Come si veste Carneval ad Halloween?

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Come si veste un pagliaccio ad Halloween?

Si ĆØ presentato stamattina alle otto in punto. Vestiva un impermeabile color panna, stropicciato come il cielo squarciato dalle nuvole che vengono spazzate veloci dal vento, e teneva il taccuino aperto come fosse un breviario per la Santa Messa. Aveva la voce bassa, roca, quasi stanca. Una voce che sembrava chiedere scusa prima di farti a pezzi. E con quegli occhi strabici non sapevo mai perfettamente se mi stesse guardando o se stesse osservando qualcos’altro nella stanza. Strabismo di Venere, nel suo caso era strabismo di Giove che collide con un buco nero.

Ā«Non voglio disturbarla, sa? Ma c’è questa cosa che… non mi tornaĀ» disse mettendosi l’indice sul mento.

Lo guardo. È più basso di me, ma non si nota. Ha quella statura morale che ti fa sentire giudicato anche se non dice nulla. Ed il mio problema, quello che mia affonda sotto la terra prima di morire, è il giudizio degli altri. Fottetevi tutti.

«Mi dica pure.» Rispondo remissivo e cauto.

Carneval non scrive. Guarda. Osserva. Pippa la sigaretta come un ciuccio. Fissa le cose che sfuggono all’occhio umano: la mia foto storta in un quadretto della comunione, le chiavi dell’auto sul comodino, la mia mano che stringe una tazza vuota da dieci minuti e vorrebbe stritolarla. Le mie mani tremano di energia negativa. Il mio chakra della gola ĆØ a pezzi.

Ā«Lei aveva detto di non conoscere le vittime. Però…» Fa una pausa. Non teatrale. Umana. Come se cercasse di darmi il tempo di confessare da solo. Aspetta con la calma Zen di un Buddha sceso di nuovo in Terra, un “avatar”, cosƬ lo chiamano gli indiani.

«Però cosa?»

«Però il sogno. Quel sogno che ha raccontato alla sua psichiatra. Ci ha descritto il luogo, la scena, i dettagli. In anticipo.»

Deglutisco. La gola ĆØ carta vetrata. Avrei bisogno di acqua, ma non mi muovo.

«E allora? Ho sognato, faccio incubi, vedo cose. Ho questo potere, commissario.»

Carneval inclina il capo. Poi fa un passo verso la finestra. Guarda fuori. Parla con il vetro.

Ā«Sa cosa penso io, signor…?Ā»

«Lo sa già come mi chiamo.»

Ā«GiĆ . Sa cosa penso io, signor sognatore? Penso che lei non sia pazzo. NĆ© colpevole. Penso che sia un ricevitore. Un’antenna sintonizzata sull’orrore.Ā»

Mi viene da ridere. Non so perchĆ©. Carneval si gira, tranquillo. ƈ vero, ĆØ l’avatar di un dio.

Ā«Non ĆØ divertente. Lo sa cosa c’era sotto le unghie della ragazza, quella dell’ultima coppia?Ā»

Scuoto la testa.

«Polvere di cocaina. Le ne fa uso vero? Noi sappiamo che ne fa ampio uso da una vita. Ovviamente non è abbastanza per poterla incriminare. Non ancora.»

Fa un cenno con la testa, poi si avvia verso la porta. Apre. Si ferma. Torna a guardarmi.

«Ha mai sentito parlare di trasmigrazione onirica? È una teoria. Roba strana. Però interessante.»

«No.»

«Parla di anime che si muovono nei sogni altrui. Che agiscono, anche. Come parassiti, o spiriti. Lei potrebbe averne uno addosso.»

Mi fissa. Non sorride.

«Oppure potrebbe essere lei stesso il sogno di qualcun altro.»

Se ne va. La porta si chiude con un click come la compressa che ingoio mordendola tra i denti, e dentro me qualcosa si rompe. Di nuovo. Chi ĆØ davvero Carneval? Sa troppe cose, devo indagare chi mi indaga!

Intanto guardo la tazza. No, non quella del bagno. Ma quella da thè, ed è piena adesso. Di sangue, o caffè. Non so distinguere più. Il sole fuori si è sbiadito, sta piovendo in un film noir.

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


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