Barney

Serie: The Nightmare Keepers


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Nella libreria vuota, Chloe incontra una bambina-mostro che la intrappola e tanta di ucciderla. Quando tutto sembra perduto, una creatura oscura interviene, salvandola allʼultimo istante.

La testa le faceva talmente male che a Chloe servirono alcuni minuti prima di riuscire a capire dove si trovasse. Provò ad aprire gli occhi, ma la luce le tagliò dolorosamente lo sguardo. Facendo un respiro profondo, tentò di mettersi seduta.

«Buongiorno! Si è già ripresa? Vedo che la luce del sole Le dà fastidio. Adesso tiro le tende. Va bene?»

Chloe annuì e la proprietaria della voce gentile le sfiorò la mano.

«Mi chiamo Maria. Sono un’infermiera dell’ospedale di Sant’Anna. Tra qualche minuto verrà a trovarvi il dottore. Ha una ferita alla testa dopo la caduta, quindi i rumori me la luce potrebbero causarle fastidio. Ha sete?»

Socchiudendo gli occhi, Chloe scrutò la stanza semi–buia e si concentrò sul viso della giovane infermiera. «Sì» provò a rispondere, ma dalle labbra secche uscì solo un sospiro indistinto.

Maria riempì un bicchiere d’acqua e lo avvicinò alle labbra della ragazza. «Se vuole, La aiuto io. Faccia un piccolo sorso. Così. Bravissima!»

Dopo aver placato la sete, Chloe lasciò ricadere pesantemente la testa sul cuscino. Lentamente iniziavano a riaffiorare frammenti di ricordi. La sera. Aveva scelto un libro per Alessia. Poi…

«Ecco il dottor Rossi. Vado, ma se le serve qualcosa prema il bottoncino rosso.»

Nella stanza entrò un uomo basso, un po’ stempiato, sulla sessantina, con il camice bianco. Spingendosi gli occhiali sul naso con l’indice, osservò la ragazza.

«Mi chiamo Mario Rossi. E Lei» consultò la cartella clinica. «Ricorda come si chiama?»

«Chloe» rispose la ragazza.

«Molto bene. Che cosa può dirmi riguardo alla serata di ieri?» 

Nella testa della ragazza regnava il caos. Si ricordava del mostro con il vestito bianco? Ma valeva la pena raccontarlo al dottore? Probabilmente no. 

Notando il chiaro smarrimento sul suo viso, il dottor Rossi aggrottò le sopracciglia. «Forse dovremmo prolungare il ricovero. Vedo che Le sono stati prescritti farmaci molto potenti. Credo che…»

Non riuscì a finire la frase. La porta si spalancò di colpo ed entrò trafelata l’infermiera, che borbottò con tono scusato: «Ho provato a dirle che l’orario delle visite era finito, ma non mi ha voluto ascoltare!».

Nella stanza entrò Alessia. Dei soliti jeans mom fit, della maglietta nera e dei capelli raccolti in una coda non c’era più traccia. Se Chloe non avesse ancora avuto dolore alla testa, avrebbe pensato di stare sognando.

Stivali con il tacco. Gonna a tubino e camicia bianca. Un lungo cappotto nero gettato con noncuranza sulle spalle. I capelli tirati in un chignon e il rossetto rosso. Un’espressione rigida e uno sguardo freddo. Uno strano clone dell’abituale Alessia attraversò la stanza e lanciò più volte un’occhiata al dottore, rimasto immobile con la bocca semiaperta.

«Buongiorno» lo salutò la donna. «Potete andare» disse tranquillamente all’infermiera.

«E voi siete?» chiese con cautela il dottor Rossi.

«Sua sorella.»

«Ma nei documenti…» provò a ribattere l’uomo.

«Da voi c’è un tale disordine che non vi siete neanche degnati di avvisare i parenti che Chloe era in ospedale?» attaccò Alessia. «Non lo lascerò passare, sappiatelo.»

