Benvenuti al manicomio – parte 2
«Benvenuti al manicomio, gente! Un nuovo giorno vi attende nel miglior nosocomio del mondo. Non lo sprecate restando a letto; oggi partiamo con ritmo: Rock Around the Clock.»
«Cosa ne pensi della nuova arrivata, Taddeo?» Chiede il dottor Molteni al suo assistente.
«La signorina Dellisanti? Sarò sincero, Francesco, non capisco perché sia qui. L’ho visitata: è sana come un pesce; cognitivamente non ho riscontrato deficit, anzi, è una ragazza sveglia e colta. L’unica cosa che mi sento di rilevare è una certa melanconia, per essere così giovane. Ma dopo tutto, suo malgrado, si trova in un posto poco allegro.»
«Confermi la mia impressione, grazie Taddeo.»
«E allora, di grazia, perché l’hai ricoverata?»
«Perché era il suo destino. Ha tentato si sedurti per caso?»
«Prego?»
«Hai ragione, mi spiego meglio. Di recente, ha assunto un comportamento sconveniente, a detta della sua famiglia: sessualmente disinibito o così vuol dare a intendere. La madre, di concerto con lo zio vescovo, ha deciso che debba essere internata per non creare scandali. Se non l’avessimo accolta noi, si sarebbero rivolti a un altro ospedale, come sai bene: al Sant’Artemio l’elettroshock è in gran voga.»
«Ora capisco il tuo intento. E no, con me non ha esternato avances… Cosa intendi fare con lei?»
«Capire. Se soffra di ansia, o se queste sue manifestazioni non siano piuttosto una forma di ribellione. Nel mentre, qui starà come in albergo: nessun trattamento. Ho chiesto a Olga di trovarle una sistemazione nella “stanza delle dissidenti”.»
Olga Molinari è la caposala, un’infermiera che ha fatto la sua gavetta a rappezzare feriti durante la guerra; una donna tutta d’un pezzo. Dei suoi quarant’anni alcuni valgono doppio, come se certe brutture non avessero mai abbandonato il suo sguardo. Al centro psichiatrico, comanda un piccolo esercito di donne coraggiose che lottano ogni giorno contro le bizzarrie della mente umana, ma che hanno pure pietà nei confronti di chi è stato cacciato dalla società perché incapace di uniformarsi o magari soltanto di chi, più debole, è caduto perché non riusciva a tenere il passo. Ha chiesto lei al dottor Molteni di dedicare uno spazio – la stanza delle dissidenti – nell’ala delle donne. L’idea non solo è stata accolta, ma è stata mutuata anche nel reparto degli uomini.
«Diamo il benvenuto a Clelia, da oggi qui con noi in questo luogo fantastico, dove la realtà supera ogni fantasia e la musica ci accompagna fino a sera. Dai che si lavora, gente!»
Il cortile è un ampio spazio squadrato, su due lati è costeggiato dall’edificio a tre piani del nosocomio e, a eccezione di una striscia coltivata a ortaggi, è arredato da un ampio giardino con piante da frutta e comode panchine. Gli altri due lati sono delimitati da un alto muro perimetrale, da cui il dottor Molteni ha fatto togliere il filo spinato che un tempo ne guarniva la sommità.
La bella stagione è appena iniziata. All’aperto, alcuni pazienti sono intenti a dipingere con cavalletti e tele, altri, seduti, disegnano con dei carboncini sui blocchi appoggiati alle gambe. C’è anche chi legge, Olga ha ricavato, in una saletta al pian terreno, una piccola biblioteca coi libri recuperati dalle famiglie degli ospiti o donati dagli abitanti del paese vicino.
Clelia sta in disparte nell’angolo più esterno della corte, si è seduta sotto un ciliegio selvatico, catturata dalla sua fioritura. Un uomo dalla chioma scompigliata si avvicina. Accenna un inchino e subito cerca di governare quei capelli, guardandosi attorno, come volesse incolpare una dispettosa brezza per il loro stato.
«Ti piace la musica?»
Clelia lo guarda per un attimo, poi abbassa il capo e torna a giocare con un filo d’erba tra le dita.
Fernando schiarisce la voce: «Perdonami, non ti volevo disturbare…»
Quando lei rialza lo sguardo lo sorprende con un sorriso; un gesto della mano lo invita a sedersi lì accanto.
«Magari giusto qualche minuto» abbozza lui «ho abbandonato la mia postazione alla radio…»
***
«Ciao Tilde, sono Olga, ti ho portato il passato di verdure, devi pur mangiare qualcosa.»
