Cuore di maiale

“Purtroppo non abbiamo trovato un donatore compatibile”.

Le parole del dottore le continuavano a tormentare, rimbombandole in testa come petardi lanciati in successione prima dell’inizio di un derby.

Quelle parole avevano suonato come una condanna a morte per il piccolo Thomas, il cui cuore i medici avevano scoperto, da un giorno ad un altro, essere geneticamente difettoso e destinato ad andare rapidamente fuori giri, conducendo il bimbo ad una inesorabile morte precoce.

Questo era stato il tremendo ed inatteso esito di una visita di controllo.

Dopo poche settimane Mario, suo marito, il perno della sua vita, venne investito da un furgone fuori controllo, decedendo sul colpo.

Il mondo di Sabina era improvvisamente imploso, schiacciandola inesorabile sotto il peso dei cocci piovuti addosso.

Sabina sentiva che la sua mente si stava inabissando in quel baratro dove i confini tra fantasia sogno e realtà diventano meno nitidi e ciò che è ritenuto pacificamente impossibile inizia a profilarsi come possibile.

Sapeva che stava scivolando in quel buco nero di disperazione dove il pericolo di abbarbicarsi alla più flebile speranza è elevatissimo, ma in quel momento aveva necessità di qualcosa in cui sperare.

Estrasse di tasca il volantino relativo a quella famigerata clinica privata dove, stando alla pubblicità, tutto poteva essere risolto a prezzi più che concorrenziali.

Era stata avvertita in tempi non sospetti di non lasciarsi tentare, per disperazione, dagli illusori fuochi fatui delle semplicistiche soluzioni a portata di mano.

Inoltre conosceva le insistenti voci di una connessione tra il direttore sanitario e la criminalità organizzata.

La clinica era nota per i prezzi troppo economici che applicava e per la scarsissima professionalità dei suoi sedicenti medici.

Come poteva rientrare nei costi e trarre un profitto era la domanda che molti si ponevano.

Nei momenti di ordinaria lucidità avrebbe cestinato quel manifesto, ma adesso era pronta anche a prenotare un resort su Atlantide pur di continuare a credere che la vita di Thomas non fosse giunta al capolinea.

“Dove andiamo mamma?” aveva chiesto con voce flebile l’ignaro Thomas.

Sabina sentì una morsa stringerle il cuore.

“A trovare un amico tesoro” rispose con un sorriso forzato.

Il navigatore la condusse in una isolata e fatiscente palazzina in mattoni rossi ai bordi della città.

Se suo marito fosse stato presente l’avrebbe condotta via per un braccio.

Suo marito era però stato spalmato contro un muro da un furgone fuori controllo, lasciandole, insieme ad una cospicua eredità, dubbi incertezze e tanta fragilità.

La sala di aspetto era un bestiario variegato di umanità dolente e disagiata, un plotone di anime perse in attesa di un traghettatore per gli inferi.

La segreteria la annunciò.

Il direttore uscì dalla propria stanza.

Lui e Sabina si erano sentiti telefonicamente.

Era alto ed imponente e si muoveva in modo plateale, ondeggiando come una scintillante falena luminosa tra quelle larve tetre tristi e decadenti che riempivano, con lo sguardo perso nel vuoto, le sedie della sala d’attesa.

Si avvicinò a Sabina esponendo un sorriso plastificato e scintillante, che, in un attimo, estese ad un intimorito Thomas.

La clinica si occupava di chirurgia minore. Un trapianto di cuore era un’opportunità di guadagno insperata.

Sabina osservò le chiazze di umidità che impregnavano le pareti sino a scrostare l’intonaco ed il mobilio estremamente modesto e raffazzonato, pentendosi per quella scelta scellerata.

“Senta” azzardò con un filo di voce stringendo Thomas alla gamba.

Il direttore la osservò serioso.

“So cosa pensa” sibilò imperioso.

Sabina si bloccò.

“Lei pensa di avere commesso un errore a venire qua” continuò con voce suadente piantando i suoi occhi corvini nei suoi.

Sabina lo osservò ipnotizzata.

