Conseguenze

Serie: L'eredità


“La storia mia e di Chaime è simile a quelli di molti altri. Siamo ebrei, ma immagino che lei non se ne fosse accorto.

Naturalmente, è proprio questo il punto, vero? Come potrebbe, un tedesco purosangue come lei, accorgersi della differenza? Nessuno può. Per questo, inventarono tutti quei sistemi. La stella gialla sui vestiti, e tutto il resto. Ma lei è un documentarista, di certo non ha bisogno che io le spieghi cosa sia stato per noi quel periodo.”

Leggermente a disagio, Alec bevve un altro sorso di tè.

Pensò, implacabilmente, che sperava che non si trattasse dell’ennesima triste storiella sulla Shoah.

Beninteso, Alec non era mai stato un cattivo soggetto. Era capace di sentimenti nobili quanto chiunque altro, sebbene il lavoro lo portasse a notare, più che altro, l’inconsistenza dei cosiddetti sfoghi emotivi.

In qualità di montatore di filmati, sapeva come costruire ad arte un momento di commozione. Ma sapeva anche come, in un certo senso, si trattasse di un inganno, per il cervello dello spettatore.

Non era spinto al cinismo da una naturale tendenza alla malvagità; ma era un fatto che, da dopo la fine della guerra, Berlino letteralmente rigurgitasse storie del genere.

Era come se la coscienza collettiva di un paese intero si sforzasse di vedere il più in fretta possibile tutto ciò che era accaduto per anni sotto il suo naso.

Si abbuffavano per provocarsi il vomito, e sviluppare anticorpi che permettessero loro di ripartire da zero.

Intasare il mercato dell’immagine con ore e ore di filmati più o meno tutti uguali avrebbe solo portato il mondo all’assuefazione.

Gli esseri umani si abituano a qualunque cosa, se vi vengono esposti abbastanza a lungo. Su questo si basava la pubblicità, non era forse così?

Su questo si era basata la propaganda nazista.

“Io sono olandese di nascita. Il mio Chaime, invece, è un ebreo tedesco. Faceva parte di un movimento di resistenza. Pensi un po’, un ebreo che si ribella fino a quel punto! Non sapevano neppure loro per quale crimine arrestarlo. Fu un bel dilemma, per la Gestapo.”

Zelda ridacchiò, sfiorando teneramente la mano del marito, che riposava quietamente sul bracciolo della poltrona. Lui alzò gli occhi e sorrise, all’apparenza completamente felice.

“Quando andiamo a tavola, Zelda?”

“Non ancora, caro. Più tardi. Hai visto? Abbiamo visite, oggi. Questo è il signor Engelhert.”

Chaime lo mise lentamente a fuoco.

“Oh, buongiorno!” disse, cordiale. “Mi deve scusare, ma proprio non l’avevo vista.”

“Non si preoccupi, signor Zimmermann” rispose Alec, tranquillamente.

L’uomo gli sorrise e tornò a smarrirsi da qualche parte, molto lontano da lì.

La vecchia Zelda era palesemente sorpresa.

“Lei è molto bravo con i malati” commentò.

“Mia nonna ha sofferto di Altzheimer per parecchi anni. Mi sono occupato di lei fino alla fine.”

“Così, Edith Engelhert è morta. Questa sì, che è una notizia!”

Alec sussultò leggermente, sorpreso.

“Intende dire che veramente conosceva mia nonna?”

Si accorse di essere stato scortese. Un leggero rossore gli salì alle guance.

“Non volevo dire che non le credo, naturalmente…”

“Caro ragazzo” Zelda posò una mano raggrinzita sulla sua, e la strinse con calore “io conoscevo sua nonna meglio di molti altri. Meglio di lei, temo.”

A disagio, Alec guardò altrove. Le fotografie sulla credenza mostravano sempre lo stesso soggetto: Zelda e Chaime, insieme in diverse occasioni.

Non c’erano fotografie di figli, o di nipoti. Si alzò per esaminarle più da vicino.

“Non avete figli, signora Zimmermann?” chiese, per cambiare argomento.

“No. Ho solo Chaime. E lui ha solo me. Mi hanno fatto dei trattamenti medici, nel lager. Il mio utero è rimasto inutilizzabile.”

Alec deglutì. Una strana agitazione gli faceva formicolare la nuca.

“Capisco.”

“Oh, no, non dica questo.”

La vecchia Zelda faceva scorrere lo sguardo sulle fotografie.

“Ci siamo conosciuti nel lager. Ma non troverà foto del nostro matrimonio. Lo facemmo in segreto, sotto le stelle, rischiando di venire presi a fucilate per aver violato il coprifuoco. Io fui la sua testimone, e lui fu il mio. Sapeva che ero sterile. Ma non gli importava. Disse ‘Zelda, amore mio, se usciamo vivi da qui, ti prometto che l’ammazzo con le mie mani, quella donna!’ È stata questa, la sua promessa d’amore.”

Alec tornò a sedersi. Suo malgrado, si sentiva un tantino commosso.

“Davvero una storia pazzesca… Ma di che donna parla?”

