Da Milano all’Alfetta
Serie: Spagna 1982
- Episodio 1: L’inizio del mondiale… la prima volta non si scorda mai.
- Episodio 2: Seconda partita… Massimo, Claudio ed il caffè rituale.
- Episodio 3: Dalla Sardegna al “mundial”.
- Episodio 4: Firenze, il vicolo e il baretto.
- Episodio 5: Da Milano all’Alfetta
- Episodio 6: Metti una sera, con dei commilitoni..(Italia Polonia)
- Episodio 7: La finale: da Genova, finestra sul Mondo
STAGIONE 1
“Dai, spegni le luci, tira giù tutto, che sennò fai tardi”
Pensava Sergio, mentre il canto della saracinesca che scendeva segnava l’ultimo passaggio lavorativo della giornata.
Stava facendo tutto di corsa ed intorno a lui, nella sua visuale, i contorni sbiadivano lentamente.
Pochi, semplici, gesti di una quotidianità che oggi avevano un colore diverso dal solito. Forse la luce limpida del sole di Milano, o forse che è estate e le ferie si avvicinano. Conta i soldi del fondo cassa per l’indomani, Sergio, tanto sa che la signora Maria alle 8.30 verrà come sempre a prendere i suoi “120 grammi di prosciutto crudo, di quello buono, mi raccomando” e come sempre aggiungerà: «Sergio ho solo queste, se non hai il resto passa mio figlio stasera e salda il conto» allungando la solita banconota da cinquantamila lire, alla quale il buon salumiere attingerà, ribadendo alla “sciura” che non è un problema, che lui i contanti per dare i resti li prepara la sera prima.
Sarà che la testa del buon Sergio, salumiere da 35 anni, oggi è da tutt’altra parte? Lui che è così attento, con i suoi occhi chiari e vispi, a dispetto dell’età, con il suo grembiule bianco, la matita sempre accomodata dietro l’orecchio sinistro e quegli occhialetti per poter leggere bene, ché la vista a questa età inizia a far gli scherzi. Corpulento concentrato di bontà d’animo, scarso crinito, ma non lo definiremmo anziano, nonostante l’età.
Il rumore della saracinesca che si abbassa è quasi liberatorio per lui, una vita dedicata a quel negozio, una vita dedicata al lavoro, soddisfacente eh, per carità! Guarda l’insegna abbozzando un sorriso carico d’affetto.
“Da Sergio, salumi e formaggi”. La scritta in bianco, su campo rosso scuro, gli ricorda un po’ i colori del prosciutto crudo che prende la “sciura Maria“, ma a sua figlia Ginevra piacevano tanto. E allora li mise, quei colori, perché prima che la ragazza decidesse di andare a studiare al Politecnico, lontano da casa, lui li aveva voluti là, come se lo aiutassero a sentire meno la lontananza della “sua bambina”, anche se Torino non è poi così lontana.
Sempre meglio di suo figlio Alessandro, che ha ventitré anni ed è andato a Genova a studiare per fare l’ingegnere, che magari può entrare all’Ansaldo, o ai cantieri navali, e poi, pensava Sergio, Genova è più lontana di Torino, però c’è il mare che a lui ed a sua moglie un po’ di aria di mare fa bene, anche per le ossa stanche di un uomo vicino alla pensione, ma non ancora deciso a lasciare che la vecchiaia prenda il sopravvento sul suo spirito giovanile.
Prese la via che lo portava alla sua macchina, la sua Alfetta. Da orgoglioso milanese, si era “fatto l’alfetta“. Ci aveva messo un po’ a mettere da parte quei due milioni e mezzo di lire che lo separavano dall’auto; comprata due anni prima, ma era il suo sogno. Ne aveva parlato con la moglie, Luisa, che lo aveva sempre sostenuto. Il negozio andava bene, la casa l’aveva finita di pagare, finalmente, ed i figli ormai si erano fatti grandi. Ed allora, Sergio, fece il grande salto: via la “vecchia” fiat 127, che aveva comprato usata, e benvenuta alfetta, agognato premio di Sergio! Anche se non voleva fare acquisti “a rate”, era fatto così, già aveva dovuto comprare l’attività aprendo un mutuo e lo stesso discorso aveva dovuto fare per il tetto sotto il quale aveva cresciuto, con la moglie, i due figli. Aveva giurato che non avrebbe più comprato a rate, preferiva crearsi un piccolo gruzzoletto, che soprannominava “fondo famiglia”, dal quale attingeva in caso di necessità: il frigorifero nuovo, il televisore a colori, l’alfetta.
