Buona giornata, Maggiore Edwards !

Il Maggiore Glen Edwards sedeva al primo sole del mattino sulla bianca rena della spiaggia, le mani dietro alla testa, i piedi che accarezzavano la liscia tavola del surf, pensieroso.

Un altro ufficiale, di cinque anni più giovane di Glen, era appena stato promosso a tenente colonnello; per la terza volta in due anni qualcun altro era stato promosso ai gradi superiori al suo posto. La carriera di Glen stava languendo.

Per quanto si sforzasse di pensare non riusciva a trovare altre alternative: doveva rassegnare le proprie dimissioni. Dopo tutto chi avrebbe potuto dargli torto? A quarantasei anni era ancora maggiore. Molti dei suoi compagni di classe a West Point, corso del 1916, erano già colonnelli; uno era diventato addirittura generale di brigata. E Glen stava diventando lo zimbello dei suoi colleghi ufficiali, sia di rango superiore che di rango inferiore; l’oggetto delle risatine, dei discorsi sussurrati che venivano bruscamente interrotti quando entrava in qualche locale e che lo indisponevano tremendamente. Un ufficiale non può dare il meglio di se stesso quando è oggetto di scherno e manca il rispetto attorno a lui, e Glen era dolorosamente conscio che nessuno ormai provava più alcun rispetto per la sua persona.

Al pensiero delle proprie dimissioni gli venne quasi da piangere. Cinque lustri della sua vita, un quarto di secolo, se ne sarebbero andati in un fiotto di penna stilografica, mentre avrebbe apposto la propria firma in calce al modulo G80/RES. dell’U.S. Army.

Cristo! Non aveva mai visto un combattimento! Quello era il vero problema; ed anche la sua disgrazia: un ufficiale dell’esercito senza alcuna esperienza sui campi di battaglia?

Glen era a volte quasi sicuro di essere il solo ufficiale in servizio nel 1917 e nel 1918 a non aver combattuto la Guerra Mondiale. Mentre i suoi compagni di corso di West Point erano in Europa, impegnati nei vari fronti a conquistarsi le medaglie e le menzioni al merito, egli era stato destinato a compiti di presidio di quella sperduta isola nel pacifico, così lontana che ne ricordava a malapena il nome, ed i suoi parenti, ai quali, avendo così poco da fare, scriveva con una frequenza insolita per altri militari, preferivano dire a familiari ed amici negli States che era di stanza a Manila invece che a Pearl Harbour, non che la differenza fosse molta, erano entrambi luoghi in cui non vi era granché da fare, ma a loro sembrava che il capoluogo filippino fosse in un certo qual modo più prestigioso di un ridicolo porto militare sperduto nel Pacifico.

Sembrava uno strano gioco del destino, era nel Pacifico che aveva iniziato la sua carriera militare; era nel Pacifico che aveva perso le opportunità di farsi conoscere e rispettare, mentre sui fronti europei si combatteva aspramente, ed era nel Pacifico, a venticinque anni dalla prima assegnazione, che la sua carriera sarebbe terminata.

Se solo, anche subito, avesse avuto modo di essere trasferito in Europa; l’Europa era destinata ad una inevitabile guerra con gli Stati Uniti, Hitler stava tirando troppo la corda per restare impunito. E la guerra era per Glen una speranza; la guerra era la possibilità di avanzamento; la guerra significava una nuova vita.

Ma quaggiù, nel Pacifico, nessuna speranza. I giapponesi erano molto lontani. La guerra non sarebbe mai arrivata sin li con i giapponesi; la guerra sarebbe arrivata con la Germania, e Glen sarebbe stato condannato ancora una volta a perdere l’occasione di entrare in azione.

Ricordava con amarezza gli ottimi voti alla scuola di guerra, un nome che lo faceva sorridere con una smorfia di rancore, guerra, sogno ormai irraggiungibile per lui.

Tutto ciò di cui sentiva bisogno era soltanto un sano combattimento. Esperienza sul fronte. Lo sognava costantemente, ed il solo pensarlo provocava in lui scariche di adrenalina che gli davano una corrente sostenuta e piacevole lungo tutto il corpo, che sentiva pulsargli nelle vene.

Immaginava alla battaglia come a qualcosa che gli avrebbe dato il più potente degli orgasmi, come ad un desiderio per soddisfare il quale nulla gli sarebbe parso troppo caro.

Ma poi rifletteva su quale utilità gli dava il sognare l’impossibile e cercava, senza riuscirci, di provare a rassegnarsi.

Glen guardò il suo orologio: era quasi ora di colazione ed avrebbe dovuto prendere servizio alle zero otto zero zero. Afferrò il suo asciugamano e fece per alzarsi. Il confuso ronzio di aeroplani in lontananza gli fece rivolgere lo sguardo verso il cielo, dove strizzando gli occhi riuscì appena a distinguere la formazione di sottili puntini alti nel cielo che si muovevano tra le nuvole.

La schiuma delle onde ribolliva nelle orme lasciate sul bagnasciuga mentre si muoveva lungo la spiaggia Hawaiana; gli aeroplani stavano avvicinandosi. Glen si girò giusto in tempo per vedere un aereo staccarsi dalla formazione e scendere in picchiata verso l’isola. Dipinti a chiari colori sulle ali dell’aereo c’erano due soli rossi nascenti! Un altro aereo seguì il precedente nella manovra.

Il fragore fu assordante e ne seguirono subito altri, mischiati ai bagliori sparsi, come di immensi fuochi d’artificio.

“La guerra!” Glen Edwards esultò, poi pensò alla gravità della situazione e corse, vergognandosi della sua gioia, ma tuttavia pieno di felicità, col cuore quasi impazzito dalle pulsazioni, verso la sua base.

Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni