Cerini

Ci sono modi e modi.

Codificare la messa in atto di un’intenzione è una delle attività umane per eccellenza.

Avete stabilito che esiste un modo corretto di mangiare: gomiti stretti e giù dal tavolo, coltello nella manoforte, forchetta in quella debole, testa diritta, posata alla bocca, mai bocca alla posata.

C’è un codice per scopare: non al primo appuntamento, meglio il secondo che fa meno puttana. La prima volta alla missionaria, guardandosi negli occhi, le porcherie salvatele per dopo.

Possedete persino un codice per morire: capezzale, parole di perdono, confessioni, la sfilata dentro al vestito di legno, musica solenne e tutto il resto.

Soprattutto, vi siete impegnati a codificare il conflitto.  

La risoluzione delle controversie indica il grado di evoluzione di una civiltà.

Voi lo sapete, io sono per il metodo diretto. L’ultima volta che mi sono trovato in disaccordo con qualcuno, gli ho aperto il cranio come una noce di cocco e l’ho lasciato in dono ai corvi.

Che volete farci, sono sempre stato un impulsivo.

Certo, esistono altre opzioni.

Prendete Bali, per esempio. Bali è un luogo interessante.

Per lungo tempo, se due persone avevano una disputa, il giudice imponeva loro di smettere di parlarsi. Il primo che avesse rivolto la parola alla controparte avrebbe, in quel modo, ammesso di essere in torto. Una sfida a chi ride prima, insomma, con in palio qualche oncia di orgoglio.

E per voi, invece, come funziona?

Me lo sono chiesto spesso, sapete, osservando le vostre esistenze, corte come cerini comprati dal tabaccaio, ristrette come l’espresso del mattino.

Vedo che, per voialtri, il frastuono è essenziale.

Vi sposate su Facebook, partorite su Instagram, divorziate su Twitter.

Nel mezzo, inondate l’etere di fotografie di colazioni, cene, torte, gattini.

Qualunque cosa vi accada, viene esposta come la mercanzia di una puttana da due soldi a lato di una tangenziale qualsiasi.

Che ve ne fate, di queste radiografie di esistenza?

Io credo di saperlo. Forse, dico forse, vi ho capiti, alla fine.

E’ l’irrilevanza.

Il silenzio vi spaventa.

L’ombra vi terrorizza.

Avete paura di non contare nulla, dispersi in questo immenso Chissadove senza volontà né memoria.

Lasciate che vi confidi un segreto: avete ragione. Non contate nulla. Siete irrilevanti, nello schema delle cose.

Se solo poteste rendervi conto di che dono straordinario vi è stato fatto, con l’irrilevanza.

E’ meraviglioso non significare niente, essere pulviscolo alla deriva.

Perché nell’irrilevanza è racchiusa la lbertà di fare qualunque cosa.

Buttatevi, fate quello che davvero sognate.

Sbagliate alla grande, sbagliate ancora, sbagliate sempre.

Tanto, anche se a volte vi sembra il contrario, nessuno vi guarda. A nessuno importa, e il cerino brucia, brucia in fretta, fino a lasciare di sé niente di più che una irrilevante traccia si zolfo nell’aria.

Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Quando ci abitueremo davvero ad essere irrilevanti, a non aver paura di sbagliare, ad andare per la nostra strada con la consapevolezza che “a nessuno importa”, forse potrà esserci un’inversione di rotta. Ma la strada, credo, è ancora lunga.