Le strade apparivano più vuote del solito, mentre guidava verso casa, in periferia, e Sergio pensava che quei “comunisti”, come diceva sempre suo cognato Italo, facevano tanto quelli sfruttati, ma appena veniva l’estate tutta Milano si svuotava e correvano al mare, a fare le ferie.
«Ah ma cambieranno le cose!» diceva sempre il cognato, fiero sostenitore della Democrazia Cristiana, schierato politicamente dalla parte cattolica dei seggi politici e convinto che non fosse giusto che Spadolini fosse al Governo; “ci sarebbe stato il De Mita, o se non lui, mi ghe vedi ben Andreotti, che mi sembra uno in gamba!” era il mantra di Italo negli ultimi mesi.
Ma a Sergio no, non piaceva Andreotti, de Mita tantomeno. Sergio non masticava granché la politica, aveva sempre badato a lavorare sodo in bottega, che aveva due figli da crescere insieme alla mogliettina tanto amata, però il sessantotto qualcosa aveva insegnato, al buon Sergio: che sia destra o sinistra, basta che ci facciano stare bene. Che ci sia pane per tutti, l’alfetta e qualche giorno di vacanza al mare.
Certo, quando in Aprile uccisero Pio LaTorre non è che fosse contento. Nemmeno in Giugno, quando Calvi fu trovato impiccato dopo i discorsi del banco Ambrosiano e chissà, pensava, magari anche Moro avrebbe potuto fare qualcosa al governo, ma le brigate rosse lo avevano fatto fuori nel ’78 ed era convinto che chi avrebbe potuto e dovuto fare qualcosa, non fece niente. “Roba da matti“, pensava. Sergio era una persona mite, aveva visto la guerra con gli occhi di un bambino, aveva patito la fame sin da quando era venuto al mondo, cinquant’anni prima. Non avrebbe mai alzato un dito su nessuno, figuriamoci andare a manifestare con spranghe e bastoni, a cinquant’anni suonati, poi.
Sergio. Due certezze nella vita. Il lavoro e l’Inter. Se Mazzola si fosse candidato ecco, allora si che avrebbe trovato uno da votare volentieri. Del resto, suo figlio, si chiamava così proprio in onore “del Mazzola” che Sergio adorava, sin dalla prima volta che lo aveva visto giocare. E nel ’62 era nato suo figlio. “Mica come quei milanisti lì, che dietro al calcioscommesse si sono fatti mandare in serie b e gli hanno pure arrestato il presidente”. Però, peccato, ché Albertosi ancora il suo avrebbe potuto dirlo, in nazionale, non come Zoff, che è vecchio e nel ’78 si era fatto battere da due tiri dalla distanza degli olandesi, sennò avremmo vinto quel mondiale lì. Sergio ne era più che convinto.
Mentre la voce grintosa di Loredana Bertè dalla radio invadeva gli interni dell’alfetta, sulle note di “non sono una signora”, Sergio pensava che non gli andava troppo a genio quella musica giovanile, troppo rumorosa, per i suoi gusti. Perché le canzoni devono muoverti qualche emozione e lui era ancora legato al buon Claudio Villa, che quella sì che era una bella voce, anche se Sergio non sapeva cantare proprio per niente.
Quasi senza rendersene conto parcheggiò l’auto sotto casa, all’ombra dell’albero che c’era proprio di fronte a quel portone dove abitava con la “sua” Luisa, da quando si erano sposati. Chiuse l’auto, mise l’autoradio sottobraccio e, quasi ipnotizzato da gesti quotidiani, abitudinari, che oggi sotto il sole delle tre del pomeriggio sembravano così distanti, come non fosse lui a compierli, come se Sergio stesse guardando sé stesso da un angolo della via di casa sua.
