Click
Antonio rimase a guardare lo schermo, continuando ad eseguire quei pochi movimenti meccanici che lo portavano a cancellare le mail in eccesso nella casella PEC aziendale, ormai quasi piena. Click. Aspetta. Cancella. Aspetta. Click. Aspetta e ancora e ancora: mouse e tasto cancella, in un ciclo infernale che, almeno cosi gli sembrava, non sarebbe finito mai. Click. Aspetta. Cancella. Aspetta.
Non era certo il lavoro dei suoi sogni, si ritrovò a pensare, ma poteva andare peggio, in fondo le giornate non si limitavano semplicemente a quello: doveva archiviare tutta la corrispondenza in ingresso e in uscita, doveva rispondere alle chiamate, preparare i contratti che poi l’amministrazione avrebbe controllato… Era il centro dell’ufficio e, tuttavia, il gradino più basso della gerarchia.
Seduto all’ingresso dell’edificio, in un piccolo gabbiotto ricavato da due scrivanie e una protezione in plexiglass, angusto ma comunque accogliente, il suo lavoro aveva un pregio, principalmente, che lo rendeva decisamente migliore di quanto poteva apparire dall’esterno, anzi due: nessuna responsabilità effettiva e la possibilità di stare lontano dalla gente; non che fosse sociopatico, per carità, ma era fortemente introverso, e non avrebbe dato il meglio di sé in mezzo alla gente.
Non era certo il lavoro dei suoi sogni, si ritrovò a pensare, ma poteva farselo andare bene per almeno un paio d’anni, il tempo di terminare quel corso che…
Il flusso di coscienza fu interrotto da una voce stridula e fastidiosa, proveniente dalla piccola stanza vicino al gabbiotto di Antonio, un piccolo stanzino zeppo di carte e altro materiale, al cui interno, dietro ad una scrivania appena visibile sotto alla montagna di scartoffie, viveva una strega; Ok, non era così drammatica, ma Gertrude gli appariva esattamente così, quando si ritrovava a pensare a lei, con quella vocetta stridula, qualche ottava sopra all’umanamente tollerabile, quelle sue mani ossute che amava muovere come fosse la sorella malvagia della Fracci, e quel sorriso sornione con cui accoglieva ogni domanda, senza dare alcuna risposta, il più delle volte.
Si passò la mano sulla faccia cercando di smorzare la disperazione. Aveva tollerato Gertrude per tanto tempo, cercando di fare buon viso a cattivo gioco, facendo finta di non sentire le sue continue urla al telefono contro i dipendenti, le sue sfuriate per un nonnulla contro gli altri dipendenti che avevano la sfortuna di doverla raggiungere (ma la fortuna di poter lavorare lontano da lei), i suoi discorsi senza senso sulla politica moderna e di come il mondo doveva girare secondo lei. L’aveva tollerata troppo a lungo, ma quello che era appena successo gli aveva stravolto l’esistenza.
Era una stupidaggine, in realtà, ma si era trattata della proverbiale goccia che fa traboccare il vaso: Gertrude, entrando in ufficio, quella mattina, l’aveva guardato con il suo solito sorriso e si era grattata l’interno dell’occhio… con il dito medio. Con il dito medio!
Probabilmente si trattava di una coincidenza, si convinse all’inizio, tuttavia gli rimase come un tarlo l’idea che, per qualche motivo, la strega lo aveva preso di mira per una qualche ragione. Passò la giornata tra il continuare a pensare a quale potesse essere il motivo di tale antipatia e il cercare di carpire ogni conversazione della vecchia per avere un’idea delle conseguenze di quell’antipatia.
La strega era potente, in ufficio, amica stretta dei proprietari che, pur riconoscendone i difetti caratteriali, la tenevano in simpatia, rendendola, di fatto, intoccabile sotto ogni punto di vista: meglio perdere un cliente perché la vecchia gli urlava contro, che licenziarla o mandarle anche solo un richiamo scritto.
Click. Aspetta. Cancella. Aspetta. Sì accorse di essersi ingobbito e si stiracchiò sulla sedia per dare sollievo alla schiena indolenzita. Cosa stava tramando Gertrude? Non rischiava il licenziamento, di quello era abbastanza sicuro, dal momento che sostituiva una persona in malattia e difficilmente avrebbero trovato qualcuno in grado di fare quel lavoro senza un previo affiancamento, visto che l’azienda aveva delle procedure assurde e decisamente sui generis.
Cosa poteva fargli? Beh, rendergli la vita impossibile, quello era certo: sparlare di lui ai proprietari, che poi avrebbero parlato male di lui ai dipendenti che poi avrebbero sparso falsità tra i clienti… che al mercato mio padre comprò, cercò di minimizzare quegli assurdi pensieri Antonio, ma ormai il danno era fatto, e avrebbe passato il resto della giornata ad immaginarsi i clienti sparlottare tra loro di ciò che i colleghi gli avevano riferito.
Non era certo il lavoro dei suoi sogni, ma sarebbe potuto diventare anche peggio.