«Mi dispiace» balbettò il dottore.

«Preparati» ordinò Alessia a Chloe. «Dove devo firmare?»

«Non potete semplicemente portarla via. Vostra sorella è ancora confusa.»

«E voi le aumentate ancora di più la confusione!» scandì la donna.

Istintivamente obbedendo all’ordine, Chloe gettò da parte la coperta e si sedette sul letto. La testa le girava terribilmente. Respingendo la nausea, si alzò in piedi emettendo un gemito involontario.

«Vedete? Sta ancora male» insistette il medico. 

«Che io sappia, non siamo in un carcere. Chloe non sta morendo. E se vuole andare a casa, allora così sia. Vuoi andare a casa?»

«Sì» disse fermamente Chloe, aggrappandosi alla mano di Alessia con tutte le forze rimaste.

Tra i rimproveri e i non si può così che le seguivano, le due amiche uscirono dall’ospedale e salirono nella macchina parcheggiata poco lontano. Guardando Chloe un’ultima volta con aria severa, Alessia scoppiò improvvisamente a ridere. Sciolse i capelli e si tolse il rossetto.

«È un’eco della mia vita passata» spiegò.

«Perché mi hai portata via?» riuscì finalmente a chiedere Chloe.

«Perché so come sarebbe potuta finire. Ti hanno trovata svenuta in libreria. La vetrina in frantumi, i libri sparsi per terra, vicino a te un taglierino insanguinato, la mano tagliata. Quando non sei venuta in caffetteria, ho chiamato e un paramedico mi ha raccontato tutto» spiegò Alessia. «Mi ha chiesto se sapessi che ti avevano prescritto dei neurolettici, se sospettavo una depressione. Quando gli ho chiesto se poteva trattarsi di una rapina, ha detto che i soldi non mancavano.»

«So cosa pensi, ma io non» tentò di spiegare Chloe.

«Non penso niente. E non dire niente per ora. Magari sarò diventata la barista carina della porta accanto, ma distinguere una persona malata da una sana lo so ancora fare. Come ti ho già detto, è un’eco della vita precedente. E poi, c’è anche il problema del cane. L’hanno trovato vicino a te. E mi scuso in anticipo per essere entrata in casa tua senza permesso – purtroppo non potevo tenermi quella bestiona in appartamento.»

«Io ho un cane?» chiese Chloe.

«Hai un cane enorme» rispose Alessia. «Sembra che la tua ferita alla testa sia più seria di quanto sembri. Vuoi che ti riporti in ospedale?»

«No, no» protestò Chloe. «Io ho un cane!»

«E come si chiama il tuo cane?»

«Semplicemente Cane.»

«Va bene» acconsentì l’amica con una nota di dubbio nella voce. «Siamo arrivate.»

Alessia la aiutò a salire i gradini fino alla porta dell’appartamento. «Chiamami se hai bisogno di qualcosa» sussurrò, abbracciandola dolcemente.

Rimasta sola, Chloe girò con incertezza la chiave nella serratura e guardò cautamente dentro casa. I mobili erano gli stessi di prima dell’accaduto, nessun segno strano che potesse indicare che la sua memoria fosse distorta o non corrispondesse alla realtà. Tranne uno. «Hai un cane» risuonò nella sua mente la voce di Alessia.

Sul suo vecchio divano era sdraiato con aria regale un enorme levriero irlandese. Dentro Chloe tutto si gelò. Era psicologicamente pronta a trovare qualche animale, ma la creatura che la fissava con grandi occhi marrone scuro superava ogni limite di accettazione della situazione.

«Cane» lo chiamò con voce tremante. «Come ti chiami, Cane? Jack? Tyson?»

Il cane continuava a guardarla, senza muoversi.

«Come ho potuto chiamare un cane che non avevo?» sussurrò Chloe con disperazione.

«Barney» disse il cane. «Puoi chiamarmi Barney.»

Serie: The Nightmare Keepers


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