Ch-ch-ch-ch-changes (lamento del metathesiofobico)

Dicono che la prima notte sia la peggiore. No, non sto citando una battuta del film Le ali della libertà. La mia è una considerazione personale. Privata. Mi riferisco alla prima notte dopo un trasloco in una nuova abitazione. Che poi è la stessa situazione del film. Là il protagonista trascorreva la prima notte in carcere. Per me non è molto diverso.

Odio i cambiamenti, penso che l’abbiate capito. In particolare odio i trasferimenti. Il primo che ricordo risale a ventotto anni fa. Niente di così terribile: una casa che i miei genitori avevano acquistato per avere un po’ di spazio in più, anche esterno, rispetto all’appartamento in cui avevo vissuto fino all’età di dodici anni. Nello stesso paese, quindi nessun cambiamento epocale. Frequentavo le scuole medie e avevo continuato a frequentarle nella stessa scuola, nella stessa classe, con gli stessi amici.

Ma avevo dovuto adattarmi alla nuova situazione.

E non era stato semplice.

Avevo chiesto, e ottenuto, che la mia camera rispecchiasse il più fedelmente possibile quella che avevo lasciato. Mi era stata concessa una stanza che aveva la porta di ingresso e la finestra più o meno nella stessa posizione della precedente. Dipingendo pareti e soffitto con gli stessi colori e utilizzando i mobili della mia vecchia sistemazione avrei potuto fingere di non essermi mai spostato.

Ma non era la mia vecchia camera. Me ne accorgevo soprattutto di notte, quando la luce che filtrava attraverso le persiane non proiettava lo stesso disegno che ero abituato a vedere da anni sul soffitto e sulle pareti. Simile, ma non uguale. Anche la quantità di luce era diversa, meno intensa. Non avevo paura del buio… avevo paura di non abituarmi.

Ci volle tempo. Alla fine riuscii a dimenticare il vecchio e vivere il presente. Giurai a me stesso che non avrei mai più cambiato casa in tutta la mia vita.

Certo, a dodici anni è facile promettersi un simile proposito, perché a quell’età gli ormoni della pubertà sono ancora lontani da essere secreti in dosi esplosive. Ma prima o poi arriva la botta che ci fa scoprire l’altra metà del genere umano, oppure lo stesso genere, ma con occhi diversi.

Nei tredici anni successivi la mia tana era cresciuta con me: avevo studiato, mi ero laureato, avevo praticato sport, non a livello agonistico per evitare le trasferte. Tra una cosa e l’altra avevo trovato il tempo per concedermi momenti di scambio di fluidi corporei con qualche partner. Che poi si erano ridotti, i partner intendo, finché ero approdato alla monogamia.

E dopo tredici anni avevo provato di nuovo quella sensazione terrificante di perdere ciò che avevo conquistato a fatica. Temevo per la mia stessa identità: avrei sopportato un nuovo cambiamento?

Dicono che la prima notte sia la peggiore. Lo dicono perché non hanno vissuto l’ultima come l’ho vissuta io.

Di fronte al mio letto, una libreria colma di volumi disposti in verticale o semplicemente impilati l’uno sull’altro mi davano ogni sera, nella penombra, l’immagine della skyline di una Città immaginaria. La mia Città. La Città che mi accoglieva a braccia aperte, perché io ne ero stato il creatore. L’avrei perduta per sempre? Avrei potuto riprodurre tutto questo nella nuova casa, una volta che fossi andato a vivere con la mia compagna? Avrei potuto aspettare ancora: un nuovo ciclo di studi, una specializzazione, o qualsiasi cosa che mi tenesse lontano ancora per qualche anno dalla necessità di cambiare casa. Ma sarebbe stato solo un modo per rimandare. Nulla di definitivo.

L’ultima notte non riuscii a dormire. Osservavo la linea frastagliata della Città e mi chiedevo se avessi potuto ricostruirne le fondamenta, i punti fermi, i perni su cui far ruotare i cardini della mia esistenza.

L’ultima volta ero troppo piccolo: questa volta no. Decisi che questo sarebbe stato l’ultimo trasferimento della mia vita, tranne, ovviamente, quello definitivo… ma a quel punto non sarebbe stata più la mia vita.

Piansi a lungo. Al mattino ero calmo, rilassato, come se il proposito della notte avesse iniziato a sedimentare nella mia mente e creare radici profonde nel mio inconscio.

Ancora una volta mi adattai con molta fatica alla nuova abitazione. La disposizione delle camere era molto diversa da quella della mia vecchia casa. Per molte notti sognai il profilo della Città immaginaria. Provai a replicarlo disponendo i libri nella libreria in sala. Prima di andare a letto mi coricavo sul divano con la scusa di guardare un film, mentre in realtà contemplavo la skyline e ragionavo su come modificarla per renderla fedele all’originale.

