Ciò che all’amore è negato

C’è qualcosa, nel cuore del sogno.

Striscia, morde e mordicchia, la casetta chi rosicchia…

Lei allunga la mano, forza le dita nel tentativo di afferrarlo… Si ferma, come un animaletto impaurito. La guarda.

Sorride.

Lei urla.

“Mamma…”

Picchio è in piedi sulla soglia del soggiorno. Si è addormentata di nuovo davanti alla TV.

L’alba filtra piano attraverso le griglie della tapparella. Un’altra caldissima giornata di mezza estate.

Picchio si avvicina al divano. Lei gli sorride.

L’elastico del pigiamino rotto lo fa sembrare tenero, buffo come uno di quei coniglietti della Duracell.

“Amore… Hai fame?”

Fa segno di no. Un ciuffo di capelli biondo scuri gli ricade sulla fronte, coprendogli gli occhi. Fin da piccolissimo, appena sveglio ha sempre quell’espressione offesa.

A volte le pare impossibile che questi sette anni siano trascorsi così in fretta. Ci sono state notti dure e giorni penose. Quando ha avuto la polmonite, lei non ha dormito per settimane, nello sforzo disperato di ascoltare il suo respiro…

Gli sorride, Gli spinge indietro il ciuffo.

“Che facciamo oggi?” gli chiede.

Picchio non si annoia facilmente. Può giocare da solo per ore. Passando davanti alla sua stanza, nel cuore di un pomeriggio afoso, le capita spesso di sentirlo chiacchierare amabilmente con nessuno.

Ascoltandolo di nascosto, ha scoperto che suo figlio ha sempre un piano brillante che gli attraversa il cervello.

Picchio è indiscutibilmente un grande successo.

Se pensa a come tutto questo è cominciato, non riesce a non tirare un sospiro di sollievo.

La mattinata scorre liquida e tranquilla, piena di sole, come da programma.

Picchio la passa disegnando seduto al tavolo grande in soggiorno, mentre lei lavora da remoto sul portatile, in cucina.

È assolutamente silenzioso, oggi. Non è poi così strano. Quando disegna, gravita spesso in un altro universo. Qualche volta lei lo chiama, per essere sicura che sia ancora lì.

Il suo silenzio è di quelli che ti fanno sospettare un’improvvisa assenza fisica.

Giovanni diceva che il bambino andava sulla Luna.

Ha fatto bene, pensa lei, a mandarlo via. A Picchio non è mai piaciuto. Pretendeva tutta l’attenzione per sé, non capiva che un bambino ha bisogno di sua madre.

Passa davanti al soggiorno per andare nel bagno, e gli lancia un’occhiata.

È concentrato, la testa china sul suo foglio, il pennarello rosso va avanti e indietro, avanti e indietro…

Lo chiama, solo per il gusto di vederlo alzare di scatto la testa, negli occhi la stessa allerta che se avesse suonato una sirena da crociera.

Quando si accorge che si tratta di lei, ricompone all’istante il volto in un sorriso timido. Da dovunque sia tornato, non ricordava neppure di essere figlio di qualcuno.

Dopo mangiato, fanno un riposino, poi, verso sera, quando il grande caldo cola lungo i muri come whiskey denso dentro un bicchiere, escono insieme per una breve passeggiata.

Lei ne approfitta per fare compere, cibo e altre cose. Picchio si aggira solitario fra gli scaffali, sfiorando la merce con gli occhi, ma senza toccarla.

È il loro patto segreto.

Lei non lo tiene per mano, perché Picchio detesta quella sensazione, come se fosse un palloncino attaccato alla sua corda.

Lui, però, non deve mai toccare niente senza prima averlo chiesto.

Vale per i negozi, ma anche per le strade; sebbene lì si aggiungano altri divieti, come quello di correre senza preavviso.

“Perché no?”

Picchio vuole sempre una spiegazione. È troppo speciale per accontentarsi di un ordine senza discutere.