“Lei crede che non sia possibile che una clinica come questa possa essere attrezzata per un trapianto cardiaco”

Sabina annuì.

“Ebbene, sulla carta non lo siamo” esclamò.

Sabina increspò lo sguardo.

“Questo però” riprese esponendo due fila di denti scintillanti contorte in un ghigno mefistotelico “ci rende liberi da controlli e regole”

“In che senso?”

“Nel senso che nei casi più disperati possiamo tentare tecniche sperimentali”

“Casi come il nostro?” domandò Sabina con voce incerta.

“Si, casi come il vostro” sentenziò il direttore in tono solenne.

Sabina rimase alcuni secondi in silenzio.

Infine pose il quesito cruciale:

“Che tecnica vorrebbe adottare con mio figlio?”.

Il direttore sgranò gli occhi allargando le braccia in modo teatrale.

“Per suo figlio scriveremo la storia” esclamò infine con enfasi.

“Ovvero?”

“Ovvero punteremo sul cuore di un maiale!” urlò con voce baritonale.

Sabina stava per controbattere quando arrivò la chiamata dell’ospedale.

Sabina la ascoltò come se provenisse da un’altra dimensione.

Il primario in persona le stava comunicando che, incredibilmente, vi era stato uno scambio di cartelle di cui nessuno si era reso conto.

Thomas era sano e non necessitava di trapianto.

Fu come ricevere una secchiata di rinsavente acqua gelida in pieno viso.

Sabina, in un attimo, realizzò quanto angoscianti e squallidi fossero il luogo dove si trovasse ed i suoi utenti, anime derelitte ormai all’ultima spiaggia, la cui disperazione li rendeva prede inconsapevoli dello sciacallo ciarlatano che si ergeva di fronte a lei.

Il direttore adesso lo guardava in obliquo, evidentemente terrorizzato dalla sua inattesa presa di coscienza.

Sabina comprese che il direttore avrebbe compiuto qualsiasi scelleratezza per evitare che il contenuto della loro conversazione venisse riportato.

Una cupa angoscia la pervase.

Sabina, improvvisamente, ebbe però l’illuminante intuizione di replicare:

“Dottore, mi scusi, ho dimenticato della documentazione in auto. Vado a prenderla e torno subito. Poi mi spiega meglio”.

Le sue parole disorientano momentaneamente il direttore, quel tanto che permise a Sabina di uscire dalla struttura con Thomas, salire in auto e ripartire fulminea.

Nello specchietto vide la sagoma del direttore che si affacciava trafelato alla porta di ingresso.

Sabina guardò Thomas e subito dopo scoppiò in un pianto dirotto.

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Discussioni

  1. Nell’universo di patetici cialtroni che affollano spesso i tuoi racconti, questo laidissimo direttore dalla voce baritonale e il gesto teatrale, trova un posto d’onore per distacco. Riuscita narrazione angosciante e, ahinoi, non così lontana dalla tragica realtà della mercificazione dei corpi.

    1. Caro Simone, per noi che proveniamo da una cittadella universitaria caratterizzata da una massoneria medica di potenza internazionale riconosciuta, in larga parte meritocraticamente luminescente sia chiaro, non solo così lontana, ma, anzi, vicinissima, avendo conosciuto personalmente le angosciose derive di taluni rami cadetti (e cadenti), privi del talento necessario a ripercorrere le orme, ma privi di una parvenza di autocritica tale da, almeno, distoglierli dall’ostinata, e disastrosa, idea di emulare le gesta genitoriali.

  2. È inevitabile che la disperazione faccia perdere la lucidità, spingendoci ad aggrapparci a tutto. Io però, al posto di Sabina, avrei consultato un terzo, anzi, anche un quarto medico: quel primario non mi ispira affatto fiducia. Bravo, Gabriele!

    1. Sicuramente si Concetta, ma se così avesse agito a sua volta, non si sarebbe trattato di una persona obnubilata dal dolore ma di una donna lucida e saggia, sicuramente preferibile ma inadatta ad essere la protagonista di questo racconto. Grazie Concetta! Buona serata e a presto