Anche questo disagio tuttavia si affievolì con il tempo. Finché riuscii a dimenticare ancora una volta il vecchio e accettare la nuova condizione.

La vita di coppia mi aiutò moltissimo. La mia compagna divenne mia moglie e negli anni la nostra relazione conservò lo smalto che aveva all’inizio. Lei poteva stare tranquilla: non avrei mai potuto tradirla… troppo stressante. Speravo, anzi sapevo, che per lei era lo stesso.

Click.

Quindici anni. Ne ho quaranta adesso. Mia moglie trentasette. Non abbiamo figli, non per nostra scelta. Ma finora è andata bene così. La nostra casa è cresciuta con noi. Non posso chiedere nulla di più.

Lei sì.

Click.

Qualche mese fa ha iniziato a consultare annunci immobiliari. Ha iniziato a raccontarmi del suo sogno di avere un giardino e due cani. Quando andiamo a far visita ad alcuni nostri amici che vivono in una piccola villetta appena fuori città non fa altro che parlarmi per giorni della loro casa. I fiori, il prato, i cani, la piccola piscina fuori terra…

Click.

Non potrei sopportare un altro trasferimento. Ce l’ho fatta finora, ma ero giovane, e prima ero bambino. Non a quarant’anni.

Click.

Vuole vedermi morire. Vuole tutto per lei. I soldi che sono riuscito a mettere da parte con il mio lavoro.

Click.

Ma non farà in tempo. Non le consentirò di spazzare via tutti i dettagli che ho costruito qui, negli anni. Non le lascerò distruggere la skyline della mia Città.

Click.

Sei proiettili sono sufficienti.

Lei è in camera da letto.

Dorme.

Non mi sentirà entrare.

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Discussioni

  1. Fantastico….leggendoti si ha sempre la sensazione che ci stai portando da un’altra parte, non si capisce bene dove, ma ci lascia portare certi che non verremo delusi. E poi…eccolo il colpo di scena! E come dicevo, non deludi mai! Sempre un piacere leggerti 😊

  2. Torno a dire che i tuoi scritti presentano spesso una somiglianza con i brevi racconti del terrore/grottesco di Edgar Allan Poe, solo in chiave moderna. Abbiamo un uomo, abbiamo la sua ossessione… e abbiamo il delitto. Davvero, non so ancora cosa ti piace leggere, ma una cosa è chiara: hai assimilato alla perfezione, coscientemente o meno, gli insegnamenti dei maestri del genere.
    Il testo poi è estremamente curato e si vede: niente ripetizioni, giusta varietà nei periodi, e ritmi ben dosati. Complimenti, proprio un bel lavoro! 🙂

    1. Bella domanda, Gabriele… Cosa mi piace leggere? Rispetto al genere di cui stiamo parlando posso dire di aver letto qualsiasi cosa: dalle pagine dei grandi autori ai libercoli tipicamente “estivi”, in base agli impegni, al tempo da dedicare alla lettura, allo stato d’animo… Per restare su un livello alto, posso dirti che di Poe ho letto molto, ma tanto tempo fa. Penso che siano almeno vent’anni che non prendo in mano un racconto di Poe. E penso che sia ora di provvedere, visto che, come dici tu, qualcosa quelle letture mi hanno lasciato.
      Prima o poi farò un inventario di quello che ho in casa.
      E non sarebbe male proporlo come “esercizio” per tutti: spesso vengono fuori titoli che avevamo completamente dimenticato…

  3. Ho trovato interessante questa fotografia in cui rappresenti gli effetti di un disturbo ossessivo compulsivo. Forse un tantino precoce, solitamente si manifestano nell’adolescenza… ma è calzante l’assenza della consapevolezza di un gesto estremo, e la focalizzazione unica, tutta incentrata sulla conservazione di un fantomatico equilibrio. Grazie per la lettura

    1. Sì. Ho anticipato un po’ i tempi, ma perdonatemi questa leggera forzatura… In effetti ho giocato sulla conservazione dell’equilibrio, fino a quello che ho visto come punto di rottura.
      Grazie a te per aver letto e commentato, Paolo.

  4. C-c-c-c-changes è una citazione del buon vecchio David giusto?
    Comunque ottimo davvero, peccato per le mille parole, un racconto così avrebbe meritato una misura più flessibile per gestire il finale

  5. Un racconto che cresce lentamente, in modo quasi innocuo, e poi ti colpisce all’improvviso. Il disagio quotidiano diventa ossessione, e il finale è un vero shock. Davvero ben costruito.