicinai di soppiatto e una volta che gli fui dietro, gli trapassai la gola all’altezza della carotide e la aprii tagliando verso l’esterno. Lo accompagnai nella caduta tappandogli la bocca per non fare troppo rumore. Sporgendomi dalla parete, notai nel corridoio l’altra guardia intenta a parlare con qualcuno all’interno di una stanza. Notai che non c’era molta distanza tra la mia posizione e dove erano loro. La guardia si voltò verso di me e tornai a nascondermi dietro la parete.
“John? Ci sei?” disse la guardia mentre estraeva l’arma dall’interno della tuta.
“Chiama gli altri venite a vedere cos’ho trovato!” esclamai mentre ricaricavo l’arma. Nella mia mente speravo che questa stronzata funzionasse, stavo perdendo tempo.
“Ma che succede?” esclamò il tizio. Sentii lo scricchiolio degli stivali avvicinarsi. A quel punto due erano le possibilità: o la mia strategia non era una stronzata o era il tizio ad essere particolarmente credulone.
Non appena fu abbastanza vicino, sbucai dalle scale e gli sparai in testa. Correndo, afferrai il corpo prima che cadesse e saltai verso l’entrata della stanza aperta. Lanciai subito il corpo in avanti e atterrai un’altra guardia. Ci misi qualche istante per prendere la mira e sparargli in testa mentre si dimenava. Guardai rapidamente all’interno della stanza e notai del movimento vicino alle tende, accanto ad uno dei due letti. L’ultimo probabile figlio di puttana era lì dentro ad aspettarmi. Cominciavo ad avere la nausea, non avrei dovuto saltare per la terza volta. Ricaricai, feci un respiro profondo e sparai verso l’interno della stanza. Entrai e vidi l’ultima guardia ripararsi dietro il letto. Lo aggirai e finii di svuotare il caricatore addosso al tizio. Ricaricai accertandomi che i corpi non si muovessero più. Presi il telefono e mandai un cuore rosso gigante a Pete. Uscii dalla stanza e andai verso le scale per scendere al quarto piano. Lui mi rispose con una melanzana. C’eravamo quasi.

Mi fermai sugli ultimi scalini prima del corridoio del quarto piano e mandai un altro messaggio. Le telecamere del piano esplosero e sentii Pete che cominciò a ridere. Entrai nel corridoio e lo raggiunsi.
“Credevo volessimo solo un’interferenza” dissi indicando i rottami.
“Ho pensato fosse più semplice farle esplodere” rispose allargando le braccia.
“Stanno salendo?”
“Non ancora, erano nell’atrio l’ultima volta che ho visto dal computer dei due tizi su questo piano. L’ascensore è qui, non appena premeranno il pulsante per chiamarlo, avremo all’incirca venti secondi prima di saltare.”
“All’incirca?”
“Dipende da quanti ce ne mettono a premere il bottone giusto!”
Vedemmo il display dell’ascensore illuminarsi con la scritta “Occupato”. Ci guardammo e prendemmo la rincorsa, fermandoci al centro del corridoio. Dopo esattamente dodici secondi, Pete mi fece cenno e cominciammo a correre verso l’ascensore. Mi afferrò e saltammo qualche decina di centimetri prima di raggiungere le porte d’acciaio. Per un attimo si fece tutto buio.

Quando venni colpito pensai che fossimo stati travolti dall’ascensore in corsa, ma capii che ero sdraiato sul pavimento del corridoio e realizzai di essere ancora vivo. Feci per alzarmi e qualcuno sparò una raffica di proiettili sul soffitto.
“Pensavate davvero che vi sarebbe bastato far fuori quattro scemi e saltare in un ascensore?” disse una voce che mi era, purtroppo, familiare.
Alzai lo sguardo e incrociai quello di Pete. Ci voltammo entrambi verso il guastafeste nello stesso momento. Era in piedi al centro del corridoio e non potemmo non notare subito l’Uzi col quale ci teneva sotto tiro. Indossava degli occhiali da sole scuri e sorrideva. Aveva il volto parzialmente coperto dall’arma, ma lo riconoscemmo entrambi.
“Ciao Pete” disse lui.
“Fottiti” rispose.
“Ciao Tom” dissi io.
“Ciao, fratellino” disse lui mentre puntava la pistola che aveva nell’altra mano verso Pete “chiariamo subito che non vorrei mi giocaste qualche brutto scherzo.”
Sparò un colpo al centro della coscia destra di Pete. Lui cominciò ad urlare e portò subito le mani alla ferita per bloccare il sangue. Tom cominciò a ridere forte, ma non spostò l’Uzi nemmeno di un millimetro. La mia pistola era poco lontana da me, ma se mi fossi mosso sarebbe stata l’ultima cosa che avrei fatto.
“Ma soprattutto, pensavate davvero che quei due non avessero assoldato qualcuno di molto più adatto a proteggerli da minacce particolari?” disse sospirando. Mi guardò e mi fece cenno con la testa di buttare via la pistola. La presi lentamente e la lanciai all’indietro, verso il centro del corridoio.
“Però devo ammettere che non avrei mai pensato che vi sareste interessati a bersagli del genere e che proprio oggi ci sarebbe stata una bella riunione di famiglia” disse e scoppiò a ridere di nuovo.
“Vuoi dare ancora aria a quel cesso o ti decidi a spararci?” urlò Pete.
“Sai cosa? Hai proprio ragione” disse e premette il grilletto.

Click.

Inceppata.

In quell’istante agguantai Pete e saltai verso la macchina.

Atterrammo sul tettuccio, ma l’urto ci sbalzò sull’asfalto. Eravamo nel parcheggio. Alzai lo sguardo e vidi un’anziana guardarci incredula.
“Apri quella cazzo di macchina e portaci via di qui” disse Pete dolorante.
Quasi non mi reggevo in piedi e a stento riuscii a trattenere i conati di vomito, ma riuscii comunque a recuperare le chiavi dal nascondiglio dietro la ruota e aprire la portiera posteriore per fare entrare Pete. Entrai nell’abitacolo e misi in moto. Da quel momento ricordo solo che mi concentrai sulla guida, sfrecciando nel traffico e cercando di non perdere i sensi.

Serie: Il Piano


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