
Colori
Serie: Credo.
- Episodio 1: Vita
- Episodio 2: Puzza di fiori
- Episodio 3: Colori
- Episodio 4: Giochi di luce I parte
- Episodio 5: Giochi di luce II parte
STAGIONE 1
“Non fare la stronza, non voglio essere il tuo eroe e non voglio assolutamente sostituirmi a Fede, nessuno potrebbe farlo. Voglio che vai avanti con la tua vita senza che pensi a cosa potrebbero dire le persone se, dopo “solo” due anni, hai trovato un briciolo di felicità. Questo non significa che non hai amato, sofferto o che l’hai dimenticato, nessuno potrebbe accusarti di questo. TU non dimentichi nulla” sorride sfiorandomi lo zigomo per spostare un ciuffo di capelli dietro l’orecchio a quel tocco involontariamente inclino il viso appoggiandolo sulla sua mano calda.
Ci sono giorni in cui è più semplice dimenticare o quantomeno pensare di aver voltato pagina per un attimo poi, un particolare insignificante, un profumo, una parola o un sapore e il dolore ritorna prepotente come le onde del mare, quel mare che mi ricordano gli occhi di Federico, di un blu intenso, profondi e caldi come una serata di fine luglio. Rassicuranti. Come una tazza di latte e miele bollente prima di andare a dormire. Quel mare prepotente come il nostro primo bacio.
Era fine gennaio e studiavo come una pazza per l’esame di storia d’arte gotica rannicchiata nell’angolo del divano verde salvia che ormai, aveva preso la forma della mia schiena, era impossibile per chiunque altro starci comodo. Quando non ero seduta lì, immersa nei libri o appunti lavoravo in uno stand turistico. Pensare che quando mia mamma mi aveva proposto d’iscrivermi al secondo anno di università all’estero ero riluttante. Pensare di stare lontana da casa, lontana da Roberto mi faceva andare fuori di matto.
“Parlavo con la mamma di Valentina, lei andrà a Londra dovresti informarti, ti farebbe bene cambiare aria” aveva detto mentre tentava di registrare le cerniere dello sportello sotto lavello della cucina.
“Sai che mi piacerebbe, ma non possiamo permettercelo e poi non mastico una parola d’Inglese” avevo risposto seccamente mentre sfogliavo degli appunti.
Certo, un po’ di distanza da Robi mi avrebbe fatto bene. I nostri tira e molla durati anni mi avevano stancata. All’ora mi sembravano una tale tragedia.
Eravamo passati da essere dei bambini che giocavano a nascondino a casa di mia nonna ad adolescenti che si imboscavano dietro la palestra del liceo a fumare una canna. Il sabato sera quando passava a prendermi per uscire con i nostri amici con la sua seicento grigia, suonava il clacson e urlando “HEY STELLAAA” mi aspettava appoggiato allo sportello fumando una sigaretta. Non riusciva mai a finirla perché io ero pronta già da almeno mezz’ora, scendevo i venti scalini con contegno tranne gli ultimi quattro, quelli li saltavo direttamente rischiando sempre di rompermi una caviglia, soprattutto quando indossavo dei tacchi. Quando uscivo dal portone con un sorriso mille denti e occhi solo per lui, si presentava sempre la stessa scena.
“Tu e la tua dannata puntualità, almeno dammi il tempo di finirla sta sigaretta” mi diceva squadrandomi da testa a piedi per poi avvicinarsi a darmi un bacio dolce e casto.
“E tu non accenderla” rispondevo rubandogliela e salendo in macchina. Passavamo le serate a bere, ridere e a rubarci baci e carezze spinte nei bagni dei locali, nelle vie del centro, nella seicento. Eravamo divertenti e spensierati finché io non ho preteso di più. Di più cosa in fondo? Cosa ci si può aspettare da dei ventenni se non leggerezza e tanto sesso?
“Parigi magari” aveva continuato mia mamma ” conosci bene il francese grazie alla nonna staresti bene li ci sarebbero anche altri musei da visitare per continuare la tua ossessione per Leonardo” finì sorridendo e chiudendo affranta l’anta che proprio non ne voleva di stare dritta.
Non me lo stava solo accennando o consigliando. Quello era un ordine. Infatti si era già informata e aveva già provveduto a trovarmi un alloggio, i moduli per l’iscrizione e per il test di lingua. Cosi a fine agosto mi ero ritrovata in un appartamentino in affitto al terzo piano senza ascensore con altri quattro studenti italiani. Mia mamma è così, lei crea, lei distrugge. Sapeva che era la scelta migliore per me e mi spinse dove io non avevo il coraggio di andare.
Ero seduta sul quel divano, i capelli tenuti su da una matita, concentrata a contemplare la bellezza del gotico radiante prendendo appunti per l’esame, quando Federico si era letteralmente lanciato sedendosi ai miei piedi strappandomi il libro da una mano e offrendomi la sua barretta di cioccolata alle nocciole.