«Tu non sei Olga, io la conosco bene… Bada, se ti cade la maschera, io ti uccido!»
«Chiama il dottor Pavan» ingiunge l’infermiera all’inserviente.
«Io quella roba lì non la voglio: è avvelenata.»
Olga Molinari prende una cucchiaiata di minestra dalla ciotola e la sorbisce: «Guarda, l’assaggio io: se fosse avvelenata non lo farei…»
«Oh, mica ci casco, tu sei immune… Vattene!» La Tilde si alza di scatto dal letto, con un movimento fulmineo leva un ginocchio e l’affonda nell’addome dell’infermiera.
Il dottor Pavan sopraggiunge trafelato nella stanza, la Tilde è in piedi con le spalle alla parete. Olga inginocchiata, le mani sul ventre; la scodella rovesciata a terra.
«Ha visto dottore? La minestra era avvelenata e lei l’ha assaggiata: la guardi.»
Olga alza lo sguardo verso il medico: «Sto bene, Taddeo, non è niente… la contenzione fisica non serve, dalle un sedativo.»
«Oggi bisogna verniciare delle porte, forza è divertente, in cortile trovate pennelli e vernice. Ma non voglio vedere sempre gli stessi col pennello in mano, mi raccomando: lasciate divertire un po’ anche gli altri… dai che si lavora, fannulloni!»
All’imbrunire le porte sono verniciate di fresco, e qualcuno ha le mani impiastricciate di verde.
Il tramonto sorprende Clelia a baciare Fernando sotto il ciliegio. Il dottor Molteni, dal porticato, sorride fingendo di non vederli. È stanco, dopo un’altra giornata dedicata a sfidare burocrati che fanno tutto il possibile per complicargli la vita, ma è felice: ha letto un articolo scritto da un tale dottor Basaglia che pare pensarla come lui. Pensa che forse ha trovato un alleato, e lo hanno trovato anche coloro che, finora, la società civile ha condannato per qualcosa che non hanno mai commesso.
Dagli altoparlanti, Dean Martin canta That’s amore.
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Davvero commovente questo tuo racconto che apre prospettive future in un tempo passato in cui solamente pochi illuminati spendevano il loro prezioso lavoro nell’intento di comprendere davvero la mente umana. Ben costruiti i dialoghi, soprattutto quelli fra i due medici. Altrettanto ben delineati i personaggi. Colpisce lei, naturalmente, simbolo di tutte le donne che hanno pagato caro il loro desiderio di emancipazione. E Fernando, che pare quasi gridare dall’alto parlante il suo ‘Good morning Vietnam’ mattutino. Molto bello.
“Dei suoi quarant’anni alcuni valgono doppio”
Bellissimo ❤️
Caro Paolo, il tuo racconto è bellissimo, commovente, mi piacerebbe saperti dire in quale modo sembra dipinto ma purtroppo non sono capace, troppo poca conoscenza. Ma se fosse un film avrebbe i colori di una pellicola di Miloš Forman, e certamente meriterebbe di essere trasposto.
Grazie Roberto, troppo buono. A me convince poco, se devo essere sincero, forse perché per questa storia avevo in mente un progetto diverso e mi pare che sia troppo contratto; credo che prima o poi lo riprenderò per lavorarci come si deve… nel mentre faccio tesoro del tuo gradimento, che mi da un feedback sul nocciolo, sul contenuto. A presto
Certo che fare questo lavoro deve essere davvero snervante, al punto, credo, di farti impazzire. 🙂
Grazie Silvio per aver letto, ma anche per le tue note sulla punteggiatura, qui un po’ naif… mannaggia alla fretta! A presto
Di nulla. Per me è un dovere e soprattutto un piacere. Buona giornata a te. 🙂
Mi piace molto come tratti l’argomento. Io, oltre a gironzolare nel parco dell ‘ex manicomio di Basaglia nelle pause pranzo, luogo molto bello e curato, con un grande roseto, pagavo i sussidi di molti “ospiti” accompagnati dal personale sanitario. Uno di questi mi chiamava Sig. notaio e prima di uscire dalla banca contava le banconote innumerevoli volte. Pensa che fanno teatro, vanno anche in tournée. In verità il medico che li seguiva mi sembrava più matto di loro e di tanti altri clienti “normali” della banca.
Grazie, Fabius. Apprezzo il tuo commento che consente di conoscere qualcosa di te. Credo sia un privilegio, scrivendo, conoscere qualcosa di chi dall’altra parte: in platea. In quanto ai ” normali clienti della banca” temo di saperne qualcosa anch’io… Grazie ancora e a presto