B come Bellezza

Serie: Abbecedario sentimentale


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Bellezza

All’inizio fu solo un volto.

Lineamenti armoniosi, zigomi pieni, labbra disegnate con equilibrio. Occhi chiari, ma non banali. Tutto era disposto secondo un ordine che placava il desiderio prima ancora di accenderlo.

Tutti si voltavano a guardarla. Lei lo sapeva. Si era abituata presto agli sguardi lunghi, alle gentilezze non richieste, alla voce dei camerieri che cambiava tono. Aveva imparato a esistere dentro quell’armatura: corpo bello, viso bello, voce bella.

Un giorno, però, nella sala d’attesa di uno studio medico, notò una donna anziana. Sedeva accanto a un termosifone spento, con un foulard scolorito e tra le mani che tremavano lievemente un libro. Le unghie corte, smaltate male. Nonostante le occhiaie profonde e la postura stanca stava leggendo con una tale intensità che ogni ruga pareva accendersi.

Fu lì che comprese: esiste un’altra forma di bellezza.

Una che non cerca la luce, ma la genera.

Che non si offre, ma resta.

Che non chiede conferme.

Più tardi, sul tram, vide una madre disordinata ridere con un figlio rumoroso. I capelli sfatti, le calze smagliate. Ma il modo in cui lo guardava conteneva qualcosa di feroce. Non tenero: essenziale.

Amare senza pudore. Ridere senza grazia. Perdere il controllo per un attimo.

Questo, intuì, è bello.

Poi, una sera, davanti ad una donna che la desiderava davvero, la guardò. Le pieghe sotto i seni, l’ombra leggera sulla pancia, la cicatrice obliqua dell’appendicite.

Pensò: non è questo che si mostra sui cartelloni.

Forse era proprio lì, la bellezza che sfugge alle immagini.

Quella che non si lascia riprodurre.

Scoprì che era bello anche il silenzio.

Non riempire gli spazi.

Lasciare che l’altro finisca la frase.

Offrire ascolto senza promesse.

Che era bello anche perdonare.

Non per debolezza, ma per libertà.

Guardare chi ti ha ferito e decidere di non portarne più il peso.

Che era bello stendersi a terra e sentire la schiena aderire al pavimento.

Respirare. Solo quello.

Senza traguardi, senza pose.

Che era bello toccarsi. Non per mancanza. Ma per gratitudine.

Dire al proprio corpo: sei mio. Anche oggi.

Col tempo, cominciò a cercare i dettagli imperfetti.

Una voce roca. Un dente scheggiato. Un difetto di pronuncia.

Le cose che fanno vibrare.

Smise di chiedersi se fosse bella.

Iniziò a domandarsi: cosa è vivo, qui?

Perché ormai quella era la sola unità di misura.

La bellezza non era più un volto.

Era una crepa che lasciava passare la luce.

Uno sguardo lungo, ma non invadente.

La verità detta sottovoce.

Una carezza dopo un litigio.

Una frase scritta senza firma.

Un orgasmo raggiunto piangendo.

La bellezza, capì, non va trovata.

Va disarmata.

Tolto l’abito, spenta la luce, lasciata lì.

Se resta, allora sì.

È vera.

Serie: Abbecedario sentimentale


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Discussioni

  1. “Fu lì che comprese: esiste un’altra forma di bellezza.Una che non cerca la luce, ma la genera.Che non si offre, ma resta.Che non chiede conferme.”
    Hai descritto l’altro tipo di bellezza in modo sublime, in tutto il racconto, ma queste quattro righe sono la perfetta sintesi.