“Perché una macchina potrebbe schiacciarti, e io morirei di dolore.”

Non ha paura di dirgli la verità. Comunque, Picchio ha dimostrato più volte che le bugie non lo interessano.

È come se lo annoiassero.

“Tu non le sai dire bene” ha commentato, una volta in cui per errore aveva tentato una di quelle misure di sicurezza che gli adulti poco responsabili mettono in atto con i bambini, più nel tentativo di pararsi il culo che perché davvero non li credano capaci di capire.

Lei è rimasta sorpresa di quella scelta di parole.

Voleva forse dire che c’era un modo migliore di raccontare bugie, e che lui lo conosceva?

Ma aveva solo cinque anni, allora.

Probabile che avesse scelto le parole a caso, senza riflettere.

Quando tornano a casa, le ombre cominciano ad allungarsi.

Comincia l’inquietudine della sera. Un fatto abbastanza comune, per lei. Non le piace che Picchio ne venga coinvolto.

“Perché non finisci il tuo disegno, amore? Mamma va a fare una doccia e poi si cena.”

Stavolta, per completare il disegno, Picchio si rifugia in cameretta.

Dopo la doccia, lei prepara una cena fredda. Non lo chiama. Sa che riapparirà dopo aver finito.

E comunque, non ha appetito. La morsa dell’inquietudine si sta stringendo nuovamente. Preferisce che non la veda così, che sposta oggetti a caso, che controlla le mani a fatica…

Accende la TV.

Le basta poco per addormentarsi.

La casetta chi rosicchia, chi rosicchia…

Si muove da qui a lì, da lì a qui. Oggi saltella. Nulla di strano: ne impara una nuova ogni giorno.

Lei si è nascosta, vuole osservarla senza essere vista, non vuole correre rischi, stavolta vuole coglierla con le mani nel sacco, con le dita nella marmellata, col sorcio in… il sorcio…

…nella via quel giorno d’autunno l’aveva lasciato andare avanti da solo non correre per le macchine sì mamma lo so moriresti di dolore lei aveva riso come diventavano buffe le sue paure raccontate dalla sua vocetta come filastrocche perdevano tutto il loro potere poi lui aveva voltato l’angolo e lei aveva indugiato davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento poi di colpo si era ricordata dov’è andato oddìo dov’è ed era corsa oltre l’angolo nel vicolo e lui stava…

…stava accovacciato a terra, a guardare un… una bestia… un topo… il sorcio… la bestia…

…era lui che alzava il mattone sopra la testa era lui che calava il mattone e quella cosa era viva e si torceva ma lui calava il mattone ancora e ancora e lei aveva urlato smettila smettila cosa stai facendo smettila e il ciuffo biondo gli era ricaduto sugli occhi mentre le sorrideva mostrandole il mattone imbrattato di sangue…

…la casetta chi rosicchia… il tuo piccolo bastardo rosicchierà il mondo…

Il campanello è un grido lontano che attraversa il mondo.

Con un sussulto, si tira su dal divano.

Ricorda ogni cosa, stavolta. È così, che è andata. La verità ha sapore di spazzatura.

Ha tentato di spiegargli per quale motivo ciò che ha fatto è orribile, ma sa che non ha capito.

Sa anche che le ha mentito, quando le ha promesso che non l’avrebbe fatto mai più.

Schiacciata da questo peso, raggiunge il corridoio, poi la porta.

Sul pianerottolo ci sono due agenti di polizia.

Hanno un’espressione confusa e sospettosa allo stesso tempo. Le mostrano i tesserini.

“Stiamo cercando suo figlio.”

“Picchio?” chiede lei, stordita.

I due la osservano, incuriositi. Uno controlla il foglio che ha in mano.

“Samuele Calani.”

Sì, sì certo. È questo il nome che ha ricevuto alla nascita, ma tutti sanno che lui è Picchio.

“Il bambino è in casa?”