Si passò la mano tra i capelli, distogliendo gli occhi dallo schermo, che continuava a tirare fuori PEC da cancellare (aveva cancellato mail risalenti ad almeno tre anni prima, ovvio che la casella fosse piena), cercando qualcosa che potesse distrarlo un momento, e l’occhio gli cadde sul portaombrelli vicino all’ingresso. Un solo ombrello lo riempiva: l’ombrello della megera.
Scosse la testa cercando di non farsi suggestionare e l’occhio, questa volta, si posò sull’albero di Natale, elegante ma anche abbastanza spoglio… addobbato dalla megera. Sì tirò uno schiaffo senza neanche rendersene conto, e rimase un secondo a fissarsi il palmo della mano, quindi si chinò a raccogliere gli occhiali caduti. Come poteva una persona avere tanta influenza nella sua vita?
Si era trattato solo di un gesto stupido, un gesto che, anche se fatto consapevolmente non significava assolutamente nulla. Perché gli sarebbe dovuto importare di ciò che pensava una vecchia di lui o del suo modo di lavorare? Ecco… Era quello? Forse la vecchia non era contenta della quantità di chiamate che riceveva? O di come scriveva il codice di protocollo sulle raccomandate in entrata? O di come si assentava per pochi secondi per andare a prendere le fotocopie nell’altra stanza? Cosa diavolo voleva da lui?!
Dovette passarsi un fazzoletto di carta sulla fronte per asciugarsi il sudore, cercando di respirare profondamente per calmarsi. Cosa gli stava succedendo? Si stava agitando per un niente, perché una stronza (sì, lo aveva detto… o meglio pensato) gli aveva fatto il dito medio, una persona di cui non aveva la minima considerazione, perché gli importava così tanto?
Proprio mentre stava per tornare in grazia di Dio la voce stridula e fastidiosa riprese a starnazzare mentre, tanto per fare una cosa nuova, litigava con un cliente al telefono. Perché non abbassava la voce? C’era solo lei in tutto l’ufficio? Credeva di essere speciale? Credeva di poter fare ciò che voleva? E tutti gli altri? Muti?
Strinse i pugni e iniziò a contare, in silenzio. Arrivato a 50 riuscì a tornare ai propri compiti: Click. Aspetta. Cancella. Aspetta. Click. Aspetta. Cancella. Aspetta. Click. Squittio. Cancella. Aspetta. Click. Aspetta. Urletto. Aspetta. Click. Aspetta. Strillo. Aspetta. Click. Ora l’ammazzo. Cancella. Aspetta. Click. Respira. Cancella. Risatina sprezzante. Click.
Si alzò in piedi facendo quasi cadere la sedia, tenendosi la testa tra le mani. Stava impazzendo, letteralmente. Senza attendere un secondo di più attraversò in pochi passi l’atrio e uscì dall’ufficio. Quanto aveva bisogno di un sigaro in quel momento! Si frugò nelle tasche ma non ne aveva alcuno al momento, probabilmente finiti il giorno prima, e inoltre non avrebbe avuto il tempo per fumarlo, anche volendo. Sì torse le mani trattenendo la rabbia e fece per urlare, per poi trattenersi all’ultimo facendo uscire quello che parve più un gemito che un urlo.
Iniziò a camminare avanti e indietro davanti all’ingresso, facendo scattare il sensore della porta automatica ogni volta che ci finiva sotto, ormai incurante di ciò che gli capitava attorno. Non aveva mai avuto una così forte voglia di dare un pugno a qualcuno in vita sua, e doveva trattarsi proprio di una vecchia? Nessuno sarebbe riuscito a giustificare un gesto tanto violento, anche nei confronti di una tro… no, si calmò, sessismo no, è solo una stronza.
La calma, però, durò poco, visto che la mente tornò a ronzare intorno al solito chiodo fisso. Cosa voleva la vecchia da lui? Cosa stava pianificando? Perché non poteva semplicemente alzarsi e venirgli a parlare per risolvere qualunque problema immaginario si fosse creata? Era lì, nella stanza accanto, mica dall’altra parte dell’edificio.
Doveva rientrare, e l’aria gli manco. Si mosse a fatica, facendo il percorso all’inverso a velocità ridotta, con i piedi che pesavano quasi fossero fatti di piombo. Si sedette nuovamente al suo posto, cercando di ignorare la voce che continuava a sbraitare contro una cornetta del telefono.
“Se esiste veramente un Dio lassù” si ritrovò a dire ad alta voce, prima di rimettersi al lavoro “sappi che sto scontando già il mio purgatorio”. Click.
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Una storia in cui il lettore si immerge, diventa tutt’uno con il protagonista. Vive le sue ansie, la sua rabbia, il suo insano desiderio di… meglio lasciare l’ombrello dove sta. Ho apprezzato moltissimo la tua scrittura immersiva
“con quella vocetta stridula, qualche ottava sopra all’umanamente tollerabile, quelle sue mani ossute che amava muovere come fosse la sorella malvagia della Fracci, e quel sorriso sornione”
Ecco, questo è dare tridimensionalità ad un personaggio! Rimane incollato nella testa del lettore, pur senza necessitare uno “spiegone”❤️
“nessuna responsabilità effettiva e la possibilità di stare lontano dalla gente; non che fosse sociopatico, per carità, ma era fortemente introverso, e non avrebbe dato il meglio di sé in mezzo alla gente.”
il mio lavoro ideale 😂