
Corri, Amir!
Corro veloce come il vento, non mi resta altro. Non mi volto perché so che i soldati sono esattamente a pochi metri da me, pronti ad afferrarmi e portarmi via.
Ho solo quindici anni e sono stanco di questa vita. Gerusalemme est è completamente sotto il controllo militare dell’esercito israeliano e noi siamo costretti a vivere di espedienti, per le nostre donne non c’è luogo che possa dirsi sicuro al di fuori della propria casa. La città è un animale maestoso ed enorme, pronto a fagocitare: i pullman di turisti si susseguono a quelli carichi di fedeli in pellegrinaggio e la polizia israeliana pattuglia ogni angolo di strada in gruppi di cinque o sei, con i mitra spianati, pronta a entrare in azione alla minima avvisaglia di pericolo. Noi abbiamo solamente le nostre pietre: la tensione è sempre altissima e non si può mai abbassare la guardia.
Gli ebrei ortodossi stanno rintanati nei loro quartieri, rabbiosi come animali in gabbia e sempre carichi di odio verso il governo, incapace, secondo loro, di fare pulizia fra le troppe fedi blasfeme che sporcano il suolo sacro d’Israele. La mia stessa fede, quella che mi guida e in cui sono cresciuto, è odiata e il mio Dio diffamato e bestemmiato. Il loro presidente ha da poco vinto il nobel per la pace, ma i suoi stessi cittadini lo vogliono morto per aver stretto la mano all’occidente; dicono che meriti la morte più dolorosa.
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La mattinata era color oro, con una leggera foschia che non permetteva di vedere molto oltre la porta di Damasco. Il caldo era già soffocante e rendeva sfocate le cose. Amir aveva condotto una intifada improvvisata e forse troppo azzardata contro i pullman che scaricavano turisti nello shuk. Alla sua chiamata, quella volta, avevano aderito solo pochi compagni perché spaventati dalla nuova pratica adottata dalle truppe israeliane di spezzare a bastonate le braccia dei lanciatori di pietre. Tuttavia, Amir non aveva desistito e si era presentato al punto stabilito con i volontari rimasti. Avevano agito velocemente come sempre e mirando solamente ai mezzi perché ferire uno straniero in quel momento sarebbe stato troppo pericoloso. Il governo aveva aumentato i controlli che si erano intensificati perché l’occidente aveva gli occhi puntati su Israele e sul processo di pace in atto.
La reazione di alcuni turisti, tuttavia, fu pronta e totalmente inaspettata. Da un pullman scesero in tre, urlando in lingua inglese insulti verso i ragazzi e invitandoli ad avvicinarsi con gesti di sfida. A quel punto, Amir aveva richiamato i suoi alla fuga, ma suo fratello Idir si era spinto oltre e in un azzardo aveva tirato forte la sua pietra e colpito alla testa uno dei turisti, aprendogli uno squarcio sulla fronte da cui il sangue usciva copiosamente. Le persone avevano cominciato a urlare richiamando l’attenzione di alcuni militari poco distanti, che avevano intrapreso l’inseguimento con i mitra spianati.
Idir era piccolo e si era subito messo in salvo, nascosto da alcune donne che avevano una bancarella poco distante. Due compagni erano stati invece presi facilmente e portati via e per Amir non restava altro che correre fra gli angoli e anfratti del suo quartiere, fra i muri bianchi che lo proteggevano dagli inseguitori. Sapeva come nascondersi ed era veloce e furbo.
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Mentre corro penso a lei, che è bellissima e mi ha fatto innamorare. Aspettiamo un figlio, ma ancora non ne abbiamo parlato in casa. Non ho resistito al suo corpo di gazzella nascosto sotto agli abiti pesanti e quella volta l’ho spinta forte contro un muro, chiudendole la bocca con una mia mano e scavando con l’altra sotto le vesti. Dopo una breve lotta, lei si è fatta più remissiva e poi ha cominciato a gemere e a muoversi, come se fosse nata per quello. Non potevo credere che stesse socchiudendo gli occhi e godendo del piacere che le davo. Allora, ho perso la testa e non sono riuscito a uscire da lei quell’attimo prima, come facevo sempre con le altre. Da quella volta l’ho cercata e trovata sempre perché lei a me non si nega mai. Insieme facciamo sogni e progetti. Vogliamo trasferirci in un Paese lontano dove un suo parente vive e dove sappiamo che le donne sono libere. Io potrei trovarmi un buon lavoro, magari come meccanico. Lei parla poco, ma sorride sempre mostrando i suoi piccoli denti bianchi.
