Buona di cuore

Bona d’cuor era bella e sapeva di esserlo. Quando passava davanti al caffè centrale ritta come un fuso sui suoi tacchi a spillo, le cosce inguainate nella minigonna di pelle nera aderentissima e due seni che sembravano i respingenti di un vagone ferroviario, fra i tavolini sotto il porticato scoppiava il silenzio. Dozzine di paia d’occhi convergevano su di lei, mentre altrettanti cervelli si perdevano nelle più svariate fantasie erotiche. In paese la conoscevano tutti e, più o meno, tutti avevano trascorso qualche bel momento con lei, non era alta, un metro e sessantacinque e aveva una figura slanciata, ma non certo anoressica. Si portava dietro una discreta quantità di ciccia, di quella giusta che, disposta nei punti spigolosi addolciva e ammorbidiva, rendendo sinuosi i suoi contorni. Gli uomini impazzivano e lei non sapeva dir di no, sua madre l’aveva cresciuta timorata di Dio, le aveva dato una grande educazione, ma aveva scordato di insegnarle l’arte del rifiuto. Lei se n’è accorta da ragazzina, quando ha cominciato ad uscire con i giovanotti. Partiva sicura, pronta a difendere la sua virtù come facevano i crociati con il Santo Sepolcro, ma appena spuntava una lancia capitolava subito in una resa piacevolmente ignominiosa e, sulla torre più alta, saliva la rossa bandiera della passione. Avendo una bella dotazione di neuroni, ben presto capì che se lei non riusciva a tener strette le gambe, gli uomini non sapevano esimersi dall’allargare il portafoglio e allora decise di approfittarne. Soldi no, quelli non li voleva, lei non era una battona, ma qualche regalino piccolo piccolo sì: una pelliccia, un anello di brillanti, un week end in alberghi di lusso, un’utilitaria, un posto da impiegata in comune. Sempre perché non si considerava una donnaccia, andava solo con chi le piaceva, se particolarmente anche gratis, ma non era di gusti difficili e sono stati pochi, i disgraziati che non hanno potuto godere delle sue attenzioni. Poi venne Nino. Era alto, dinoccolato, faccia ossuta con una sparuta rappresentanza di capelli una volta neri, ora più sale che pepe. Nei suoi occhi una luce malinconica raccontava la sua scarsa frequentazione con la fortuna. Arrivava da un’altra provincia e, nulla sapendo, s’innamorò pazzamente di lei. Anche a Bona d’cuor piaceva, così si lasciò convincere. Si sposarono, ovviamente cambiando paese, e misero al mondo due bambine. Quando queste raggiunsero rispettivamente otto e sei anni d’età, il comune assegnò loro un appartamento nel nostro condominio. Lei rigava dritto, dal giorno in cui aveva conosciuto Nino non era più stata con nessun altro, però la sua condotta onesta le era costata molta fatica e, per fortuna, non si era mai trovata nella condizione di dover dir no. Ancora non sapeva se ci sarebbe riuscita. Lui era geloso, tanto geloso che, per non lasciarla mai sola aveva perfino rinunciato alla sua grande passione, la caccia. Tutto sommato per Bona d’cuor non andava poi tanto male, ma la vita era cara. Tra una spesuccia voluttuaria e qualche genere di prima necessità, il borsellino era sempre vuoto così, quando le bambine furono grandicelle, decise di aiutare il marito a risanare l’economia familiare. Si trovò un lavoro senza pensare a problemi di rifiuti, non da raccolta differenziata, ma quelli da opporre alle richieste non sempre professionali del siur padrun. Quando fu chiamata all’esame di fedeltà, resistette per ben dieci minuti poi, incalzata dalla lancia del cavaliere nemico, si arrese senza condizioni. Nino, vedendo il frigo sempre pieno, l’armadio stipato di abiti continuamente nuovi, fu preso da qualche dubbio, caricò la fedele doppietta e tornò a caccia: di uccelli, quelli senz’ali e con le scarpe di coccodrillo. Una sera che la consorte gli aveva telefonato per digli che sarebbe rincasata tardi, a causa di un po’ di straordinario, si avvicinò di soppiatto alla “Gastronomia del Cavalier Silvio”, il negozio dove lei lavorava. Senza far rumore entrò nell’atrio e, sempre in silenzio, salì i quattro gradini che portavano alla saletta d’attesa per i clienti. Guardò dentro, stesa sul divano la moglie attendeva, com’ era prassi in quel locale. Attendeva nuda con ansia, che il suo capo le infilasse lo spiedo nella rosticceria. Nino era buono, talmente buono che quando gli pestavano un piede, si scusava di averlo messo sotto a quello dell’altro. – Dio mi salvi dall’ira del buono – disse un tale nella Bibbia, ma quel giorno Nostro Signore sicuramente aveva altro da fare. Quando lessi il giornale, l’indomani, non volli crederci ma era vero. Li aveva uccisi entrambi, poi si era infilato in bocca la canna del fucile e aveva sparato l’ultimo colpo.

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