Come mi ha ucciso

Serie: Amore Bianco


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Francesco racconta di come é entrato in contatto con l'eroina, e di come la sua travagliata vita lo ha portato a vederla come una toppa per il vuoto che sente dentro di sè.

Impassibile, guidato solo dalla sete di dopamina, e dalla voglia di eludere la sofferenza, continuai a fissarla con lo sguardo pietoso di un cane che non vuole morire di fame. Marco, resosi conto del mio bisogno di fuggire, allungò la morte verso di me, e le mie dita la afferrarono. Tutto ciò, senza lo scambio di nemmeno un fonema, quasi a sottolineare la tossicità del nostro rapporto. Rinunciai alla speranza, alla serenità e ad un futuro, in quei 50 centimetri che separarono la mia bocca dalla morte. Una mole di pensieri ed emozioni indescrivibile a parole mi piombò addosso come un’incudine, per poi scomparire nel nulla senza lasciare neanche il ricordo. In un tiro a pieni polmoni di quella nube tossica, le montagne russe all’interno della mia mente divennero piatte come il mare al mattino, lasciandomi in uno stato di catalettica beatitudine. Continuando a fumare, aggravai la mia condanna… e lo feci con un’espressione serena stampata in faccia. Quel giorno mi innamorai della donna che mi ha rovinato la vita. Fu un amore a prima vista, che mi spogliò completamente della voglia di fare qualsiasi altra cosa che non fosse amare ancor più intensamente. Da quel giorno in avanti tutto scomparve: i miei compagni di classe, la mia famiglia… me stesso; tutto ciò che non riguardava il “farsi”, non era degno di una briciola di considerazione. L’unica cosa che iniziai a desiderare fu l’eroina. Marco divenne solo un pedone da sacrificare per riuscire a fare scacco matto… il mezzo per procurarmi la roba. Dovrei vedere tale situazione da un punto di vista oggettivo, arrivando a considerare l’eroina come superflua per la vita di un essere umano, ma non posso farlo. Non posso farlo perché ci sono dentro fino al collo. Non posso più vivere senza. È talmente più importante dell’aria che respiro, che riesco a malapena a ricordare la prima volta che me la sono sparata in vena: ero sempre a casa di Marco, e avevo passato una serata infernale, dato che da un po’ di giorni a quella parte, indipendentemente dalla quantità che ne fumavo o sniffavo, non mi sentivo meglio in nessun modo; da tempo mi cadeva il pensiero sulla siringa, considerando che Marco aveva già da un po’ superato quella soglia; quel giorno, l’ultimo barlume di amor proprio venne soffocato dall’incoscienza e dalla ricerca di una sensazione che, seppur effimera, avrebbe potuto appagare parzialmente il mio bisogno di fuga; sganciato il rimorchio di quello pseudo autocontrollo, estasiato dal fatto di stare per rivivere quella sensazione di euforia, presi la siringa di Marco, che nel frattempo se l’era già sparata. Ciò che mi lasciò sbigottito fin quasi a farmi tornare con i piedi per terra, fu il gesto che mi fece lui mentre prendevo la siringa: dopo averla afferrata, prima ancora di sollevarla, la mano di Marco si poggiò sulla mia; mi girai verso di lui, e notai che mi stava già fissando; scuotendo la testa, sussurrò con voce spenta e disperata «Non farlo…guardami»; «Ne ho bisogno», risposi sganciando la mia mano dalla sua. Cercò di salvarmi prima che mi buttassi dal precipizio, senza rendersi conto che ormai lo avevo già fatto. Il tarlo della tossicodipendenza si era già insinuato all’interno della mia mente, ed era arrivato così in profondità che quando preparai la dose, mi sentì in procinto di rinascere. Un cucchiaio, dell’acqua, un po’ di succo di limone, un batuffolo di cotone, la mia donna, e tutto era pronto. Sciolsi il tutto nel cucchiaio con l’accendino, lo filtrai con il cotone, e lo aspirai con la siringa usata. Mi tolsi la cinta, e la usai per farne un laccio emostatico che strinsi forte all’altezza del bicipite del braccio sinistro. Passarono diversi minuti prima che riuscii a trovare la vena, ma quando finalmente la trovai, non esitai a premere lo stantuffo. Vidi scomparire la mia vita all’interno di quel candido avambraccio ormai deturpato. Sfoderai dalla carne la siringa, e allentai la cintura. In neanche dieci secondi mi accasciai sul letto, completamente inebriato dal veleno che mi ero appena iniettato. Lo sentii farsi strada in ogni angolo del mio corpo, lasciandomi senza parole… in silenzio, nella contemplazione di quella squallida parte di vita, mai immaginata così gradevole. Annegai nel piacere, mentre tutto ciò che si trovava al di fuori di quell’obbrobriosa entità che indegnamente definivo corpo, divenne nulla in confronto alla valanga di appagamento che mi travolse. Girandomi verso Marco, vidi che mi stava ancora fissando, e che sulla sua guancia sinistra era comparsa una lacrima… l’eco di quella vocina dentro di lui, che ormai sapeva che per me non c’era più nulla da fare. Non riuscii a cogliere allora il perché di quel piccolo, ma immenso, segno di amore. Voleva che almeno io mi salvassi. Marco è morto di overdose sei mesi fa. Persino al funerale ero fatto. Oh Pietro, se tu potessi vedermi… ti farei schifo, e ti renderesti conto di come mamma e papà avessero sempre avuto ragione… Dio quanto li ho fatti soffrire. Sono rimasto solo. L’unica cosa che ho è l’eroina, ma dato che mi hanno cacciato di casa, tra poco non avrò più nemmeno quella. Sono un po’ di giorni che penso dio farla finita con tutta questa roba… voglio smettere. Voglio riaggiustare le cose, perché, anche se poco credibile detto da un tossico, sono veramente stanco di farmi per poter arrivare a fine giornata. Sono stanco di essere vivo solo a metà. Ho promesso a me stesso che questa dose sarà l’ultima, anche perché non posso comprarne altra. Finalmente rinascerò. Finalmente rivedrò Marco. Finalmente rivedrò il mio fratellone. Mamma e papà, scusate se non sono stato il figlio che avreste voluto… neanche io mi sono mai sentito la persona che avrei voluto essere. Ora però il dolore cesserà. Ho voluto bene a tutti, anche se non l’ho mai dimostrato a nessuno. Ricordatevi di me, non come un tossico senza futuro, ma come una persona che non è riuscita a tenerlo abbastanza stretto. Addio.

Francesco

Serie: Amore Bianco


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Discussioni

  1. Ho letto con interesse il tuo testo e credo che tu riesca a trasmettere completamente e in “crescendo”, la totalità dei sentimenti che prova una persona in questa condizione.
    Forse sarei andata a capo in qualche punto, tuttavia il flusso continuo di pensiero conferisce quel fascino alla “Ulysses” di James Joyce.
    L’unica pecca la trovo nella conclusione, che mi sembra troppo “affrettata” e quasi nevrastenica.