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La corsa folle di Amir finì quando un grosso cane randagio gli afferrò la caviglia procurandogli un dolore intenso che quasi gli fece perdere i sensi. Cadde a terra e cercò di trascinarsi per qualche metro fra le mura dei cortili fino a quando la soldatessa gli fu addosso salendogli sulla schiena con gli stivali pesanti e colpendolo con il calcio del mitra fra le scapole.
Cercò per qualche istante di ritrovare il respiro che si era improvvisamente interrotto e provò paura. L’ossigeno non arrivava ai suoi polmoni doloranti e Amir muoveva forte le mani, quasi a voler buttare dentro l’aria con quel gesto. Il secondo colpo arrivò dritto sul braccio destro che si spezzò con uno schiocco. Poi, mani forti lo afferrarono per le gambe trascinandolo giù da alcuni scalini. Sbatté più volte il viso sulla pietra bianca e l’ultima cosa che vide fu la striscia di sangue a terra, lasciata dalle sue gengive spaccate.
Quando si svegliò, si ritrovò legato stretto a una sedia. Era stato lasciato solo e la poca luce che entrava da una fessura alta sul muro che dava sulla strada, illuminava una stanza vuota. Amir sentiva i passi delle persone affaccendate lungo la via e, a tratti, udiva anche alcune conversazioni. Aveva molta sete e se cercava di aprire gli occhi gli sembrava che la stanza girasse in tondo.
Passarono ore interminabili che divennero giorni trascorsi in uno stato di sonnolenza in cui sentiva che le forze lo avrebbero presto abbandonato. Vide la luce trasformarsi in buio e poi tornare a illuminare la cella, ma nessuno veniva ad aprire la porta e a offrire sollievo ad Amir. Nessuno lo interrogò, perché un caso come il suo era fin troppo comune e per nulla interessante a livello politico. Poi il freddo prese il suo corpo e allora smise di lottare.
***
La mia corsa è finita. Adesso corri tu, amore. Corri via da qui, tanto siamo già esuli. Esuli in patria, come i nostri padri e i nostri nonni. Niente cambierà, la Nakba, la tragedia del nostro esodo è eterna. Non smetteremo mai di lanciare pietre, non smetteranno mai di perseguitarci. Di noi non importa niente a nessuno. Corri tu adesso e fai crescere nostro figlio in un luogo lontano da tutto quest’odio e da questo rancore. Vorrei che si chiamasse Libero.
Mamma, vattene anche tu. Prendi Idir e andatevene. Portalo via, dove potrà studiare, dove potrà avere un futuro diverso dal finire in prigione per aver tirato pietre ai pellegrini.
Se Dio è grande e se Dio è buono, perché non cambia il cuore degli uomini? Ho paura, adesso.
(@biro_magenta)
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Sua madre e le altre donne cercarono lui e i compagni per giorni, ma vennero più volte scacciate malamente dai militari. Insieme stazionarono nei pressi del comando per attirare l’interesse dei pochi cronisti rimasti sul campo. Scoraggiate dagli insulti e dalle minacce, molte di loro se ne andarono presto per tornare alle faccende quotidiane e per occuparsi dei figli più piccoli.
La mattina in cui gettarono il corpo di Amir come se fosse un rifiuto, sua madre, che non aveva smesso mai di aspettarlo, lo accolse fra le braccia e gli pulì il viso con un fazzoletto. Lo fece con il coraggio che una donna sa trovare, senza piangere e senza fretta, compiendo quel gesto d’amore per minuti interminabili perché sapeva che sarebbe stato l’ultimo.
Il sole sorse su Gerusalemme e in poche ore scaldò le sue pietre bianche e la vestì di tutti i colori. Insensibile verso il dolore di quella madre, la città che non assomiglia a nessun’altra, si svegliò come sempre, meravigliosa in tutta la sua maestosità e brulicante di popoli e di culture, amata da Dio in tutte le sue forme.
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Interessante sia per la forma che per il contenuto
Grazie Rocco ☺️
Quando leggo e il racconto si traduce in immagini nella mia mente, vuol dire che è davvero buono. Straziante leggere di quando Amir viene catturato, mentre a casa lo aspettano una madre, una ragazza e un figlio non ancora nato.