“L’infermiera del campo. Era lei a farmi le iniezioni. Sua nonna Edith, signor Engelhert.”

Alec si accorse di stare trattenendo il respiro. Zelda lo guardava, gli occhi celesti cuciti nelle orbite, come due piccoli bottoni lucenti sul risvolto di un cappotto.

“Lei sta scherzando, spero!”

“Certo che no, signor Engelhert. Non scherzerei mai su una cosa simile. Sua nonna non le ha mai raccontato cosa faceva durante la guerra?”

“Io non le credo!”

La vecchia Zelda mescolava quietamente il suo tè. Chaime continuava a sorridere ai mobili intorno.

Alec cercò di respirare a fondo per calmarsi.

E’ solo una vecchia pazza! Una pazza bugiarda!

Se fosse stato sincero con se stesso, avrebbe dovuto riconoscere di avere paura. Ma, data l’assoluta mancanza di rischi evidenti nella stanza, non riconobbe i disperati tentativi del suo ipotalamo di avvertirlo.

“Immaginavo che lei non avrebbe capito, sa?” disse Zelda, sorridendogli soavemente. “No, non si disturbi a cercare spiegazioni. Lei non mi crede, è stato fin troppo esplicito.”

“Conoscevo mia nonna! Non avrebbe mai potuto fare… essere… Insomma, è assurdo!” gridò Alec.

Ma qualcosa non andava per il verso giusto.

Uno strano torpore cominciava ad impadronirsi di lui. Pensò di stare respirando troppo in fretta, e cercò di rallentare. Ma non era facile. Gli arrivava sempre meno aria.

“Mi scusi…” farfugliò. “Ho bisogno di…”

Un secondo dopo, crollò a terra, le gambe molli e inutili. Chaime, che, dalla sua poltrona, gli fece un cenno con la mano, sorridendo, come per salutarlo.

“Signor Engelhert” proseguì Zelda, posando lentamente la tazza vuota sul tavolino “si suppone, sbagliando, che gli esseri umani siano incapaci di cambiare. In altre parole, se sono di carattere mite, tali sono destinati a rimanere, non importa ciò che accade loro nel corso della vita. Naturalmente, questo può anche essere vero. Ma solo in condizioni normali.”

Si chinò verso di lui. Il sorriso era scomparso dal suo volto, che non aveva più nulla di gentile “Proprio il tipo di normalità che noi, a causa di sua nonna, non abbiamo potuto avere.”

Alec si sforzò di deglutire, freneticamente.

Cercò di dire di nuovo che era impossibile, che si trattava di un errore… Certamente uno scambio di persona…

Ma di nuovo il suo corpo lo tradì. Dalle labbra gli uscirono solo vaghi suoni inintelligibili.

“No, la prego.” Zelda agitò una mano. “Non perda tempo a dirmi che lei non ha alcuna colpa degli atti di sua nonna. Le sembra che noi avessimo qualche colpa?”

Gli sorrise di nuovo. Sembrava soltanto un’anziana donna, terribilmente normale.

Mio Dio, è completamente matta…

“Quando ci siamo resi conto di essere liberi” proseguì Zelda, imperterrita “ci siamo subito chiesti cosa dovessimo fare. Come si potesse riparare, ad un male simile. Avremmo potuto fare qualunque cosa, capisce, essere chiunque avessimo desiderato. E, in un certo senso, lo siamo stati.”

La vecchia si avvicinò un altro po’.

“Abbiamo scelto di trovare sua nonna, signor Engelhert. Sono anni che la cerchiamo. Ora, lei mi dice che è morta, dopo una lunga sofferenza; ma io non sono capace di provare nessuna pietà. Ecco chi sono diventata, ecco cosa mi ha fatto sua nonna.”

Poi, assurdamente, raccolse la tazza sporca di Alec, e scomparve per un momento nella piccola cucina attigua. Alec sentì scorrere l’acqua nel lavello.

Nella poltrona vicino a lui, Chaime si mise a canticchiare, serenamente.

È assurdo, Dio del Cielo, è assurdo… Fa’ che entri qualcuno, adesso, subito!

Ma Dio aveva, evidentemente, altro da fare.

Il respiro usciva da lui come l’aria da un palloncino bucato. Non credeva che sarebbe più riuscito a riprendere fiato.

Zelda tornò a sedere sul divano di fronte a lui.

“Sono sicura che lei capisce, signor Engelhert. Occhio per occhio. Lei salda il debito di sua nonna con i nostri figli mai nati. È la cosa giusta da fare. Forse non è la migliore, ma noi non siamo eroi. Ce lo siamo giurati, sotto quelle stelle. L’avrebbe fatto il mio Chaime, ma come vede lui non è più se stesso, ormai. Quindi, tocca a me.”

Alec non respirava più. In un attimo, tutto si confuse davanti ai suoi occhi.

Certo, certo, è giusto, fu il suo ultimo pensiero lucido.

Che forse, dopotutto, risentiva già della grave carenza d’ossigeno.

“Vada in pace, signor Engelhert, se può.”

Venne avvolto da uno strano buio privo di immagini.

Serie: L'eredità


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