Batte così forte

Serie: Del mio racconto di amore e amicizia per Camilla


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La professoressa Mordelli ha invitato a casa sua Marta per vedere insieme i suoi disegni. L'appuntamento è per le cinque, ora del tè.

Il mio cuore. Batte così forte. Calma Marta, calma. Respira. Un altro respiro. Le gambe mi tremeranno quando mi dirà di salire? E quando saremo sole, io e lei?

Ci penso e il mio cuore batte forte. Mi passa nella mente quella vecchia canzone degli anni Ottanta che fa:

“I can’t disguise the pounding of my heart. It beats so strong.”

Che fatica l’amore, vero?

“Ciao papà, credo che stasera non ci sentiremo perché passerò la notte da Carla. Pigiama party. Sai com’è tra amiche: musica, risate, divertimento. Ho già avvisato Clara di non passare stasera. Ci sentiamo domani.”

Avevo trascorso altre volte notti fuori da amiche e mi sembrò quindi credibile come scusa. Perché non sapevo se sarei rientrata per le sette, quando Clara tornava per la cena. Perché volevo restare da sola, dopo. Eravamo ancora sedute a tavola, io e Clara, dopo aver finito di mangiare. Dopo il messaggio a mio padre, restammo in silenzio per alcuni secondi. A me parve un tempo lunghissimo.

“Tuo padre non viene questo fine settimana, mio amor?” mi chiese Clara dopo un po’.

“No”, risposi sottovoce.

Continuai a tacere. Poi Clara si alzò per sparecchiare. La guardai e fui sollevata vederla sorridere. Non mi piaceva mentire, a maggior ragione a lei. Si avvicinò, fece un giro attorno alla sedia sulla quale ero seduta e pose con delicatezza le mani sulle mie spalle, prima massaggiandomi per un po’, per poi, come d’abitudine, scendere giù verso i miei fianchi e solleticarli. Quanto le piaceva sentirmi ridere come una bambina, e anche se questo gioco si ripeteva tutti i giorni o quasi, non ci eravamo ancora stancate di goderne appieno. Era un nostro momento intimo, pieno di amore e complicità. Mi calmai per un po’. Il mio cuore mi diede un po’ di tregua.

“Sistemo la tavola e vado, mi raccomando Marta” mi sussurrò, le mani di nuovo sulle mie spalle e il suo volto chino sul mio capo. Aveva sempre un buon profumo, la mia dolce Clara. Quel giorno mi parve di cogliere le fragranze dolci e fresche della vaniglia e del limone. Le odorai con un respiro profondo e chiusi gli occhi. Pensai alla professoressa Mordelli, e immaginai che con me ci fosse lei e non più Clara.

“Divertiti con le tue amiche, passo domani in tarda mattinata per preparare il pranzo” sentii Clara salutarmi vicino all’uscio, pronta per andare via.

“A domani, Clara” risposi dalla cucina, ancora seduta a tavola, assorta nella mia immaginazione.

Mancava poco alle cinque. Dovevo prepararmi. La prima cosa da fare era cercare l’indirizzo che mi aveva indicato la professoressa Mordelli. Non avevo mai sentito il nome di quella via. Google Maps mi condusse a nord-est della mia città, una zona che mi era del tutto sconosciuta. Io abitavo in centro, e in quindici anni non mi ero mai allontanata da quelle strade che mi erano famigliari e dove si concentrava tutta la mia vita: la scuola, la casa e persino le mie amicizie. Carla, ad esempio, abitava sulla mia stessa via, pochi numeri più in là. Raggiungere via Abbadesse al numero sette non era affatto semplice. A piedi erano circa quaranta minuti, con la metro potevo raggiungere il punto più vicino in quindici minuti, per poi dover camminare ancora per quasi un chilometro sotto la pioggia battente. Ah, perché quel giorno non smetteva di piovere! Anzi, sembrava che il cielo insistesse con ancora più veemenza, quasi a mettere alla prova la mia determinazione. Una persona razionale avrebbe rinunciato, ma non io. Erano le due e mezza, alle quattro e mezza dovevo essere per strada.

“I can’t disguise the pounding of my heart. It beats so strong” canticchiavo.

Dovevo decidere cosa mettermi. Raggiunsi la mia stanza e aprii l’armadio. Non volevo vestirmi come quando andavo a scuola, volevo cambiare, apparire diversa. Fra i vari capi, i miei occhi si posarono su un pantalone nero in tessuto elasticizzato, elegante e dimenticato, che indossavo raramente perché mi sembrava esaltasse troppo i miei fianchi. Tuttavia, con un maglione ampio che li avrebbe nascosti, forse avrei potuto sentirmi più sicura. Ne scelsi uno bianco con un raffinato motivo a righe verticali, sperando che potesse donare un tocco di slancio alla mia figura. E per guadagnare qualche centimetro in più, optai per le mie sneakers bianche nuove di zecca, con quelle suole alte che mi avevano conquistata al primo sguardo. Ero la più bassa tra le mie compagne di scuola. Clara continuava a ripetermi che avevo solo quindici anni e avrei potuto guadagnare almeno altri dieci centimetri in altezza con il tempo, ma io non nutrivo la sua stessa fiducia.

Mi spogliai e mi guardai allo specchio. Osservaii miei seni. Sarebbero cresciuti ancora? Poi, girai la testa per guardarmi da dietro. Carla mi diceva che avevo un bel culo. Una volta le chiesi se potevo spogliarmi davanti a lei e dirmi cosa pensava del mio fisico.

“Matta, con quel delizioso culetto, faresti impazzire chiunque, uomini e donne” mi disse.

Nuda, raggiunsi il salotto dove un grande tappeto a pelo lungo, bianco e morbido, si stendeva come un manto di neve. Erano le tre, c’era ancora tempo. Decisi di sdraiarmi su di esso, lasciandomi avvolgere dai suoi soffici e lunghi filamenti. Il riscaldamento a pavimento diffondeva un piacevole tepore su quella bianca distesa e percepii ogni centimetro della mia pelle accarezzato da quel soffice e avvolgente manto bianco. Indugiai ancora po’. Mi stesi a pancia in giù e desiderai sentire quei candidi peli del tappeto solleticare i miei, neri, ricci, innocenti.

La pioggia batteva forte là fuori, una persona razionale avrebbe rinunciato, ma non io. Ero pronta per la serata più eccitante della mia vita.

——

Il braccio si solleva a fatica, la mano trema, allungo il dito verso la targhetta con il fiore. Esito, mi ritiro, guardo l’ora sul cellulare, le 17:02, forse aspetto altri tre minuti. Essere puntuale come una scolaretta disciplinata, proprio no. Attendo quei tre minuti che sembrano un’eternità. 17:05. Suono e aspetto.

“Marta, sali. Ultimo piano. Purtroppo, non c’è l’ascensore.”

Batte così forte, e mi tremano anche le gambe. Che fatica l’amore, vero?

Serie: Del mio racconto di amore e amicizia per Camilla


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