Grazie Nicola per aver letto questo ‘vecchio racconto’ che tratta un tema che purtroppo è sempre d’attualità. E grazie per aver lasciato un segno del tuo passaggio ☺️
mi ci sono imbattuta per caso grazie ai commenti che l’hanno portato in evidenza. Al di là dell’ovvia considerazione sulla sua sciagurata attualità (ma sarebbe sempre attuale da troppi decenni) voglio sottolineare la passione autentica che ne traspare. “Gettarono il corpo di Amir come fosse un rifiuto, sua madre…” e lo fanno ancora. Basterà una sentenza della Corte penale internazionale a fermarli?
Io temo di no. Deve partire dall’uomo, dalle singole coscienze. La loro forza, e parlo di entrambi i popoli, la devono cercare all’interno. La loro bellezza ce l’hanno A portata di mano, ma forse ancora non lo sanno. Eppure è scritto in testi magnifici da leggere con il cuore. Impareranno a farlo? Grazie Serena per il tuo prezioso commento
Wow, mi ha lasciato senza parole. Maestoso, forte, arrabbiato. Un racconto che resiste, resiste attivamente, entra nella coscienza del lettore e semina la pianta della libertà. Tahya Falastin!
Che bello il tuo commento! Grazie. E soprattutto uno splendido augurio. Che possa essere davvero così e presto.
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❤️ ❤️ ❤️
Avevo visto questo racconto, nei miei primi giorni di Open, poi mi era sfuggito. Oggi sono andata a cercarlo e l’arte di Cristiana – il saper narrare la vita in modo piano, come realmente si presenta, anche nelle tragedie – mi ha veramente incantato. Ci vogliono arte e coraggio, per raccontare senza esagerare.
Grazie Francesca. Anche qui si tratta di luoghi che conosco e che ho a cuore. Oggi più che mai. Ci tengo che tu sappia che @biro, il bravissimo Francesco Pino, ha dato voce a Amir
Anche questi sono gli aspetti che mi fanno capire di essere arrivata tra gente speciale.
Complimenti per il coraggio nello scrivere in questo particolare momento storico, senza scadere nella retorica.
Fattura eccellente, non serve dirlo.
I decenni passano veloci e le problematiche restano le medesime. Forse perché la volontà di risolverle non c’è. L’asse dell’interesse è rivolto all’economia, alla politica e alla supremazia. L’essere umano sempre all’ultimo posto. Peccato. Grazie Stefano e un abbraccio.
Toccante… riesci a descrivere bene sia l’ambiente che le emozioni
Grazie Paola per aver letto e lasciato un commento. Alla prossima lettura
Gran bel racconto di un dramma storico, religioso e politico, che sembra senza fine. Una narrazione coinvolgente e toccante, che consente di immaginare le scene in modo chiaro. Le situazioni descritte rendono bene l’ idea dei conflitti esistenti e della disperazione che costringe una marea di persone ad abbandonare i luoghi in cui vivono. Le parole di Amir contribuiscono a comprendere meglio lo stato d’ animo di chi si trova, ogni giorno, a dover vivere in un clima di odio, di paura e di violenza. Complimenti Cristiana e complimenti anche a Francesco.
Grazie Maria Luisa, i tuoi commenti mi danno sempre modo di ritornare a riflettere su ciò che ho scritto,che a volte tocca tematiche non proprio semplicissime. Questa volta, poi, c’è stato anche il rischio di “cadere” in un discorso di tipo politico. Cosa che non volevo accadesse. Il mio pensiero è spesso rivolto a chi è particolarmente fragile, il contorno politico, spesso è irrilevante. L’apporto di Francesco, poi è stato particolarmente prezioso!
Visto che Cristiana ha riproposto questo racconto a causa mia e i commenti che aveva già ricevuto non ci sono più io lo commento di nuovo.
Lavoro molto ben riuscito, che sintetizza in maniera efficace la tragicità della guerra in Palestina attraverso due punti di vista. Il protagonista descrive in prima persona gli eventi che lo coinvolgono mentre la voce narrante ci descrive gli effetti che quegli eventi producono. L’alternanza tra la prima persona e la narrazione indiretta mi sembra quindi ben azzeccata.
E’ un racconto che mi è piaciuto molto e veramente ben poco è farina del mio sacco. Brava, Cristiana.
Dopo aver letto il racconto, l’autore Francesco Pino ha voluto dare voce al protagonista prima di morire e di essere restituito a sua madre. Personalmente ringrazio Francesco per il suo prezioso contributo e per la sensibilità dimostrata verso il tema trattato. Ripubblico quindi il racconto che ora appare sicuramente completo. Buona lettura.
E io ti ringrazio ancora per la fiducia.