“Dovresti mangiare qualcosa Benni, ti vedo sciupata” disse mostrandomi un sorriso mozzafiato e strizzandomi l’occhio con palese allusione al nostro primo incontro nel bagno. Mi ero trasferita da una settimana a Parigi, avevo conosciuto le mie coinquiline Elena e Marika che studiavano economia e Marco che stava studiando medicina, mancava solo Federico non pervenuto. Le ultime settimane erano state difficili tra il trasloco e i test di lingua che mi avevano fatto dannare. Ero arrugginita con il francese, nonostante le lezioni di una vita di nonna Marie. Ero sotto la doccia e pensavo all’ultima volta che avevo visto Robi. Avevamo passato due settimane in Grecia come una coppia nonostante ci fossimo mollati per l’ennesima volta. Dopo settimane che non ci vedevamo era nel cortile sotto casa mia arrabbiato come non lo avevo mai visto.
“Esattamente, quando avevi intenzione di dirmi che saresti andata a vivere in un altro stato? Me l’ha dovuto dire Marie, da quando sei così codarda? speravi lo scoprissi da solo magari venendoti a prendere a casa e non trovandoti?” finì la frase sbattendo la portiera della macchina.
“Potrebbe essere considerando che fai quello che vuoi quando vuoi. Non chiami, non scrivi. Pretendi che io sia lì per te. Non farmi credere che adesso t’interessa quello che faccio. Non sono io quella che sparisce per settimane perché si sente ingabbiata in qualcosa che non vuole” gli urlo.
“Benedetta” butta fuori il mio nome con un respiro. Non è mai un bene quando lo pronuncia per intero. “Non dirmi cazzate, perché non mi hai detto che vai a Parigi” sento il suo sguardo accusatore su di me. Ci conosciamo troppo bene. Fisso quegli occhi verdi prato e grandi mentre il macigno che mi attanaglia il petto si tramuta in una cascata di lacrime che non so controllare
“Perché ho troppa paura di non riuscire ad andarmene e rimanere qui ad incastrarci in una storia che non fa più per noi” riesco a dirgli tra un singhiozzo e l’altro.
“Capisco“ mi risponde secco.
“Prima o poi saremmo arrivati a questo punto. Ci siamo dati e tolto tutto quello che potevamo fino ad ora. Adesso vivi la tua vita Bene”
Ed era andato via, lasciandomi lì, il cuore a pezzi, le gambe tremanti. Si era preso tutto di me negli ultimi dieci anni e ora cosa mi era rimasto?
Era facile nascondere le lacrime sotto l’acqua della doccia e lasciarle andare, uscendo mi ero avvolta nel primo asciugamano che avevo trovato. Troppo piccolo mi copriva a stento poco sotto il sedere, quando la porta del bagno si spalancò.
Dannazione imparerò a chiudermi dentro prima o poi avevo pensato asciugandomi le lacrime.
“Scusami, prima regola della casa, chiudersi a chiave in bagno! Cosi non avvengono questi, non così tanto spiacevoli incontri!” aveva detto il ragazzo dagli occhi blu ipnotici appoggiato allo stipite della porta che mi stava fissando negli occhi nonostante fossi praticamente nuda. Tu sei Federico avevo pensato.
“Bene! ti stiamo aspettando per mangiare non vogliamo che ti sciupi” aveva urlato nel frattempo Marika dalla cucina.
“Effettivamente un paio di chiletti in più ti donerebbero” aveva commentato il bel moro allungandomi un altro asciugamano.
“Grazie per la tua consulenza estetica” gli risposi scocciata prendendo l’asciugamano per coprirmi ma il suo sguardo in realtà non m’infastidiva, in quel momento non avevo trovato nemmeno viscide le sue battute.
“Quando vuoi Benedetta” aveva risposto sarcastico “e chiuditi a chiave per favore” disse andandosene, “ora” l’avevo sentito aggiungere e mi affrettai ad obbedire.
Ero rapita da blu di quegli occhi ridenti che mi fissavano e avvicinandomi un po’ troppo rubai un morso di quella cioccolata, la sua preferita.
“Ehi, ma a te piace solo quella fondente” mi aveva accusato mettendo un broncio finto per avergli rubato un pezzo del suo tesoro. I nostri visi erano tremendamente vicini. Quanto era profondo quel mare nei suoi occhi?
“Potrei aver cambiato opinione” dissi ributtandomi a sedere nel mio angolino scossa dalla tensione che si era accumulata per la troppa vicinanza.
“Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione” aveva detto porgendomi metà della barretta.
“È una fortuna che non sia una stupida allora”
“No stupida no, ma un po’morta dentro si”
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