Batman in pensione

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


— Dove ero rimasto? — mormoro. La voce mi tradisce, un filo di ruggine. — Tornare a casa ĆØ sempre una prova: o mi intrappolo in quel dannato monolocale a pensare fino a bruciare i neuroni, oppure resto fuori a sfasciare tutto come un teppistello.

La frase mi scappa più dura del previsto. La donna accanto a me — dottor… — si volta appena, gli occhi attenti e freddi. Le sue mani sfiorano una cartellina. Lei fuma la lunga sigaretta bianca, indifferente; ogni tanto preferisce guardare fuori, le foglie d’autunno, i raggi che scolpiscono il prato e le montagne lontane.

— Lei dice — la voce ĆØ misurata, professionale — di aver sentito una carica? Una perdita di controllo? —

Annuisco senza sollievo. Dentro, qualcosa sfrigola come un filo scoperto.Ā  — Quella coppia… — dico — c’era qualcosa che mi fluiva tra le mani, una carica elettrica che non sapevo controllare. Li avrei fulminati vivi! —

Le parole esplodono; lasciarle uscire sembra raffreddare il vulcano.

Il fumo le incornicia le labbra come una maschera. — Capisco. — Le due sillabe sono strumenti di lavoro. — Può descrivere la sensazione? Quando ĆØ accaduto? Cosa ha visto prima? —

Le immagini si accavallano: il prato, le mani sudate, il cedro, l’orsacchiotto sformato. La radio che parlava di una coppia trovata.Ā  —Era come se… — comincio — mi passasse dentro. Qualcuno aveva acceso ogni fibra di me. Non ero io e allo stesso tempo ero più io che mai. Era terribile. —

Lei scrive sul taccuino senza rumore.Ā  —E dopo? —

Vedo il coltello scivolare, il metallo, il lavandino che inghiotte. Mi immagino in ginocchio, la croce a metĆ , la corrente che non smette. —Dopo c’è stato il silenzio. Poi la coscienza, come una marea che ritorna, e il senso di colpa. Un dolore che mi trapassa come una lama fredda. —

La donna alza lo sguardo, finalmente fisso.Ā  —Ha detto di non credere di essere cattivo. — Mi studia.

— Chi sono, per lei, gli ā€œaltriā€? —

La domanda punge. Chi sono gli altri? Un groviglio di volti: quelli che ridono quando mordo le mani, quelli che preferiscono la sua voce alla mia, chi calpesta senza sapere. Anche la cittĆ , la ripetizione meccanica che tutto giustifica.Ā  —Sono loro — dico — quelli che non capiscono, che non percepiscono le correnti. Rubano energie. Per loro tutto ĆØ spiegabile e scientifico. Per questo bisogna… ripulire. —

Un tremito attraversa la gola. Lei resta clinica.Ā  —Parlare di ā€œripulireā€ ĆØ pericoloso — dice piano — capisco il suo rancore, ma usare questi termini può preoccupare. Ha mai pensato di ferire qualcuno? —

La luce si fa cruda. Non mento.

— SƬ. —La parola esce piatta. Niente retorica, solo veritĆ .  — SƬ, ci sono stati pensieri. Lo so quanto ĆØ brutto. —

La sigaretta si consuma lentamente.Ā  — Bene che lo sappia. Ora proviamo a capire quando gli impulsi non sono violenti. Quando si sente calmo, cosa succede nel corpo? —

Cerco ricordi meno neri. Il vento, una canzone, una mano stretta senza richiesta.Ā  — A volte c’è solo vuoto. Un freddo che attraversa e non chiede nulla. Altre volte arriva un’energia che mi consuma. ƈ come avere due cittĆ  dentro: una normale, una che incendia tutto. —

Lei annuisce, come chi ascolta una storia giĆ  percorsa.Ā  —Lavoreremo su segnali e contromisure: grounding, respirazione, tecniche per interrompere la sequenza. Parleremo anche della responsabilitĆ . Ha detto un nome — Griselda — e ha chiesto perdono. Com’è questo rimorso? —

 — Perdono —mi stringe la gola. Griselda: lenzuola pulite, una risata che non era più mia. «È un nodo dentro. Più lo strappo, più si allarga. Dormo male, mi sveglio col sapore di metallo in bocca. A volte chiedere perdono sembra inutile. Altre volte ĆØ tutto ciò che ho. —

La donna spegne la sigaretta con un gesto preciso.Ā  — Allora iniziamo da lƬ — propone — proviamo a restituire un nome al dolore, senza che diventi un ordine di vendetta. —

Le sue parole, domestiche ma cariche di promessa, aprono un piccolo spazio: osservare il tremore, tenere la corrente lontana dalle dita. Per un istante la stanza si inclina meno.

Ma il volantino con Batman, infilato sotto il tappeto, torna come un fantasma. PerchĆ© Batman? PerchĆ© quel simbolo? Il pensiero si moltiplica come cellula impazzita: segni, segnali, destini. Mentre lei parla di esercizi e confini, penso al coltello ancora nel palmo, al lavandino che ha bevuto la mia immagine, e capisco con una chiarezza che spaventa — il pericolo non ĆØ solo dentro o fuori: ĆØ nella facilitĆ  con cui le parole trasformano le cose in ordini.

— Va bene — dico — proviamoci. — La mia voce ĆØ meno roca.

Il suo sorriso ĆØ breve, professionale: non promette miracoli ma impegno.Ā  — Ci vediamo la prossima settimana. Nel frattempo, se sente che qualcosa sta per esplodere, chiami. Non deve arrivare fino a qui da solo. —

Esco dallo studio con le mani vuote e il cuore che batte come tamburo. La porta si chiude con un clic che suona definitivo. Per strada il lampione trema, il bidone ĆØ al suo posto. La signora col cane parla come se il mondo fosse buono.

Stringo il pugno — senza coltello — e sento il palmo sudato. In un angolo remoto, la voce di Griselda, forse passato o invenzione, mi raggiunge.Ā  — Perdonami — mormoro, e la parola si perde tra le foglie.

Sul tappeto del corridoio il volantino di Batman ĆØ ancora lƬ. Lo raccolgo senza pensarci troppo. Il nero del simbolo sembra assorbire la luce. Lo apro: c’è solo un numero di telefono e sotto, una data. Una chiamata. Un incontro. Un’altra tessera che si mette al suo posto.

Cammino piano, misurando ogni passo come se potessi evitare il peso delle cose. Mi ripeto tecniche, nomi, date; controllo la tasca vuota dove il coltello non c’è più, e provo un senso strano di leggerezza e di allerta insieme. Forse la vita ĆØ fatta di fragili tratti che separano il baratro dal quotidiano: un respiro, una voce amica, il gesto di chiamare. Tutto questo posso provarlo, almeno per oggi. Domani sarĆ  un altro esame, e non so cosa verrĆ .

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


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