Riprende vita di colpo. Una furia spaventosa si accende dentro di lei. Parla – ma ciò che vorrebbe è bruciarli vivi lì, sulla soglia di casa.

Non toccherete mio figlio.

“Che cosa volete da lui? Mio figlio sta disegnando nella sua stanza…”

“Signora…”

“… non lo disturbo mai quando sta disegnando, non gli piace…”

“… signora, ascolti…”

“… e comunque è quasi ora di cena, non potevate aspettare domani per disturbare?”

L’agente sospira, osservandola quasi come se la compatisse.

“C’è una denuncia. Suo figlio ha colpito un altro bambino con un mattone, due giorni fa. Il bambino è entrato in coma. Dobbiamo portarlo via per accertare i fatti.”

“Come sarebbe a dire! Perché mi avvertite solo adesso? Due giorni sono un sacco di tempo!”

“Non sapevamo che fosse lui. È stato… abile, nel coprire le sue tracce.”

L’agente sembra lui stesso incredulo e leggermente a disagio. Aggiunge, quasi come se questo potesse restituire un senso alla storia:

“Naturalmente, dato che si tratta di un minore, lei è libera di accompagnarlo.”

Lavora al suo disegno con grandissima attenzione. Se aggiungerà troppo rosso, potrebbe rovinare tutto.

Solleva la testa e osserva con sguardo critico.

I pennarelli non bastano più, è pronto per qualcosa di nuovo. Ha sentito parlare di tempere e acquerelli, a scuola. Dovrà chiedere informazioni.

Lei rimane in piedi a lungo sulla soglia della cameretta, osservandolo.

Un piccolo estraneo dalla bellezza eterea, dal grandissimo talento, dall’intelligenza proteiforme.

Un assassino, o quasi.

Piange, silenziosamente. Per non disturbarlo mentre disegna.

Può sentire il sogno andare in frantumi.

Picchio si è sbriciolato, liberando Samuele.

Chissà che sapore avrà, essere sua madre.

…la casetta chi rosicchia…

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Discussioni

  1. Mi sono messa a leggere il tuo racconto e alla fine ho sentito una fitta al collo per la maniera in cui mi sono fissata al pc per leggere la tua storia. Ti faccio ancora i complimenti? Mi pare oramai banale. Ho l’impressione che tu scriva d’un fiato, esattamente come ti si legge. I pensieri che si accavallano ai dialoghi e alla narrazione. Non so mai se sono dentro o fuori dalla testa dei tuoi protagonisti. Picchio, in particolare ti è riuscito veramente bene e la mamma alla perfezione, mi ha commossa. Tocchi spesso il tema della ‘diversità’ (Ma, Diverso da chi?) e lo fai in una maniera che non fa sconti a nessuno. Bravissima

    1. Grazie cristiana☺️scrittura di getto sì perché ormai Vengo posseduta dall’idea… I lunghi tempi di attesa dipendono dalla lunghezza della rilettura che è una torturatrice vera e propria. . Non si toglie mai abbastanza 😅

  2. Sara, tu devi solo ringraziare il Cielo di non essere nata ai tempi dell’Inquisizione, perché se fosse successo ti avrebbero bruciata su una pira ardente accusandoti di stregoneria. Il modo in cui incateni le persone con le tue parole è alchemico, è un sortilegio, un incantesimo dal quale non ci si libera più.

  3. Un incubo atroce, che si fa realtà. Siamo tutti spaventati quando iniziamo a scoprire che i nostri figli sono esseri umani, che hanno un carattere ed una interiorità autonoma. Tutti allora sognamo, prima o poi, che facciano qualcosa di imprevisto, di strano, financo di terrificante. Ecco l’incubo che quasi mai si fa reale. Per fortuna.
    Stanotte non dormirò tranquillo.

  4. Mi sono chiesta cosa sia negato all’amore. Nulla, credo. Ma la polizia non lo sa, guarda solo la lettera morta della legge.