
Cavalier Tripponi
Serie: Tutto in una sera
- Episodio 1: Africa
- Episodio 2: Tancheddas
- Episodio 3: Cavalier Tripponi
- Episodio 4: La ragazza di Padova
- Episodio 5: Il lavoro rubato
- Episodio 6: La scodella del diavolo
STAGIONE 1
Avreste dovuto vederlo, grasso e sudato, con i pantaloni a mezza gamba larghi che parevano una gonna, la camicia unta e messa a dura prova dall’adipe prominente e pelosa che dai larghi varchi dei bottoni, annaspava in cerca d’aria facendo mostra di sé grondante di sudore. In mano una busta della spesa da cui spuntava una cima di sedano, uno sfilatino di pane e un lungo e orrendo termometro-barometro da muro con su l’effigie del santo con la sua mula. Infine, sottobraccio la sua giacca fuori stagione e il coprispalla variopinto e fosforescente della moglie che un poco discosta, sfoggiava la sua capigliatura cotonata dal colore improbabile. Con la mano libera, tozza e fin troppo piccola per quel corpo molloso, provava continuamente ad allentarsi l’inutile cravatta a quadroni, ma il sudore che gli colava da tutte le parti rendeva le sue dita scivolose e quel nodo ancora più stretto. Cercava però, di darsi un contegno importante e come un gallo cedrone in aprile ruotava spesso le spalle, che erano un tutt’uno con il collo, da un lato e dall’altro così da sincerarsi che tutti lo ammirassero.
Non ho potuto resistere. Incrociando il mio sguardo con il suo ho fatto un piccolo cenno di saluto e lui tronfio e pomposo ha risposto con un buongiorno altisonante e soddisfatto. Sempre con espressione di saluto gioioso gli son passato accanto senza degnarlo di uno sguardo, lasciandogli così intendere che il mio saluto non era rivolto a lui bensì a una vecchia signora più lontana e dietro di lui. Smorzando all’istante la sua aria pomposa, subito ha roteato d’intorno i piccoli occhi porcini per accertarsi che nessuno l’avesse visto salutare a vuoto e poi, con sussiego, ha finto di leggere la scritta pubblicitaria della busta che aveva in mano. L’ho lasciato così, con la sua autostima insultata e ferita, e ho proseguito con l’osservazione del chiostro.
Al centro del cortile un gigantesco albero che google dice trattarsi di una magnolia e che da il nome allo stesso chiostro, leggo che dintorno ve ne sono degli altri, del noviziato, del generale e del beato Luca Belludi e mentre penso di farci una breve visitina lo sguardo mi cade nuovamente sul cavalier Tripponi.
Davanti a lui una ragazza con un bambino in braccio, è mal vestita, indossa una pesante gonna e nonostante il caldo, uno scialle di tela grezza che riporta tutte le tracce della sua vita misera. È scalza, con un braccio tiene su un bambino di circa due anni la cui unica veste è una maglietta che puntualizza abbondantemente ciò che non era chiaro a sufficienza nello scialle e con l’altra mano chiede l’elemosina. Non avrà neppure vent’anni, tiene i cappelli raccolti con un fazzoletto che le ricopre interamente pure la fronte, il suo portamento è eretto e in un certo senso quasi fiero, ben lontano da quello supplichevole e lamentoso di altri mendicanti.
Guarda diritta negli occhi il povero cavalier Tripponi che come folgorato resta immobile davanti a lei. Ha smesso di cercare di allentarsi la cravatta e ha la fronte aggrottata come a recuperare un pensiero o una immagine. Poi, con una rotazione delle spalle quasi nasconde contro il muro le sue mani. Mi sposto per osservarlo meglio e vedo che ha preso dalla sua tasca qualche banconota che dà alla ragazza, si guarda velocemente intorno come per accertarsi che nessuno lo veda, spezza in due lo sfilatino di pane e lo consegna al bambino. Il gesto sorprende la giovane madre che non sa se ringraziare di più per le banconote o per il pane. Il signor Tripponi le fa cenno di no, non vuole essere ringraziato, fa una carezza al bambino, si volta e si allontana con gli occhi lucidi.
Resto lì, imbambolato e quasi incredulo, chi lo avrebbe detto che quell’adipe ambulante, quel gallo cedrone casereccio apparentemente pieno di sé, nascondesse invece un animo nobile. Non è la prima volta che nel farmi un’idea di una persona mi sbaglio in modo così grossolano. Il pregiudizio è sempre in agguato e per quanto cerchi di valutare il prossimo utilizzando solo dati oggettivi, la sorpresa mi ricorda che non siamo fatti con lo stampino e che ogni individuo è sempre un soggetto unico, complesso e tutto da scoprire.
Con questi pensieri vado in cerca delle due acquistatrici compulsive di ricordini e santini e le ritrovo ancora dentro il bazar dedicato alla materialità economica di sant’Antonio. L’immagine del santo è dappertutto, sui calendari, sui termometri, grembiuli, statuine magnetiche e a gancetto, pantofole, magliette e servizi da the, ci sono riproduzioni in plastica biologica della pietra guanciale, statuine di mule di tutte le dimensioni e piccoli globi di vetro con dentro la lingua del santo che agitandoli lasciano cadere piccoli fiocchi di neve.
È troppo, non so più da che parte voltarmi quando lo sguardo mi cade su una foto alla parete. Si tratta di una immagine color seppia per via dell’età che ritrae un gruppo di giovani donne al lavoro nei campi, in basso una scritta Bovolenta 2 maggio 1947. La foto descrive abbastanza bene la durezza di quegli anni, alcune donne stanno chine a raccogliere qualcosa da terra, altre pare che percuotano l’erba con grossi bastoni, sono tutte scalze e indossano pesanti gonne, una specie di scialle o mantellina copre le loro spalle e in testa portano un fazzoletto che ne raccoglie i capelli ricoprendo anche la fronte. Accanto due bambini che giocano con delle foglie, come vestiario hanno solo una maglietta lacera.
Caro cavalier Tripponi, che lezione mi hai dato. Son sicuro che nella ragazza che mendicava ha visto qualcosa della sua infanzia, magari anche lui da bambino stava così senza vesti in compagnia di una gran fame, forse quel fazzoletto che le ricopriva la fronte gli ricordava qualcuna a lui cara.
Serie: Tutto in una sera
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- Episodio 4: La ragazza di Padova
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