Cinque stanze occupate

Serie: La Primula


Il corridoio era poco illuminato. Una moquette rosso sangue ricopriva il pavimento, le macchie scure erano così numerose da sembrare parte di un motivo floreale. I muri, un tempo bianchi, erano ingialliti dall’umidità e ricoperti di lentiggini di muffa nera. Cinque porte rosse sfilavano sul lato destro del corridoio. Il loro legno era attraversato da solchi profondi, ed era logorato dal tempo e da chissà quanti eventi orribili avvenuti in quel luogo.

“La Primula” era un albergo a tre stelle, di cui almeno due immeritate, nel bel mezzo del nulla. Si presentava come un lungo edificio rettangolare con una porta, cinque finestre e un’insegna luminosa, ovviamente rossa. Il proprietario era un vecchio robusto, un po’ in carne e con le guance molli che gli pendevano dagli zigomi, la classica faccia da bulldog. Con grande stupore di Jago, quando il vecchio gli consegnò le chiavi della camera numero 1, gli riferì che le altre quattro camere erano tutte occupate. Quattro persone stavano volontariamente alloggiando in quel posto dimenticato da Dio, Jago stentava a crederci. Fece un sospiro e inserì la chiave nella serratura della sua camera. In quel momento dalla porta accanto uscì un uomo, indossava una giacca di pelle nera e pantaloni larghi chiari. Un set di tre cinture borchiate gli cingevano la vita e la gamba. Capelli lunghi, neri come la pece gli coprivano il viso mentre cercava goffamente di chiudere la porta. Era un individuo talmente particolare che Jago si era fermato a fissarlo per diversi secondi. L’uomo, chiusa la porta, si tolse i capelli da davanti il viso con un volteggio del capo. Il suo viso non era meno insolito dei suoi capelli o dei suoi indumenti. La pelle era di un bianco scolorito e delle rughe innaturali gli attraversavano il volto da sembrare quasi cicatrici. I suoi minuscoli occhi azzurri guizzarono da un lato all’altro del corridoio per poi fermarsi su Jago.

– Ei – esclamò abbozzando un sorriso rugoso. C’era qualcosa di incredibilmente strano in lui.

– …E-ei – rispose Jago con incertezza

– Io penso che vado a comprare il latte, a dopo – parlava quasi come un bambino e aveva un leggero accento dell’est. Strascicava le parole da essere quasi incomprensibile.

Sul viso di Jago si dipinse un’espressione di confusione e, non sapendo come rispondere, fece un sorriso timido e impacciato.

L’uomo si avviò verso l’uscita con passo pesante. Si fermò.

– Io sono Tommy, ciao bimbo – si chiuse la porta alle spalle.

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