“Caffè in attesa”

— Questa città è una merda, giusto?

— Adesso non ricominciare, lasciami in pace.

— Vieni con me, ti dimostrerò il contrario.

Mario getta la sigaretta e mi fa cenno di seguirlo. Ha appena partorito una delle sue brillanti scommesse, si vede da come mi guarda. Mario è un sognatore ottimista ed è il mio esatto contrario. Mario è un mio compagno di classe, soprattutto è il mio migliore amico. Perciò dove va lui vado io. Anche se non ne ho voglia.

— Dove andiamo?

— Al bar di Gianni, in fondo al Corso.

— Perché?

— Vedrai.

— E se non mi convinci?

— Ti pago da bere.

— Altrimenti?

— Paghi tu.

— Tutto qui?

— Bè, cosa pretendi, una PS5 nuova?

— Mi basterebbe il mio telefono.

— Francesco… ancora?

Lasciati i giardini pubblici voltiamo in Via Cairoli quindi tagliamo per Via Manzoni e siamo già a metà Corso. Il pomeriggio è un cielo grigio ingombro di nuvole che mi ricorda l’inverno appena trascorso. In giro poca gente, qualche piccione intirizzito e io ho di nuovo lasciato il telefono in camera. Disagio addosso, ultimamente mi capita un po’ troppo spesso. Un calcio a una lattina vuota, mi aggiusto il berretto. Sono proprio curioso di sapere cosa ha in mente Mario, visto che il discorso sul fatto che questa città è una merda lo abbiamo affrontato spesso e ognuno è rimasto della sua opinione. Questa mattina ne abbiamo discusso perfino in classe con la prof. Bollani, anche se il concetto era espresso un tantino meglio…

— Adesso?

— Adesso entriamo e con un po’ di fortuna…

— Mi pagherai da bere — concludo io, sbadigliando.

Il bar di Gianni è un bugigattolo talmente stretto che a momenti manca l’aria per respirare. E da un pò che non ci vengo e oggi mi sembra più piccolo del solito. Mario invece è di casa perché abita qui vicino. Per lui questo posto è cool, anche se non ho mai capito perché. Gianni appena lo vede lo sfotte per la sconfitta della Juve di domenica. Perché la Roma ha dominato – aggiunge compiaciuto, toccandosi i baffi – è andata così. Dentro il bugigattolo in quel momento siamo solo noi tre, ma proprio mentre Mario sta per replicare che il rigore non c’era, arrivano due signori in giacca e cravatta. Ordinano due caffè per loro e uno ’in attesa’.

— Che significa ’in attesa’? — domando, appoggiandomi al bancone.

— Aspetta e vedrai — mi risponde Mario, con un gran sorriso sulla faccia foruncolata.

— Cosa prendete ragazzi? — ci chiede Gianni, mentre prepara i caffè.

— Una coca o una birra, è uguale, tanto paga lui — rispondo io, beffardo.

Arrivano le birre per noi e i caffè per i due signori eleganti. Quelli li bevono in un lampo, pagano, salutano Gianni e se ne vanno.

— Allora? — domando di nuovo, smangiucchiando delle patatine un po’ stantie.

— Aspetta, aspetta — mi ripete Mario, strizzandosi il naso, — te l’ho detto che ci vuole un po’ di fortuna…

Gianni si aggiusta il ciuffo grigio, sta per dire qualcosa perché vuole dirmelo lui che accidenti significa l’espressione ’caffè in attesa’. All’improvviso però arrivano altri clienti. Un uomo e una donna che parlano di lavoro, si fanno i complimenti, sembrano molto affiatati. Ordinano due caffè e uno ’in attesa’. Io guardo Gianni ma lui non apre più bocca. Guardo Mario e mi accorgo che il sorriso sulla faccia foruncolata è cresciuto ancora. Finito di bere, i due danno una rapida occhiata ai giornali, pagano e se ne vanno.

— Adesso mi spifferate tutto.

La porta a vetri del bar si apre ancora. Entra un vecchio. Giubbotto verde strappato in più punti all’altezza del petto e calzoni di velluto marroni logori addosso. Così a vederlo sembra un barbone anche perché puzza abbastanza.

— Ha mica un ’caffè in attesa’? — chiede a Gianni, mostrando i denti neri.

— Te lo preparo  subito.

Scolata la birra, Mario mi fissa coi suoi occhi azzurri. Ecco la sua solita aria da ganzo in arrivo. Mi fa l’occhiolino, mi dà una pacca sulle spalle.

 Io lascio i soldi  sul bancone e filo via a testa bassa. Ho perso.  Pago il conto. E amen. Il mio pessimismo su questa città almeno per oggi finisce nel cesso.

— Dove vai? ¬– mi chiede Mario, mettendo le mani nelle tasche dei jeans.

— A scriverlo su Snapchat.

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Discussioni

  1. Bravo Simone, un bel racconto scritto bene e piacevole da leggere. Mi piace anche il tema visto che io sono un’ottimista al midollo. Ho però anche io una domanda: perché il ciuffo grigio? Fra foruncoli in faccia e la profe Bollani, mi sono immaginata due studenti universitari. Un grigio prematuro? 🙂
    Capita.

    1. Gianni è il barista, l’ho immaginato un pò vecchiotto ma forse lo dovevo dire meglio. I sue ragazzi sono studenti delle superiori.
      Sono felice che il racconto ti sia piaciuto. Grazie mille.