Cospetto
Serie: Metà
- Episodio 1: Cospetto
STAGIONE 1
Erano tutti di nero vestiti. Lei sola risaltava tra quella moltitudine seria e triste: un lungo vestito magenta accompagnato da un cappotto rosso che ricordava molto quello dei militari di un tempo. Un abbinamento non propriamente vincente. Il trucco era lieve ma risaltava gli zigomi pronunciati del suo volto. Il rossetto importante donava un tocco di luce strano a quell’atmosfera così tetra. Non molti erano andati da lei per porgere omaggi o dispiacersi dell’accaduto. I più si erano tenuti alla larga facendo ipotesi e ostentando una finta conoscenza della vicenda parlando a bocca stretta per non farsi sentire; cosa che a lei dava non poco sui nervi ma dovette starsene in silenzio almeno in rispetto del luogo e di chi quella bocca l’aveva socchiusa in un ghigno di dolore.
Quei pochi che si erano avvicinati a lei le avevano espresso le solite frasi di circostanza, avevano tentato di abbracciarla e alcuni persino di darle dei baci; ma lei era rimasta impassibile sorridendo a tutti e a tutti ribadendo i soliti concetti. Batteva nervosamente il piede a terra accompagnato spesso da dei sospiri profondi e rumorosi segno di chi ha fretta o di ansia da scaricare.
Un vecchio amico al suo fianco di tanto in tanto le stringeva la vita e scambiandosi uno sguardo complice si sorridevano ma il sorriso di lui era estremamente fragile; quella mano al fianco sembrava servisse come una scialuppa di salvataggio al debole pallore di lui. Rimasero vicini per tutto il tempo. Alla fine uno ad uno i presenti uscirono fuori chi salutando, chi solo con un gesto, chi un semplice sguardo e suo malgrado anche l’amico fu costretto ad abbandonare quel tempio inviolabile.
Il silenzio adesso l’avvolgeva. Il parroco le rivolse le ultime parole, indicazioni sul da farsi e speranza per l’anima insomma le solite forme di circostanza che dovevano alludere a qualcosa di sovrannaturale e donarle semmai riposo alla mente. Tutte cose che a lei non facevano né caldo né freddo voleva solo arrivare alla conclusione di quella giornata.
Poi rimase sola. Immobile a contemplare davanti a sé e sospirare per l’ultima volta in modo più diretto e conciso. I tacchi decisi e inflessibili presero possesso del centro della stanza, le mani ai fianchi, davanti a loro oltre all’altare risplendeva lei: la bara. Legno chiaro, luminoso, elegante circondato ed ornato di splendidi fiori di campo, rami di pino, girasoli imponenti e ovunque attorno un aroma inconfondibile di natura e libertà.
– Devo essere sincera con te: non me lo aspettavo. Gli ultimi tuoi tentativi di suicidio si sono rivelati così fallimentari che capirai bene anche tu che questa volta ha dell’incredibile. Mi avessero dato un penny per ogni volta che te l’ho sentito dire …. Beh forse non avrei poi così tanti penny ….
Abbassò lo sguardo con quello anche le braccia. Avvicinandosi alla bara iniziò a roteare uno a uno ogni anello sulle sue dita come se contasse gli attimi che la separavano dall’arrivare. Si sedette accanto appoggiando lenta una mano sulla bara. Accarezzò il legno come se avesse paura di romperlo poi si lasciò andare a qualche colpetto come d’incoraggiamento.
– Lo so che non approvi i tuoi vestiti ma sappiamo entrambe che ti saresti cambiata così tante volte che per il tuo funerale avresti finito per metterti una tuta, comprenderai bene che la cosa era assolutamente inappropriata …
Cambiò tono. Più informale, confidenziale quasi come se parlasse con una vecchia amica.
– Non sono molto d’accordo sul metterti sul mio caminetto da qui alla mia stessa morte ma è una tua volontà e a quanto pare la mia coscienza mi impedisce di rifiutare. I primi giorni ti porterò da tua madre però …. Lo farò altre volte all’anno. Non è una tua richiesta ma credo che tu non possa rifiutare, no? ….
Tamburellando eseguiva un ritornello che la mise di fronte all’atto compiuto della sua voce che cantava. Non sapeva neanche lei cosa stesse intonando ma a quanto pare al di fuori della sua volontà quel motivetto non voleva smettere di esistere. Alzandosi fece per sistemare i fiori e dare sguardi d’apprezzamento alla bara e al modo in cui era stata modellata.
– Vedrai come starà bene la foto che mi hai lasciato sulla cornice che ho scelto. Credo si intonerà bene anche con tutto il resto. Sarai la più bella.
Continuando con gli elogi iniziò a sistemare e sistemare quei fiori, quelle corone, quei fogli scritti da chissà chi. Ancora e ancora fin quando la sua voce non diventò rauca e piena di rabbia e voltandosi verso quel pezzo di legno iniziò ad imprecare. Gli occhi ardenti di rabbia, le labbra corrose da un ghigno violento continuavano a urlare parole crudeli. Iniziò a lanciare vasi, strappare fiori a ridurre tutta quella composizione funebre ad un brandello di polvere.
– Come ti sei permessa. Come hai osato farmi questo!
Un urlo violento si diffuse per tutta la chiesa riecheggiando con altrettanta potenza. Il corpo ormai stanco e la voce interrotta, non rimaneva più niente della giovinezza iniziale ormai era solo un estenuato, smarrito e turbato involucro che giaceva ai piedi della bara avvolto da un’onda di pianto disperato.
Serie: Metà
- Episodio 1: Cospetto
Leggere la prima scena è come guardare una fotografia in bianco e nero con una sola figura a colori. Stride, ma cattura l’attenzione. La naturalezza poi con la quale questa figura si rivolge alla persona nella bara, è disarmante. Ma chiunque abbia affrontato un lutto sa che non è affatto inverosimile, una reazione di questo tipo. Anzi.
Aspetto il seguito!
Ben felice di queste parole!
Ciao Alice e benvenuta tra noi.
Complimenti il tuo brano d’esordio mi è piaciuto molto, un bello stile e una carica emotiva che arriva dritta al lettore, è ancora presto per dare giudizi sulla trama, ma leggerò con molti piacere i tuoi prossimi episodi
Grazie mille!
“Time is never time at all, You can never ever leave, Without leaving a piece of youth” – SMASHING PUMPKINS: “Tonight tonight”. Un brano che mi è venuto subito in mente dopo aver letto il tuo racconto. Un brano feroce, ma che ha anche delle sviolinate intense. Spesso, denoto in me ed altri che leggo una dissonanza per quanto riguarda il rapporto STORIA\ VOCE. Spesso le storie sono forti, ma le parole non possiedono la stessa frequenza per supportarle. Qui, per la prima volta, dopo molti racconti letti vedo l’effetto contrario: la Voce è fortissima, più della Storia, ma stavolta non mi sento di fare una critica perchè amo il ROck e amo il Punk. Anche se ho inquadrato la situazioni che narri, quello che rimane, almeno al mio Io-lettore, è una voce schiva, introversa, malinconia, silenziosa, gentile ed educata, ma anche angolosa ed emotivamente dura.
Apprezzo moltissimo quello che hai scritto è la giusta carica per continuare. Grazie per il commento e spero che anche le prossime cose possano piacerti allo stesso modo.
C’è chi ha letto le prime righe cantando e chi mente 😉