Uscì dall’ascensore ed arrivò alla porta di casa, Luisa era lì che lo aspettava, con il suo “vestitino da casa”, i capelli raccolti nella solita acconciatura, che anche se faceva la tinta Sergio lo sapeva che un po’ si erano argentati, ma per lui era sempre Luisella, sempre bella come il primo giorno che la vide. Un bacio e poi di corsa, che sennò viene tardi, via la camicia che nasconde la canottiera bianca, via i pantaloni leggeri e le scarpe nere, sempre quel modello, sempre le stesse che Mario, il calzolaio, gli aveva rimesso a posto pochi giorni prima, via i calzini che c’è caldo e poi, finalmente, l’abbraccio tanto desiderato della sua poltrona. Luisa nemmeno gli disse nulla, gli portò il suo caffè, il pacchetto di muratti pronto sul tavolino del salotto, accanto al giornale, telecomando in mano e pronti. “Luì, siediti, che ora comincia“, le uniche parole che rivolse alla moglie. Lei lo guardava come fosse un Dio greco, anche se adesso era un po’ cupo in volto.
«Sergio, che c’è, perché quella faccia? Qualcosa non va?» la sottile e delicata voce di Luisa ruppe il silenzio; lui la guardò un istante, teneramente, per una manciata di secondi prima che la sua testa meccanicamente tornasse a fissare lo schermo: «Oggi c’è il Brasile..se vinciamo, Luì…se li battiamo…» poi non disse più nulla, fece segno alla moglie di guardare la televisione, dove un volto ormai amico compariva munito di cuffia e microfono, pronto a raccontare a Sergio e Luisa, ed al resto dell’Italia, la battaglia che sarebbe iniziata, tra più di un’ora. Ma per Sergio la partita era imprescindibile, non si può mica arrivare tardi.
Ed allora, stappa una birra, Sergio, bella fresca pronta per essere gustata, mentre la voce del telecronista invadeva la sala….
«Buonasera telespettatori italiani, qui da Barcellona…tra non molto vedremo afforntarsi sul terreno di gioco le formazioni del Brasile e dell’Italia…»
Il Brasile. Faceva paura da quanto era forte. Ma Sergio, in cuor suo, sentiva che forse ci eravamo svegliati, che forse la nazionale poteva farcela, se solo avesse fatto gol anche Rossi. Magari.
Serie: Spagna 1982
- Episodio 1: L’inizio del mondiale… la prima volta non si scorda mai.
- Episodio 2: Seconda partita… Massimo, Claudio ed il caffè rituale.
- Episodio 3: Dalla Sardegna al “mundial”.
- Episodio 4: Firenze, il vicolo e il baretto.
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- Episodio 6: Metti una sera, con dei commilitoni..(Italia Polonia)
- Episodio 7: La finale: da Genova, finestra sul Mondo
Ho adorato e ho provato una fortissima empatia per questo personaggio, che caratterizza alle perfezione l’operosità milanese, lo spirito di quegli anni, la voglia di riscatto, la consapevolezza che se ti fossi fatto il culo avresti ottenuto quello che stavi cercando, e la fiducia nel futuro. Tutti elementi che ti lasciano in bocca un sapore dolceamaro perché non fanno più parte della realtà che ci circonda, ma sai che un tempo sono esistiti e ti perdi con la fantasia. Bello, davvero bello. Anche l’aspetto della città svuotata, che seppur foriera di disagi aveva un fascino indescrivibile. Quantomeno su di me. Bravissimo.
Anche se non sono di Milano, ti garantisco che anche a Genova si viveva con quella “forma mentis”, da metà anni ’90 in poi, è iniziato il declino, ma sognare è ancora concesso e quindi, non smettiamo 😉
“Il rumore della saracinesca che si abbassa è quasi liberatorio per lui”
Rende benissimo l’idea
Felice di aver centrato il punto 🙂 grazie per i feedback preziosissimi!!!
Rossi, Rossi e poi ancora Rossi… che te lo dico a fare 🙂 Però la situazione la salvò il tanto criticato Zoff inchiodando quella palla per terra.
Cacchio, io il telecomando non ce l’avevo ancora nel 1982!
Assolutamente, Zoff salvò il risultato, ma in quella partita tutti ricordano la tripletta di Rossi, che spazzò via le critiche piovute su di lui e sulla nazionale 😉 io sono dell’83 ed il telecomando….ero io! 😂